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Abbiamo scritto questo libro per dimostrare che il progresso non è mai automatico. Il “progresso”, oggi, sta di nuovo arricchendo un piccolo gruppo di imprenditori e investitori, mentre la maggioranza delle persone si ritrova senza potere e ne ricava scarsi benefici. Una visione nuova e più inclusiva della tecnologia potrà emergere solo se cambierà la base del potere sociale (Acemoglu D. – Johnson S, “Potere e progresso. La nostra lotta millenaria per la tecnologia e la prosperità”, Il Saggiatore, Milano 2023; p. 13)

Questo libro cerca di sfatare il mito che il progresso tecnologico porta solo miglioramenti, il tecnottimismo:

«Mille anni di storia e la situazione che abbiamo sotto gli occhi oggi dimostrano con estrema chiarezza che le nuove tecnologie non portano automaticamente prosperità ad ampio raggio, nel modo più assoluto: quando succede, è grazie a una scelta economica, sociale e politica.

Il libro che avete tra le mani esplorerà la natura di questa scelta, le evidenze storiche e contemporanee sul rapporto fra tecnologia, salari e disuguaglianza e le azioni che possiamo intraprendere per indirizzare le innovazioni in modo tale che favoriscano una prosperità diffusa» (pp. 21-22).

Gli autori mostrano come la storia della tecnologia presenta chiaroscuri, perché spesso la tecnologia ha prodotto miglioramenti per tutti mentre altre volte solo per alcuni, senza una redistribuzione della ricchezza prodotta dal progresso.

L’analisi è puntuale e anche sorprendente poiché lo sviluppo tecnologico lo viviamo ma è un aspetto dell’economia che spesso non conosciamo nei dettagli e che sottovalutiamo nei suoi effetti sulla produzione, sulla produttività, sulla produttività marginale (su cui si accende un faro significativo), ma soprattutto sulle persone, sia come lavoratori che come utilizzatori.

Alcuni esempi presi dall’introduzione:

  • Tutta una serie di progressi tecnologici in campo agricolo nell’epoca medievale e all’inizio dell’era moderna, come aratri migliori, una rotazione più accorta delle colture, un maggior uso dei cavalli e mulini molto più efficienti, non portò nessun beneficio ai contadini, che rappresentavano quasi il 90 per cento della popolazione.

  • I progressi nella progettazione delle navi, dal tardo Medioevo in poi, resero possibili i commerci transatlantici e crearono fortune colossali per alcuni europei. Ma navi dello stesso tipo furono usate anche per trasportare milioni di schiavi dall’Africa al Nuovo Mondo e consentirono di creare sistemi oppressivi che andarono avanti per generazioni, lasciando dietro di sé un’eredità terribile, che fa sentire i suoi effetti ancora oggi.

  • Gli stabilimenti tessili creati nella fase iniziale della rivoluzione industriale in Gran Bretagna generarono grandi ricchezze per pochi, ma ci volle quasi un secolo prima che facessero crescere anche i redditi dei lavoratori; al contrario, come gli operai tessili sperimentarono sulla loro pelle, gli orari di lavoro si allungarono e le condizioni erano terribili, sia nelle fabbriche che nelle città sovraffollate.

  • La sgranatrice di cotone fu un’innovazione rivoluzionaria, che aumentò enormemente la produttività della coltivazione di cotone e trasformò gli Stati Uniti nel primo esportatore mondiale di questo prodotto. Ma la stessa invenzione intensificò la ferocia dello schiavismo favorendo la diffusione delle piantagioni di cotone in tutto il Sud degli Stati Uniti.

  • Alla fine del xix secolo il chimico tedesco Fritz Haber sviluppò fertilizzanti artificiali che potenziarono le rese delle coltivazioni agricole. Successivamente, Haber e altri scienziati usarono le stesse idee per progettare armi chimiche che uccisero e storpiarono migliaia di persone sui campi di battaglia della Prima guerra mondiale.

  • Come illustreremo nella seconda metà di questo libro, gli spettacolari progressi dei computer hanno arricchito un piccolo gruppo di imprenditori e uomini d’affari negli ultimi decenni, mentre la maggior parte degli americani senza una laurea è stata lasciata indietro e in molti casi ha visto calare il proprio reddito reale. (pp. 12-13)

Il commento a questi esempi è chiaro e semplice:

«Ma la prosperità generalizzata del passato non è stata merito di un qualche guadagno automatico e garantito portato dal progresso tecnologico. Se si è affermata una prosperità diffusa è stato perché, e solo in quel caso specifico, la direzione degli avanzamenti tecnologici e l’atteggiamento della società nei confronti della suddivisione dei guadagni si sono allontanati da impostazioni che servivano in primo luogo gli interessi di una ristretta élite. Se abbiamo beneficiato del progresso è soprattutto grazie al fatto che i nostri predecessori si sono dati da fare affinché funzionasse per un maggior numero di persone […] In tutto il mondo la maggior parte delle persone, oggi, vive meglio dei propri antenati grazie al fatto che cittadini e lavoratori nelle prime società industriali si sono organizzati, hanno contestato le scelte delle élite su tecnologia e condizioni di lavoro e hanno imposto meccanismi per condividere più equamente i guadagni derivanti dai progressi tecnici. Oggi dobbiamo rifare la stessa cosa» (pp. 14-15).

Gli autori chiudono poi l’introduzione in una tonalità minore:

«Abbiamo scritto questo libro per dimostrare che il progresso non è mai automatico. Il “progresso”, oggi, sta di nuovo arricchendo un piccolo gruppo di imprenditori e investitori, mentre la maggioranza delle persone si ritrova senza potere e ne ricava scarsi benefici.

Una visione nuova e più inclusiva della tecnologia potrà emergere solo se cambierà la base del potere sociale. Affinché ciò avvenga sarà necessario, come nel XIX secolo, che emergano controargomentazioni e organizzazioni in grado di tener testa alla mentalità convenzionale. Contestare la visione prevalente e sottrarre la direzione della tecnologia al controllo di un’élite ristretta, oggi, potrebbe essere ancora più difficile di quanto non fu nella Gran Bretagna e negli Stati Uniti del XIX secolo. Ma è essenziale come lo era allora» (pp. 13-14).

Quali soluzioni allora? Nel capitolo finale, a partire dall’esperienza di inizio fino ‘800 e inizi ‘900 del movimento progressista negli Stati Uniti, gli autori individuano tre processi da organizzare:

  • riorientare il progresso tecnologico

  • Riconfigurare le tecnologie digitali

  • Riconfigurare i poteri compensativi

Attraverso tre azioni reali che ancora oggi possono riorientare l’innovazione verso una prosperità più diffusa e meno elitaria.

«Il primo consiste nel modificare la narrazione e cambiare le norme. I progressisti permisero a ogni americano di formarsi un’opinione fondata sulle disfunzioni presenti nell’economia e nella società, invece di limitarsi ad accettare la linea dettata dai legislatori, dai magnati dell’industria e dai pennivendoli loro alleati. Per esempio, Ida Tarbell non si presentò mai come candidata politica né si impegnò in favore di una causa particolare. Al contrario, affinò la propria abilità di giornalista investigativa per rivelare la verità dei fatti sulla Standard Oil e il suo capo, John D. Rockefeller. In particolare, i progressisti mutarono radicalmente le opinioni riguardo ai comportamenti ritenuti accettabili da parte delle imprese e alle azioni che i normali cittadini pensavano di poter intraprendere di fronte alle ingiustizie.

Il secondo elemento consiste nel coltivare i poteri compensativi. Sfruttando il cambiamento della narrazione e delle norme sociali, i progressisti contribuirono a organizzare le persone in un vasto movimento che fu in grado di opporsi ai robber barons e di spingere i politici a introdurre riforme, anche tramite l’azione sindacale.

Il terzo elemento è costituito dalle soluzioni politiche, che i progressisti formularono sulla base della nuova narrazione, della ricerca e della competenza.

Anche se le sfide con cui ci misuriamo oggi sono digitali e globali, le lezioni dell’era progressista restano ancora attuali» (pp. 440-441).

Le nuove tecnologie poi meritano una attenzione particolare:

«I nostri problemi attuali sono insiti nell’enorme potere economico, politico e sociale delle grandi imprese, soprattutto nel settore tecnologico. La concentrazione del potere delle aziende mina alle basi la prosperità diffusa perché limita la condivisione dei miglioramenti apportati dal progresso tecnologico. Il suo impatto più nefasto è però dovuto alla direzione della tecnologia, che punta in misura eccessiva su automazione, sorveglianza, raccolta dati e pubblicità. Per riguadagnare la prosperità diffusa, dobbiamo riorientare la tecnologia, e questo significa mettere in campo una moderna versione dell’approccio che permise ai progressisti di avere successo più di un secolo fa.

Questo processo può essere avviato soltanto modificando la narrazione e le norme. I passi da compiere sono davvero fondamentali. La società e i suoi potenti mastini devono smettere di lasciarsi incantare dai miliardari dell’high-tech e dalle loro priorità. I dibattiti sulle nuove tecnologie non dovrebbero ruotare esclusivamente intorno alla genialità dei nuovi prodotti e algoritmi, ma sollevare anche interrogativi per stabilire se operano nell’interesse delle persone o a loro danno» (pp. 445-446).

Il paragrafo finale, dal titolo: “La traiettoria futura delle tecnologie deve essere ancora scritta”, è un capolavoro di realismo e speranza:

«Le riforme che abbiamo delineato sono un compito arduo. L’industria tecnologica e le grandi aziende oggi hanno molto più potere politico di quanto ne abbiano avuto negli ultimi cento anni. Nonostante gli scandali, i titani dell’high-tech sono rispettati e socialmente influenti, e quasi nessuno mette in discussione il futuro della tecnologia – e il tipo di «progresso» – che impongono al resto della società. Un movimento sociale per riorientare il progresso tecnologico in senso opposto all’automazione e alla sorveglianza non è certo dietro l’angolo.

Tuttavia, restiamo convinti che la traiettoria della tecnologia possa ancora essere scritta. […]

Cose che sembravano impossibili sono state realizzate in tempi piuttosto rapidi nella lotta contro l’hiv/aids, e lo stesso discorso si può fare per le energie rinnovabili. Quando è cambiata la narrazione e la gente si è organizzata, la pressione della società e gli incentivi finanziari hanno modificato la traiettoria del progresso tecnologico.

La stessa cosa può essere fatta per orientare la direzione futura delle tecnologie digitali» (pp. 477-478).

Buona lettura e soprattutto auguri a chiunque voglia ingaggiarsi in questo impegno per una società migliore.

Acemoglu D. – Johnson S, Potere e progresso. La nostra lotta millenaria per la tecnologia e la prosperità, Il Saggiatore, Milano 2023; pp. 658

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