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“Il neoliberismo potrà essere riformato solo se e quando i principali gruppi di interesse capiranno che flirtare con le forze xenofobe significa mettere a rischio i propri interessi di lungo periodo, peraltro già sotto la minaccia delle loro stesse azioni a breve termine; e se e quando la politica democratica potrà davvero estendersi al di sopra del livello dello stato-nazione” (p. 104)

Colin Crouch è una voce importante e critica del mondo che studia l’economia mondiale. Professore emerito di sociologia, ha scritto più volte sulla crisi attuale, mostrando i limiti del pensiero neoliberale di mercato che differisce, secondo l’autore dalla variante del neoliberismo attualmente dominante: il neoliberalismo aziendale. E’ una differenza sottile che comporta un guadagno nell’analisi e, quindi, nelle possibili strategie per rispondere ai principali problemi emergenti e indifferibili: disuguaglianza crescente, invadenza del mercato in tutti gli ambiti della vita delle persone, questione ecologica.

I titoli dei tre capitoli di questo gustoso pamphlet, di facile lettura ma di critica fatta di sostanza, indicano la tesi di fondo: il capitalismo neoliberista non va bene, non tutto però è da gettare, cosa possiamo fare per salvare il bambino dall’acqua sporca.

Il capitalismo ha assunto e può assumere diverse forme. Se il neo liberismo attuale vuole la massima libertà del mercato e la minima presenza dello stato, tuttavia questo in pratica non esiste. La questione tra i fautori e i detrattori del neoliberismo è quindi su quale debba essere il mix tra libertà di mercato e regolazione dello stato con il corollario del welfare per diminuire le disuguaglianze che si creano nella vita delle persone.

Se il neoliberismo attuale ha creato così tante disuguaglianze è solo questione di volontà politica e di potere politico ridurre queste disuguaglianze: le soluzioni sono a disposizione, basta solo volerle attuare.

Il primo capitolo affronta le negatività del pensiero neoliberista: esso «è incapace di far fronte alle esternalità che oggi minacciano la stessa vita umana, e in particolare a quelle legate ai cambiamenti climatici. Esso condanna la società a offrire pochi beni pubblici. Non riesce a fornire ai cittadini le informazioni di cui avrebbero bisogno per operare sul mercato, che pure costituisce il solo meccanismo accettabile di allocazione e decisione. Si è lasciato corrompere dall’ascesa delle imprese di enormi dimensioni, in molti casi sostenendone le rivendicazioni, benché questa vada a discapito dell’efficienza dello stesso mercato. E infine non propone alcun rimedio alle disuguaglianze prodotte dalla distorsione della sua forma pura» (p. 38).

Si sta attuando una spirale perversa tra maggiore disuguaglianza che alimenta la forza di alcuni gruppi capitalistici che influenzano le politiche sociali che aumentano le disuguaglianze e così via.

«L’uso del potere politico a fini economici è una disgrazia per il neoliberismo del mercato, per quanto gradita al suo omologo aziendalista. E intanto un pianeta in pessimo stato e redditi stagnanti minacciano la sopravvivenza del sistema capitalistico» (p. 39).

Il secondo capitolo sottolinea i benefici del neoliberismo: la separazione tra potere politico ed economico, il libero commercio (a volte anche in regimi fortemente socialdemocratici), la libera circolazione delle persone. «Il neoliberismo ha il merito di aver diffuso questi principi nel mondo. E il rischio ora è che un suo arretramento ne comprometta qualcuno» (p. 53).

Il terzo capitolo affronta la questione di come uscire da questa impasse del neoliberismo. Secondo il neoliberismo classico il mercato non ha le capacità di autoriformarsi: «In altre parole, i neoliberisti del mercato non sono in grado di correggere i difetti di funzionamento più seri del loro modello. La posizione del neoliberismo aziendalista è radicalmente diversa: alcune grandi imprese e gruppi di persone facoltose hanno la capacità sia di compiere azioni strategiche sia di spingere i governi ad agire» (pp. 56-57).

Chi sono dunque gli attori strategici che possono compiere questa riforma e che cosa li potrebbe spingere ad intervenire? La sfida della crescente disuguaglianza e la sfida al neoliberismo rappresentata dal nazionalismo xenofobo?

In questo capitolo, Crouch analizza con dovizia di particolari la governance complessiva del mercato e i suoi vari attori. Il problema di fondo è che nessuno di essi: politici, manager delle grandi aziende, azionisti e banche hanno strutturalmente la capacità di affrontare decisioni da sostenere nel lungo periodo. Per vari motivi: elezioni ravvicinate, possesso delle azioni che spesso è breve, rapidi ricambi ai vertici dei manager retribuiti anche con azioni, banche che devono remunerare bene nel breve periodo, questo comporta che esiste un forte contrasto tra neoliberismo di mercato e neoliberismo aziendalista. Il primo obbliga «a certi comportamenti responsabili – si possono fare profitti solo offrendo beni e servizi che i consumatori desiderano e a prezzi alla loro portata -, ma si dimostra incapace di dotarsi di misure che tutelino interessi a lungo termine. Se invece prevale il neoliberismo aziendalista, è possibile che le grandi imprese siano incentivate a rimediare ad alcune esternalità, a sostenere cause che il mercato non potrebbe promuovere e a consentire il perseguimento di interessi di lungo periodi, ma lo faranno senza vincoli di mercato o di regolazione. Questi contrasti interni possono rafforzare il neoliberismo anziché demolirlo. Non essendovi nulla che garantisce il prevalere di una forma o dell’altra e considerato chele differenze sono a malapena riconosciute, il sistema può cambiare e adattarsi, e pertanto sopravvivere. Tuttavia, la capacità di compiere azioni strategiche resta debole» (pp. 83-84).

Nelle conclusioni Crouch riprende il tema del contrasto tra neoliberisti di mercato e neoliberisti aziendalisti. Egli propone che lo Stato possa essere una risorsa per affrontare i vari problemi attuali, «tuttavia, questi sistemi di governo potrebbero riuscire ad acquistare la forza necessaria a contrastare il potere del mondo degli affari solo se democraticamente sostenuti dalla gente. Il problema è che si tratta di un risultato estremamente difficile da raggiungere, considerato che la maggior parte delle mobilitazioni popolari si svolge nel contesto dello stato-nazione e che le attuali tendenze xenofobe aspirano a impedire lo sviluppo di iniziative popolari al di fuori dei confini nazionali» (p. 102)

La conclusione del libretto è foriera di non facili soluzioni:

«Da quando il capitalismo neoliberista si è trovato di fronte a crisi e vicoli ciechi, si sono sviluppati confronti politici inconsueti. Il liberalismo non democratico delle mobilitazioni popolari internazionali trova i suoi principali ma improbabili partner di dialogo nei tecnocrati delle organizzazioni internazionali, sempre più preoccupati. Le une e gli altri si interfacciano con una forma di democrazia sempre meno liberale e con un populismo antiumanista. Il neoliberismo, oscillante tra l’irrealismo della versione del mercato puro e l’incoerenza della forma aziendalista, resta a metà strada. Lo si potrà riformare solo se e quando i principali gruppi di interesse capiranno che flirtare con le forze xenofobe significa mettere a rischio i propri interessi di lungo periodo, peraltro già sotto la minaccia delle loro stesse azioni a breve termine; e se e quando la politica democratica potrà davvero estendersi al di sopra del livello dello stato-nazione» (p. 104).

 

Colin Crouch, Salviamo il capitalismo da se stesso, Il Mulino, Bologna 2017.

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