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“Mi piace vedere la santità nel popolo di Dio paziente: nei genitori che crescono con tanto amore i loro figli, negli uomini e nelle donne che lavorano per portare il pane a casa, nei malati, nelle religiose anziane che continuano a sorridere. In questa costanza per andare avanti giorno dopo giorno vedo la santità della Chiesa militante” (Papa Francesco, Gaudete et exultate n. 7)

E’ importante sottolineare come questa esortazione apostolica sia stata voluta espressamente da papa Francesco e quindi riflette direttamente le sue intenzioni e le sue preoccupazioni di pastore della chiesa cattolica.

Se ripercorriamo i suoi documenti principali notiamo che solo Evangelii Gaudium e Laudato si’, fino a questo momento, siano frutto della libera scelta del papa, in quanto sia Lumen Fidei, conclusione di un lavoro iniziato da Benedetto XVI, che Amoris Laetitia, erano in qualche modo “dovute”.

Evangelii Gaudium è il manifesto del suo pontificato, la gioia del vangelo, che anima Francesco in ogni suo gesto e parola. Laudato si’ è un’enciclica sociale di vasto e ampio respiro che riattualizza all’oggi il Concilio Vaticano II.

Gaudete et exultate, è l’invito premuroso a unirsi a Gesù per realizzare con lui la nostra vita santa nella carità. Questo è ciò che papa Francesco ritiene importante e urgente per il popolo fedele di Dio in cammino nella storia.

Francesco ha, tra le molte preoccupazioni, quella di aiutare il popolo fedele di Dio a crescere nella santità, cioè vivere con Gesù per vivere come Gesù (cfr. G. Colombo, L’ordine cristiano, Glossa, Milano 1993, p. 19). Per questo ha scritto e ci propone questa esortazione apostolica Gaudete et exultate, che è un modo per risvegliare nel popolo di Dio, ciò che si può essere addormentato.

Restiamo a ciò che dice con trasparenza rispetto all’obiettivo di questo testo impegnativo per i cristiani tutti, compreso lui: «Il mio umile obiettivo è far risuonare ancora una volta la chiamata alla santità, cercando di incarnarla nel contesto attuale, con i suoi rischi, le sue sfide e le sue opportunità. Perché il Signore ha scelto ciascuno di noi “per essere santi e immacolati di fronte a Lui nella carità” (Ef 1,4)» (n. 2).

Il papa ribadisce più volte la concezione di una santità alla portata di tutti, sottolineando due aspetti. Riprendendo la lezione del Concilio Vaticano II della Lumen Gentium, papa Francesco dice che non ci salva individualmente, ma in quanto partecipi della storia di un popolo: «”Dio volle santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di loro un popolo, che lo riconoscesse secondo la verità e lo servisse nella santità” (LG 9) Il Signore, nella storia della salvezza, ha salvato un popolo. Non esiste piena identità senza appartenenza a un popolo. Perciò nessuno si salva da solo, come individuo isolato, ma Dio ci attrae tenendo conto della complessa trama di relazioni interpersonali che si stabiliscono nella comunità umana: Dio ha voluto entrare in una dinamica popolare, nella dinamica di un popolo» (n. 6).

La seconda sottolineatura riguarda la ferialità della santità: «Mi piace vedere la santità nel popolo di Dio paziente: nei genitori che crescono con tanto amore i loro figli, negli uomini e nelle donne che lavorano per portare il pane a casa, nei malati, nelle religiose anziane che continuano a sorridere. In questa costanza per andare avanti giorno dopo giorno vedo la santità della Chiesa militante. Questa è tante volte la santità “della porta accanto”, di quelli che vivono vicino a noi e sono un riflesso della presenza di Dio, o, per usare un’altra espressione, “la classe media della santità”» (n. 7). Qui Francesco riprende quella felice intuizione della Evangelii Gaudium: il piacere di essere popolo. Lui si sente parte di questo popolo, si sente portato da questo popolo, ben consapevole che lui, in quanto papa, è al servizio del Signore che accompagna e accudisce il suo popolo nelle vicende della storia.

La struttura del documento è semplice.

Il primo capitolo ripropone la chiamata alla santità per ciascun cristiano come elemento deciso del suo essere evangelizzatore nella propria vita quotidiana. Per noi delle Acli il ricordo di Giovanni Bianchi che parlava di una santità feriale, dei santi minori.

Il secondo affronta “due sottili nemici della santità”: lo gnosticismo e il pelagianesimo. Papa Francesco ripropone l’antica dottrina della salvezza per grazia, non per meriti propri dovuti alla propria intelligenza (gnosticismo) e alla propria volontà (pelagianesimo). Gli esempi che porta la dicono lunga su quanto questi atteggiamenti siano presenti in ampi strati di cristiani, con un danno non indifferente per la santità di tutto il popolo di Dio in cammino nella storia.

Il terzo capitolo approfondisce cosa sia la santità ripercorrendo le pagine evangelica delle Beatitutdini (Mt 5,3-12; Lc 6,20-23) e del Giudizio finale (Mt 25,31-46). Oltre all’approfondimento biblico che Francesco chiede che noi percorriamo e interiorizziamo, il papa sottolinea come non si possa separare l’azione dalla contemplazione, forte dell’insegnamento di sant’Ignazio: «Il nostro culto è gradito a Dio quando vi portiamo i propositi di vivere con generosità e quando lasciamo che il dono di Dio che in esso riceviamo si manifesti nella dedizione ai fratelli. Per la stessa ragione, il modo migliore per discernere se il nostro cammino di preghiera è autentico sarà osservare in che misura la nostra vita si va trasformando alla luce della misericordia» (nn. 104-105).

Il quarto capitolo presenta “alcune caratteristiche della santità nel mondo attuale”. Il Pontefice  sottolinea con forza che c’è una santità adatta a ciascun tempo dell’umanità e della persona.

Egli espone 5 caratteristiche, oggi particolarmente significative.

a) Sopportazione, pazienza, mitezza. «La prima di queste grandi caratteristiche è rimanere centrati, saldi in Dio che ama e sostiene. A partire da questa fermezza interiore è possibile sopportare, sostenere le contrarietà, le vicissitudini della vita, e anche le aggressioni degli altri, le loro infedeltà e i loro difetti: «Se Dio è con noi, chi sarà contro di noi?» (Rm 8,31). Questo è fonte di pace che si esprime negli atteggiamenti di un santo. Sulla base di tale solidità interiore, la testimonianza di santità, nel nostro mondo accelerato, volubile e aggressivo, è fatta di pazienza e costanza nel bene. E’ la fedeltà dell’amore, perché chi si appoggia su Dio (pistis) può anche essere fedele davanti ai fratelli (pistós), non li abbandona nei momenti difficili, non si lascia trascinare dall’ansietà e rimane accanto agli altri anche quando questo non gli procura soddisfazioni immediate» (n. 112).

b) Gioia e senso dell’umorismo. «Quanto detto finora non implica uno spirito inibito, triste, acido, malinconico, o un basso profilo senza energia. Il santo è capace di vivere con gioia e senso dell’umorismo. Senza perdere il realismo, illumina gli altri con uno spirito positivo e ricco di speranza» (n. 122).

c) Audacia e fervore. «Nello stesso tempo, la santità è parresia: è audacia, è slancio evangelizzatore che lascia un segno in questo mondo. Perché ciò sia possibile, Gesù stesso ci viene incontro e ci ripete con serenità e fermezza: «Non abbiate paura» (Mc 6,50). «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20). Queste parole ci permettono di camminare e servire con quell’atteggiamento pieno di coraggio che lo Spirito Santo suscitava negli Apostoli spingendoli ad annunciare Gesù Cristo. Audacia, entusiasmo, parlare con libertà, fervore apostolico, tutto questo è compreso nel vocabolo parresia, parola con cui la Bibbia esprime anche la libertà di un’esistenza che è aperta, perché si trova disponibile per Dio e per i fratelli (cfr At 4,29; 9,28; 28,31; 2 Cor 3,12; Ef 3,12; Eb 3,6; 10,19)» (n. 129).

d) In comunità. «E’ molto difficile lottare contro la propria concupiscenza e contro le insidie e tentazioni del demonio e del mondo egoista se siamo isolati. E’ tale il bombardamento che ci seduce che, se siamo troppo soli, facilmente perdiamo il senso della realtà, la chiarezza interiore, e soccombiamo. La santificazione è un cammino comunitario» (nn. 140-141) .

e) In preghiera costante. «Infine, malgrado sembri ovvio, ricordiamo che la santità è fatta di apertura abituale alla trascendenza, che si esprime nella preghiera e nell’adorazione. Il santo è una persona dallo spirito orante, che ha bisogno di comunicare con Dio. E’ uno che non sopporta di soffocare nell’immanenza chiusa di questo mondo, e in mezzo ai suoi sforzi e al suo donarsi sospira per Dio, esce da sé nella lode e allarga i propri confini nella contemplazione del Signore. Non credo nella santità senza preghiera, anche se non si tratta necessariamente di lunghi momenti o di sentimenti intensi» (n. 147).

Qui il papa entra in dialogo personale con ciascun cristiano, in punta di piedi, ma per sottolineare, grazie alla sua esperienza personale, un punto che ritiene fondamentale: «Dunque mi permetto di chiederti: ci sono momenti in cui ti poni alla sua presenza in silenzio, rimani con Lui senza fretta, e ti lasci guardare da Lui? Lasci che il suo fuoco infiammi il tuo cuore? Se non permetti che Lui alimenti in esso il calore dell’amore e della tenerezza, non avrai fuoco, e così come potrai infiammare il cuore degli altri con la tua testimonianza e le tue parole? E se davanti al volto di Cristo ancora non riesci a lasciarti guarire e trasformare, allora penetra nelle viscere del Signore, entra nelle sue piaghe, perché lì ha sede la misericordia divina» (n. 151).

Il quinto capitolo affronta i temi cruciali delcombattimento, vigilanza e discernimento”. Per Francesco c’è una lotta vero con il diavolo, il maligno, che Cristo ha vinto e che ci accompagna nella sua stessa esperienza umana. Occorre essere consapevoli di questo combattimento, vigilare sul proprio cuore e discernere. Il papa si chiede: «Come sapere se una cosa viene dallo Spirito Santo o se deriva dallo spirito del mondo o dallo spirito del diavolo? L’unico modo è il discernimento, che non richiede solo una buona capacità di ragionare e di senso comune, è anche un dono che bisogna chiedere. Se lo chiediamo con fiducia allo Spirito Santo, e allo stesso tempo ci sforziamo di coltivarlo con la preghiera, la riflessione, la lettura e il buon consiglio, sicuramente potremo crescere in questa capacità spirituale» (n. 166).

Il papa ci sprona a un cammino di santità, a «non avere paura della santità. Non ti toglierà forze, vita e gioia. Tutto il contrario, perché arriverai ad essere quello che il Padre ha pensato quando ti ha creato e sarai fedele al tuo stesso essere. Dipendere da Lui ci libera dalle schiavitù e ci porta a riconoscere la nostra dignità» (n. 32).

A noi il compito di rispondere a questo appello che, tramite Francesco, ci giunge direttamente da Gesù morto e risorto per la nostra salvezza.

 

Per meditare ulteriormente

“Sono evidentemente innumerevoli i modi di vivere l’esistenza umana, tanti quanti sono gli uomini; ma uno solo è il modo «giusto» o autentico, non inventato dagli uomini, ma proposto direttamente da Dio, quello di Gesù Cristo. Precisamente per questo Gesù Cristo, il figlio di Dio, si è fatto uomo e ha vissuto da uomo, per insegnare a tutti come è da vivere l’esistenza umana. Sotto questo profilo, il Vangelo si propone a tutti come il testo cui attingere le lezioni di vita.

Vivere l’esistenza umana come l’ha vissuta Gesù Cristo non è la vocazione/il destino/la predestinazione riservata a pochi eletti — i santi, i religiosi, i cristiani —, ma è la vocazione comune rivolta a tutti gli uomini, senza eccezione o discriminazione: ogni uomo ha solo questo destino e solo in questo destino può trovare il senso della sua esistenza.

Immediatamente è da correggere l’idea che Gesù Cristo abbia vissuto l’esistenza umana in modo troppo alto, o correlativamente l’idea che all’uomo comune sia impossibile vivere l’esistenza umana come l’ha vissuta Gesù Cristo. Contro tutte le possibili obiezioni, sta il fatto pregiudiziale e incontestabile che ogni uomo è creato precisamente per vivere l’esistenza umana come l’ha vissuta Gesù Cristo e senza alternative. E a superare tutte le obiezioni, è da precisare che se è im­pensabile riuscire a vivere come Gesù Cristo da soli, con le proprie capacità e debolezze, in realtà questo non è richiesto a nessuno; ciò che è proposto a ogni uomo è invece di vivere con Gesù Cristo e solo conse­guentemente come Gesù Cristo. In altri termini, la possibilità di vivere come Gesù Cristo deriva agli uomini da Gesù Cristo stesso: egli infatti comunica loro il suo Spirito, lo Spirito Santo, così che, principio ai vita in lui, diventi principio di vita — il medesimo principio — anche in loro. Dallo stesso principio non può che fluire la medesima vita.

In conclusione, il vivere come Gesù Cristo non ha nulla della fatica di Sisifo, o piuttosto è il suo contrario, nel senso che non è da concepire come un traguardo alto, lontano e irraggiungibile, ma è da comprendere come la logica conseguenza del vivere con Gesù Cristo. Coerentemente la creazione «in Cristo» di ogni uomo non è da intendere come una spinta che butta l’uomo nel vuoto senza rete, ma come un gesto amoroso ­l’immagine, se non apparisse un po’ sentimentale, è quella dell’abbraccio — di Gesù che crea l’uomo atti­randolo a sé per ispirargli la sua vita. Dipendesse solo da Gesù, l’abbraccio non si scioglierebbe mai; solo l’uomo può sottrarsene. Fuori metafora, a ogni uomo che nasce in questo mondo è data una partecipazione dello Spirito di Gesù — lo Spirito Santo — per poter vivere l’esistenza umana con Gesù e conseguentemente come lui” (Giuseppe Colombo, L’ordine Cristiano, Glossa, Milano 1993, 17-20).

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