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Non tutto si circoscrive all’interesse personale. Si può cercare di raccogliere i frammenti di una parte di popolo, di una "maggioranza invisibile” che non ha coscienza di sé stessa. Non è una classe, però è accomunata dallo stesso destino, fatto di una quotidianità bella e drammatica. Una maggioranza, silenziosa e frastagliata, composta da pensionati a basso reddito, disoccupati, neet, migranti, precari. Sarà capace di giungere a una comune dimensione rivendicativa?

Non tutto si circoscrive all’interesse personale. Si può osare di più. Si può cercare di raccogliere i frammenti di una parte di popolo che – in una maggioranza qui definita “invisibile” – non ha coscienza di sé stessa. Non è una classe, però è accomunata dallo stesso destino, fatto di una quotidianità tanto bella (come possono essere i momenti che l’autore cita senza paura di perdere l’aplomb accademico: dal primo caffé al bar la mattina al vivacità dei cortili) quanto drammatica nella sua dinamica individuale e sociale. Il neoliberismo trasforma i problemi collettivi in problemi individuali, vissuti da tanti: una maggioranza composta da pensionati a basso reddito, disoccupati, neet, migranti, precari: una maggioranza silenziosa e talmente frastagliata da rendere (forse) impossibile una comune dimensione rivendicativa. Il dato sociologico, insomma, non è ancora un dato politico.

Questa maggioranza impoverisce a fronte di una (comunque) vasta area media sommata ad un’élite che arricchisce: chi niente, chi troppo. Il perché si deve all’azione congiunta di quattro processi. Il primo è il trionfo del neoliberismo, che si è imposto anzitutto come pensiero (“There is no alternative”). Il secondo è un processo di integrazione monetaria all’interno di un mercato unico senz’anima sociale, di pura tecnica monetaria a favorire un liberismo selettivo. Il terzo è costituito dalle lacune di un welfare fordista, solo per garantiti e solo per alcuni ambiti di cittadinanza (quando invece – ad esempio – di treni puntuali ed efficienti ne fruirebbe anche la precaria e… mobilissima figura del pendolare, che meriterebbe un posto particolare nelle fila di questa maggioranza invisibile).
Il quarto è – spiace scriverlo ma è così – la cecità delle forze progressiste. Oggi i sindacati faticano a difendere i più deboli, quelli che sono fuori dalla cerchia dei garantiti. Faticano anche i partiti politici, che non riescono a superare il paraocchi neoliberista: come scrive l’autore “a differenza del compromesso storico degli anni Settanta, la convergenza tra centrodestra e centrosinistra è maturata sfavorendo la maggioranza invisibile e accettando i fondamenti del neoliberismo”.

L’Italia – poi, in particolare – reagisce in modo stereotipato all’evoluzione sociale ed economica. Qui Ferragina riprende una creazione gramsciana, quella di “rivoluzione passiva”, per cui l’Italia ha sempre vissuto di trasformismo e di cesarismo: il cambiamento non è portato avanti dal basso, ma da gruppi forti e garantiti dal sistema. In qualche misura il fantasma della maggioranza invisibile si è materializzato nel voto al M5S, dove l’analisi dei flussi di voto dimostra chiaramente come esso sia stato preferito soprattutto dai lavoratori atipici, dai disoccupati, dalle donne (ma non dai pensionati: quelli preferiscono votare Pd) e, in generale, da chi sente il desiderio di modificare un assetto che produce ineguaglianza e inefficienza. Ma, argomenta l’autore, il M5S sembra non essere in grado di articolare un progetto politico che vada oltre la protesta antisistema. Invece sarebbe necessario saper rappresentare chi non gode dei vantaggi di un sistema ingiusto (dare visibilità e coerenza a quest’area), sviluppare un progetto politico vero e radicare il progetto politico nella società italiana.

Si tratta dunque – scrive l’autore – di “riumanizzare lo spazio sociale, rinnovando un racconto collettivo messo al bando dal neoliberismo”. Ma per capire la maggioranza invisibile bisogna distaccarsi dal dogma lavorista della vecchia sinistra (per cui per accedere alla protezione occorre lavorare): le caratteristiche della maggioranza invisibile sono radicalmente diverse da quelle della working class fordista. La maggioranza invisibile non è un semplice riflesso delle trasformazioni sociali. La maggioranza invisibile è una nuova narrazione di un corpo sociale in potenza, che al centro del dibattito mette l’idea della cittadinanza sociale.

Vorrei concludere con due osservazioni. La prima è di forma. Ferragina, per dimostrare la sua tesi, sa mettere insieme la sociologia, l’economia, la giurisprudenza, la scienza politica e perfino la letteratura e la poesia, a dimostrazione che per raccontare la società bisogna anche starci dentro e amarla. La seconda è di contenuto. Esprimo qualche perplessità sul fatto che un coacervo di debolezze possa trasformarsi in una forte e consapevole massa di rilievo socio-politico. Però la strada popolare è quella: mi sembra che anche Franco Cassano potrebbe essere d’accordo…

Emanuele Ferragina, La maggioranza invisibile, Bur, Milano, 2014.

Citazioni
“Le visioni collettive non sono state superate dall’evoluzione storica, come molti sostengono, la società non è cambiata a tal punto da rendere privo di senso ogni discorso che non parta dall’interesse individuale”.

“Essere svantaggiati, fare parte della maggioranza invisibile, contribuisce all’avere un più immediato possesso della realtà, a confrontarsi direttamente con il gusto aspro delle cose”.

“Il rischio è che Renzi, disponendo di un consenso elettorale basato sul voto dei garantiti, continui a perseguire politiche che acuiscono il disagio della componente più debole della maggioranza invisibile.
[…] Il cambiamento che vogliamo, in realtà, è lì, basta inseguirlo collettivamente. Ma per farlo bisogna tornare ad avere il coraggio di contemplare quell’idea di cambiamento”.

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