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“La necessità di ridurre la disuguaglianza non dipende però solamente dalle sue conseguenze negative, del tipo descritto sopra. Esistono ragioni intrinseche per credere che il livello attuale di disuguaglianza sia eccessivo. Tali ragioni possono essere inquadrate in una più generale teoria della giustizia” (p. 16).

L’autore è uno dei più importanti economisti della nostra generazione, pur essendo morto il 1 gennaio 2017 all’età di 72 anni. Questo è il suo ultimo libro, una sorta di testamento delle sue idee in merito a come ridurre la disuguaglianza.

Il suo è un contributo originale e volutamente fuori dal pensiero dominante, perché lo ritiene troppo distante dalla realtà della vita delle persone concrete. «In questo libro la mia preoccupazione è per ciò che accade ai singoli e alle loro famiglie» (p. 105). E solo per questo merita attenzione, vista la scarsa attenzione alla persona dell’attuale scienza economica, più propensa ad occuparsi dell’homo oeconomicus che complessa personalità di ciascuno di noi.

«Vi è un vivo dibattito sul ruolo delle istituzioni, le quali però non fanno parte del nucleo dell’economia. Nei primi capitoli dei manuali tradizionali, gli studenti leggono di famiglie e aziende impegnate in mercati concorrenziali in cui i prezzi uguagliano domanda e offerta. Se dovessi scrivere un manuale di economia, inizierei invece con aziende in concorrenza monopolistica e con potere di mercato, che negoziano sui salari, in un mondo in cui ci sono lavoratori disoccupati. Non sto scrivendo un manuale, ma la mia posizione condiziona la risposta che do alla domanda se si possa ridurre la disuguaglianza e al contempo migliorare l’efficienza. Se assumo un punto di vista diverso da altri economisti sulle varie forme di intervento pubblico, in parte è perché muovo da un modo differente di concepire il funzionamento dell’economia. La scelta del modello economico può influenzare profondamente le conclusioni che si traggono sulla desiderabilità di certe proposte politiche» (p. 248)

E’ un testo ruvido, che però ha il pregio, pagina dopo pagina, di affrontare con coraggio le conseguenze di possibili scelte economiche, ai vari livelli, dal comune di Oxford fino al Fondo Monetario Internazionale.

La prima parte del libro è la diagnosi della situazione storica che ha visto crescite e diminuzione delle disuguaglianze: «L’esperienza fa pensare che una diminuzione della disuguaglianza si sia prodotta grazie a una combinazione fra ridotta disuguaglianza dei redditi di mercato e ridistribuzione più efficace, e questa è la base delle proposte che avanzerò qui» (p. 115).

La seconda parte vede l’autore impegnato a fare 15 proposte per l’azione: «Molte proposte comprendono le classiche misure della fiscalità progressiva e della protezione sociale, e già posso sentire i critici che le liquidano come noiosamente familiari o estremamente utopiche […] ma uno dei temi principali del libro resta l’importanza di misure atte a rendere meno disuguali i redditi delle persone prima delle imposte e dei trasferimenti governativi» (p. 117).

Riporto la sintesi delle 15 proposte come lo stesso Atkinson ha fatto:

«Nella Parte seconda, ho avanzato quindici proposte di misure che, credo, ridurrebbero sostanzialmente l’estensione della disuguaglianza:

Proposta 1: La direzione del cambiamento tecnologico deve essere una preoccupazione esplicita della politica; va incoraggiata l’innovazione in una forma che aumenti l’occupazione, mettendo in rilievo la dimensione umana della fornitura di servizi.

Proposta 2: La politica pubblica deve mirare a un equilibro appropria­to di poteri fra gli stakeholder, e a questo fine deve (a) introdurre una dimensione distributiva esplicita nelle regole della concorrenza, (b) ga­rantire un quadro giuridico di riferimento che consenta aí sindacati di rappresentare i lavoratori a pari diritti e (c) formare, ove già non esista, un Consiglio sociale ed economico che coinvolga le parti sociali e altri organismi non governativi.

Proposta 3: Il governo deve adottare un obiettivo esplicito per prevenire e ridurre la disoccupazione e deve sostenere tale obiettivo offrendo un impiego pubblico garantito a salario minimo a quanti lo cercano.

Proposta 4: Deve esistere una politica salariale nazionale, fondata su due elementi: un salario minimo legale fissato a livello di salario vitale e un codice di buone pratiche per le retribuzioni al di sopra del minimo, con­cordato nell’ambito di una “conversazione nazionale” che coinvolga il Consiglio sociale ed economico.

Proposta 5: II governo deve offrire, attraverso buoni di risparmio nazio­nali, un tasso di interesse reale positivo garantito sui risparmi, preveden­do un tetto massimo per persona.

Proposta 6: Deve esistere una dotazione di capitale (eredità minima) as­segnata a tutti all’ingresso nell’età adulta

Proposta 7: Deve venire creata una Autorità di investimento pubblica, che gestisca un fondo patrimoniale sovrano al fine di accrescere il pa­trimonio netto dello Stato con investimenti in aziende e proprietà im­mobiliari.

Proposta 8: Dobbiamo tornare a una struttura di aliquote più progressiva per l’imposta sui redditi delle persone fisiche, con aliquote marginali cre­scenti per scaglioni di reddito imponibile, fino a un’aliquota massima del 65 %, il tutto accompagnato da un ampliamento della base imponibile.

Proposta 9: IL governo deve introdurre nell’imposta sui redditi delle per­sone fisiche uno “sconto sui redditi da lavoro”, limitato alla prima fascia di retribuzione.

Proposta 10: Eredità e donazioni inter vivos devono essere soggette a un’imposta progressiva sugli introiti da capitale nell’arco della vita.

Proposta 11: Deve esistere un’imposta proporzionale, o progressiva, su­gli immobili, basata su una valutazione catastale aggiornata.

Proposta 12: Deve essere pagato un assegno familiare per tutti i figli, in misura sostanziale, che vada soggetto a imposta come reddito.

Proposta 13: Deve essere introdotto a livello nazionale un reddito di partecipazione, a complemento della protezione sociale esistente, con la prospettiva di un reddito di base per i figli a livello di Unione Europea.

Proposta 14 (alternativa a 13): Deve darsi un rinnovamento della pre­videnza sociale, con un innalzamento del livello dei benefici e un’esten­sione della sua copertura.

Proposta 15: I Paesi ricchi devono innalzare il loro obiettivo per l’assi­stenza ufficiale allo sviluppo, portandolo all’i % del reddito nazionale lordo.

Accanto a queste proposte, vi sono varie possibilità da esplorare ul­teriormente:

Idea da perseguire: una revisione approfondita dell’accesso al mercato del credito per le famiglie, al fine di contrarre prestiti non garantiti da ipote­ca sulla casa.

Idea da perseguire: esame della possibilità di un trattamento “basato sull’imposta sui redditi” dei contributi per le pensioni private, in modo analogo agli attuali schemi di risparmio “privilegiato”, che anticiperebbe il pagamento delle imposte.

Idea da perseguire: un riesame della possibilità di un’imposta patrimoniale annuale e dei prerequisiti per una sua efficace introduzione.

Idea da perseguire: un regime fiscale globale per i contribuenti individuali, basato sulla ricchezza totale.

Idea da perseguire: un’imposta minima per le società» (pp. 241-243).

La terza parte del libro affronta le possibili critiche e offre risposte concrete per attuare le proposte della seconda parte. Il pensiero di Atkinson è sempre pragmatico: cosa possiamo fare ora per ridurre le disuguaglianze. «L’obiettivo è delineare i percorsi per andare avanti, non indicare la destinazione finale» (p. 305).

La risposta, che percorre tutto il libro, è anche semplice, per così dire: se vogliamo, lo possiamo fare. L’autore è convinto che non c’è un «qualcosa» che determina l’andamento dell’economia, ma che questo è determinato dalle scelte di tutti noi, dai decisori politici, economici, aziendali, fino ai semplici cittadini.

«La cosa fondamentale è che non accetto l’idea secondo cui la crescita della disuguaglianza sia inevitabile: non è il prodotto esclusivamente di forze che stanno al di fuori del nostro controllo. Esistono passi che possono essere intrapresi dai governi, singolarmente o collettivamente, da aziende, da sindacati e organizzazioni dei consumatori e da noi tutti in quanto individui, per ridurre o livelli attuali di disuguaglianza» (p. 306).

Atkinson era, tuttavia, un ottimista sulla possibilità di ridurre le disuguaglianze. Le ultime righe del suo libro ne sono una testimonianza e un testamento:

«Ho scritto questo libro con uno spirito positivo. Ho evidenziato l’importanza di guardare indietro nel tempo, ma non ritengo che siamo tornati a vivere in un mondo simile a quello della regina Vittoria. I cittadini dei paesi OCSE oggi godono di uno standard di vita molto superiore a quello dei loro bisnonni. La conquista di una società meno disuguale all’epoca della Seconda guerra mondiale e nei decenni successivi non è stata completamente buttata alle ortiche. A livello globale, la grande divaricazione fra i Paesi associati alla Rivoluzione industriale si sta chiudendo. E’ vero che dal 1980 abbiamo visto una “Svolta della disuguaglianza” e che il XXI secolo ci impone nuove sfide, quali l’invecchiamento della popolazione, il cambiamento climatico e gli squilibri globali, ma le soluzioni a questi problemi sono nelle nostre mani. Se siamo disposti a usare la nostra maggiore ricchezza per affrontare tali sfide e ad accettare che le risorse vadano condivise in modo meno disuguale, ci sono buoni motivi per essere ottimisti» (p. 312)

In Italia c’è chi ha raccolto la sfida di Atkinson, il Forum Disuguaglianze Diversità. Benecomune.net ha dato conto di una sua significativa iniziativa nell’articolo di Patrizia Luongo Proposte di giustizia sociale.

 

Anthony B. Atkinson, Disuguaglianza. Che cosa si può fare? Raffaello Cortina, Milano 2015.

 

Citazioni

“La disuguaglianza è una violazione della dignità umana; è la negazione della possibilità che ciascuno possa sviluppare le proprie capacità. Prende mote forme e ha molte conseguenze: morte prematura, salute cattiva, umiliazione, subordinazione, discriminazione, esclusione dalla conoscenza e/o da dove si svolge prevalentemente la vita sociale, povertà, impotenza, mancanza di fiducia in se stessi e di opportunità e possibilità della vita. Non è quindi solo questione delle dimensioni del proprio portafoglio. E’ un ordinamento socio-culturale che riduce le capacità, il rispetto e il senso di sé, così come le risorse per partecipare pienamente alla vita sociale” (G, Therborn, The Killing Fields of Inequality, Polity Press, Cambridge 2013, p. 1) (p. VII)

“Il modo in cui si determina la struttura dei premi è la principale preoccupazione di questo libro” (p. 15)

“La necessità di ridurre la disuguaglianza non dipende però solamente dalle sue conseguenze negative, del tipo descritto sopra. Esistono ragioni intrinseche per credere che il livello attuale di disuguaglianza sia eccessivo. Tali ragioni possono essere inquadrate in una più generale teoria della giustizia” (p. 16).

“La scelta tra consumo e reddito dipende dalla finalità dell’analisi. Nel caso della misura della povertà, la risposta dipende da quale di due concezioni diverse abbracciamo. La prima si interessa al tenore di vita, la seconda al diritto a un livello minimo di risorse” (p. 39).

“Per cercare di ricavare buone indicazioni dalle statistiche sulla disuguaglianza, dobbiamo essere convinti però della qualità dei dati che usiamo: inizio perciò questo capitolo con una descrizione e una valutazione delle fonti su cui possono basarsi gli studi sulla disuguaglianza” (p. 49).

“Le due domande poste all’inizio di questa sezione erano: perché la disu­guaglianza è diminuita in Europa nei decenni immediatamente successivi alla Seconda guerra mondiale e perché dopo il 1980 si è avuta una svolta in direzione opposta? Si potrebbe dire molto altro, ma i fattori principali che sono stati identificati come possibili spiegazioni per il periodo in cui la disuguaglianza dei redditi in Europa è diminuita sono (come riassunto nella colonna centrale della Tabella 2.1) il welfare state e l’espansione dei trasferimenti, la quota crescente dei salari, la riduzione della concentra­zione dei patrimoni personali e la minore dispersione delle retribuzioni in conseguenza degli interventi governativi e della contrattazione collet­tiva. Il motivo principale per cui il processo dí egualizzazione è terminato pare essere il fatto (si veda l’ultima colonna della Tabella 2.1) che questi fattori hanno innestato la retromarcia (riduzione del welfare state, ridu­zione della quota dei salari e crescita della dispersione delle retribuzioni) o sono stati eliminati (la ridistribuzione della ricchezza)” (pp.78-79).

Tabella 2.1. Meccanismi che portano a una variazione della disuguaglianza.
Meccanismo Decenni dopo la Seconda guerra mondiale, fino alla metà degli anni Settanta Periodo a partire dagli anni Ottanta
Dispersione dei salari In certi momenti La dispersione dei salari si è ridotta, grazie alla contrattazione collettiva e all’intervento dei governi sul mercato del lavoro. In molti Paesi dell’OCSE si è verificato un allargamento nella parte superiore della distribuzione delle retribuzioni.
Disoccupazione e popolazione non nella forza lavoro L’aumento della percentuale dei non entrati nella forza lavoro e l’invecchiamento della popolazione hanno portato a una disuguaglianza crescente del reddito di mercato, compensata da trasferimenti sociali. Disoccupazione elevata persistente
Quota dei salari sul reddito nazionale Tendenza della quota dei salari ad aumentare, portando a una riduzione della disuguaglianza complessiva di reddito. Tendenza alla caduta della quota dei salari.
Concentrazione di reddito da capitale

(profitti e rendite)

Diminuzione sostanziale nelle quote dei patrimoni maggiori, ma bisogna tener conto delle implicazioni della crescita della ‘ricchezza popolare”. La riduzione delle quote dei patrimoni più elevati risulta terminata.
Quota del reddito da trasferimenti I trasferimenti sociali ridistributivi più che compensano la disuguaglianza crescente del reddito di mercato. Riduzione dei trasferimenti sociali ridistributivi
Impatto della tassazione diretta progressiva Imposte progressive sui redditi hanno moderato l’impatto della crescita delle retribuzioni più alte. Le aliquote delle imposte sui redditi più alti sono state ridotte in modo sostanziale.

“Quasi 20 anni fa, Amartya Sen concludeva un suo articolo con questa constatazione: “E’ incredibile che nell’Europa contemporanea venga così facilmente tollerato un livello tanto elevato di disoccupazione”. Rimane incredibile ancora oggi” (p. 81).

“Come sosterrò, si possono muovere critiche valide all’economia contemporanea, ma bisognerebbe dare credito agli economisti che si sono concentrati sulla crescita della disuguaglianza e hanno identificato una serie di fattori che vi contribuiscono, fra cui:

– la globalizzazione;

– il cambiamento tecnologico (tecnologia dell’informazione e della comunicazione);

– la crescita dei servizi finanziari;

– il cambiamento delle norme retributive;

– la riduzione del ruolo dei sindacati;

– la contrazione della politica ridistributiva in materia di imposte e trasferimenti” (p. 87).

“Sir Henry Phelps Brown apre il suo libro The Inequlity of pay opponendo all’impostazione dell’economista quella del sociologo. Il primo vede le persone impegnate in transazioni razionali, impersonali; il secondo le vede come membri interagenti di un’entità sociale. Le due impostazioni, però, non sono in concorrenza; è meglio considerarle complementari” (p. 96).

“Il riconoscimento del potere del mercato cambia tutta la storia. L’ipotesi che le aziende si comportino in modo perfettamente competitivo non è una semplificazione innocua; può essere un punto di partenza fortemente fuorviante” (p. 104).

“Per comprendere a pieno queste interconnessioni, dobbiamo considerare l’equilibrio generale dell’economia. Per molti fini, è sufficiente prendere in considerazione solo parte dell’economia, ossia l’equilibrio parziale”, come nel caso del mercato del latte, ma per studiare la distribuzione del reddito dobbiamo mettere insieme i mercati del lavoro e dei capitoli (lo abbiamo già notato) e i mercati dei prodotti. Dobbiamo concepire l’economia come un tutto” (p. 104).

“L’esperienza fa pensare che una diminuzione della disuguaglianza si sia prodotta grazie e a una combinazione fra ridotta disuguaglianza dei redditi di mercato e ridistribuzione più efficace, e questa è la base delle proposte che avanzerò” (p. 115).

“I calcoli ci ammoniscono sui limiti di quel che si può ottenere con una ridistribuzione convenzionale mediante tributi e benefici. Sottolineano l’importanza delle proposte che cercano di rendere i redditi meno disuguali prima di imposte e trasferimenti. La garanzia di un pieno impiego, con una distribuzione più equa delle retribuzioni, e una proprietà più ugualitaria del capitale sono elementi essenziali per qualsiasi strategia volta a ridurre l’uguaglianza” (p. 303).

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