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Un buon insegnante non può fare a meno di leggere questo libro. Perché dopo torna in classe con la certezza che il destino  gli abbia regalato una chance straordinaria: insegnare. Il bravo insegnante si riconosce da come reagisce quando, salendo in cattedra, gli capita di inciampare: è l’imprevisto con il quale il sapere deve confrontarsi

Un buon insegnante non può fare a meno di leggere questo breve testo. Perché dopo torna in classe con la certezza che il destino, il fato, il concorso andato bene gli abbia regalato una chance straordinaria: insegnare. Certo, come avverte subito l’autore, questa chance non possiede più il potere della tradizione. Non vi è più alcuna rendita su cui (soprav)vivere. Oggi devi scegliere di essere insegnante e riconoscere come questo mestiere ruoti attorno ad un impossibile da trasmettere.

Di qui la bellezza dell’ora di lezione, durante la quale il bravo insegnante fa esistere nuovi mondi e – in qualche caso – cambia anche la vita delle persone. Il libro, si capisce subito, non è un manuale per far apprendere delle nozioni con più efficacia. Non offre alcuna tecnica didattica. Lo scopo – semmai – è preservare quel “vuoto” dentro lo studente che non può essere riempito da un accumulo di informazioni, ma deve stimolare il desiderio (qui definito erotico) di sapere, di approfondire, di capire. Non una conoscenza autoreferenziale e inutile, ma capace di far rivivere il mondo intorno.

In questi anni siamo passati da una scuola dal codice disciplinare (fino al 1968) per arrivare ad una scuola dal codice… indisciplinare, che rischia una innaturale alleanza con un iperedonismo che annulla il pensiero critico. In assenza di altri codici valoriali, la scuola si rifugia nel modello ipercognitivista, di empowerment delle competenze. Una sorta di scientismo ideologico privo di vita. Gli insegnanti rischiano allora di ridursi a fare da addestratori della conoscenza oppure a psicologi del disagio, confessori di anime, quando non addirittura ad amici: perché tanto tutto è orizzontale e on line.

Ma l’esperienza scolastica è invece tale solo a condizione dell’asimmetria nei rapporti e del saper porre dei limiti (anche all’iperedonismo, ebbene sì, anche alla Apple). Perché la scuola deve sospingere verso un altro desiderio, che è quello di un sapere vitale. Per questo l’approccio che distingue l’istruzione dall’educazione è del tutto falso: possono esistere separati? Ma forse, allora, occorrerebbe dire: esiste ancora oggi la possibilità di un’istruzione pubblica? Di un’istruzione capace di formare l’uomo o quanto meno il cittadino? Di aprire al mondo? Il mondo che si apre nell’ora di lezione non ha come condizione il mondo chiuso dell’istituzione. È un altrove. È un uscire da sé, un condurre fuori (ecco il vero etimo di educazione).

Ci sono i maestri che non scordiamo, quelli che hanno lasciato un’impronta indelebile dentro di noi. È l’etimo del verbo insegnare: lasciare un’impronta, un segno, nell’allievo, ricorda l’autore. Non li scordiamo non solo per quello che ci hanno insegnato, ma innanzitutto per il come, per la loro enunciazione, per la loro forza carismatica. Non il contenuto del sapere, ma la trasmissione dell’amore per il sapere, un sapere non asettico ma collegato alla forza della vita. Le slides, dunque, potrebbero non bastare.

A parte il bellissimo capitolo finale, in cui l’autore ricostruisce la sua esperienza, il penultimo si conclude con il curioso episodio dell’inciampo. Recalcati, riprendendo Safouan, ricorda che il bravo insegnante si riconosce da come reagisce quando, salendo in cattedra, gli capita di inciampare. Cosa farà? C’è chi fa finta di niente, chi placa i risolini con la minacciosa forza del giudizio e chi usa l’inciampo, lo zoppicamento, il fallimento per la ricerca della verità. Inciampare è l’imprevisto con il quale il sapere deve confrontarsi. Se esiste una vocazione all’insegnamento, non può che radicarsi nell’inciampo.

Massimo Recalcati, L’ora di lezione. Per un’erotica dell’insegnamento, Einaudi, Torino 2014.

Citazioni

"L’università vorrebbe invece che il sapere si trasmettesse asetticamente, come da un computer a un altro, via file, giudicando il transfert come un pericolo da neutralizzare".

"L’educazione come accrescimento, incremento, sviluppo progressivo e illimitato della conoscenza è un mito fasullo del nostro tempo. Questo mito corrisponde al modello di economia globale che considera l’espansione narcististica di se stessi come la sola forma di verità".

"Nel nostro tempo la scuola non è più un’istituzione disciplinare, ma un’istituzione di resistenza all’indisciplina dell’iperedonismo acefalo che governa la nostra società. […] La solitudine della scuola e degli insegnanti è legata al loro agire in controtendenza rispetto alla direzione incestuosa del comandamento sociale oggi dominante che vorrebbe garantire la perenne connessione del soggetto a una serie infinita di oggetti inumani: alcol, droga, psicofarmaci, l’immagine del proprio corpo, oggetti estetici e tecnologici più vari. Affinché possa esistere desiderio di sapere, ma anche formazione, educazione, umanizzazione della vita, è necessario lo svuotamento traumatico e preliminare di questa presenza adesiva dell’oggetto".

"Cos’è, allora, un’ora di lezione? È un incontro con l’ossigeno vivo del racconto, della narrazione, del sapere che si offre come evento".

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