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Se un sistema politico si fonda su tre poli, tra loro inconciliabili, la democrazia rischia l’impotenza. Per fortuna gli italiani, da buoni commercianti, piangono sempre miseria e litigano tra loro, però nei momenti difficili ritrovano un’insospettata unità di fondo. Evidentemente, oltre lo Stato, esistono altri luoghi di mediazione politica e elaborazione, sconosciuti al resto del mondo.

Quando in un sistema politico si formano tre poli, tra loro inconciliabili, la democrazia corre un rischio gravissimo: l’impotenza. Per trovare un precedente bisogna tornare indietro alle elezioni del 1919, le prime con il proporzionale, in cui emersero tre poli; due erano partiti strutturati, popolari e socialisti, e il terzo era la galassia dei liberali; una situazione difficilmente governabile. Così che nel giugno del 1920 fu richiamato al governo il vecchio Giolitti, maestro indiscusso della gestione parlamentare dato che i tre gruppi erano fondamentalmente inconciliabili tra loro.

I liberali erano fortemente antisocialisti e anticlericali e mai si sarebbero seduti al tavolo con un prete per discutere di politica; infatti Don Sturzo era il segretario del Partito Popolare anche se non deputato. Nei socialisti prevaleva l’anima massimalista decisamente contraria al riformismo socialista che nell’anteguerra aveva “flirtato” con lo stesso Giolitti.

I popolari erano ferocemente contrari al “gran corruttore”, Giolitti, il quale si era sempre disinteressato del Mezzogiorno d’Italia lasciato in mano ai “galantuomini”. I cattolici erano radicati al Sud e nelle campagne ed avevano sopportato la maggior parte dei lutti della guerra, mentre i socialisti, sia pure militarizzati, erano rimasti in fabbrica a lavorare o a mandare i treni nelle retrovie.

Nessuno si fidava dell’altro e Giolitti riuscì a malapena a formare un governo, ma aveva una base consensuale molto ristretta, fatta ancora da notabili non radicati nel tessuto sociale di un Paese in rapida evoluzione. Le elezioni del 1922 riprodussero lo stesso schema e Giolitti uscì di scena definitivamente. Ancora due anni di convulsioni e poi la crisi, non più governabile, sfociò nel fascismo.

Facciamo un passo avanti di quasi cento anni: per la seconda volta nella storia d’Italia in Parlamento si è verificata la stessa identica situazione. Partito Democratico, M5S, e Forza Italia, all’indomani del voto del 2013, erano apparentemente inconciliabili e il Paese aveva di nuovo bisogno di riforme che solo un governo forte poteva portare a compimento.
Qualche differenza: al Quirinale c’è (c’era) Napolitano e non Vittorio Emanuele III; l’Europa, croce e delizia degli italiani, ha fatto sentire il suo peso e nonostante qualche politico “ladro” la classe dirigente Italiana si è rivelata molto più matura di quella di cento anni fa.

Ci sono voluti quasi due anni, ma da quella situazione di stallo si sta faticosamente uscendo. Una parte del centro-destra si è dimostrata responsabilmente classe dirigente dello Stato ed ha accettato un governo di coalizione che desse avvio alle riforme tanto necessarie. Il Partito Democratico, abbandonate le sirene moralistiche anti berlusconiane, ha accettato il confronto e avviato una serie di riforme, prima con Letta e ora con Renzi. Il M5S, il terzo polo nato su di un convulso moto antipolitico, ha perso gran parte del suo appeal e sta subendo pesanti sconfitte alle elezioni locali, nonché una emorragia continua e in parte voluta, di deputati e senatori.

E’ dunque prevedibile che i tre poli si riducano a due e con all’attivo alcune importanti riforme: costituzionale, legge elettorale, stato sociale, finanziamento ai partiti, moralità della vita pubblica, e più timidamente, la giustizia, la legge sul lavoro, la disciplina di bilancio.

Il pericolo dell’ingovernabilità si sta faticosamente superando e ci si avvia ad una gestione dello Stato che veda per almeno cinque anni un programma elettorale promesso, attuato e infine giudicato.
L’ingovernabilità dovuta a tre schieramenti contrapposti sarebbe stata molto pericolosa, avrebbe dato fiato alle frange estremiste della piazza e ci avrebbe portato ad una involuzione politica ricacciandoci indietro di 70 anni.

Nonostante appaia un “teatrino della politica” estremamente litigioso, in realtà il tessuto sociale e politico italiano ha una compattezza che non ha uguali nel mondo. La Resistenza italiana fu l’unica veramente unitaria in Europa, nell’Aprile del 1944 Togliatti tolse la pregiudiziale antimonarchica per il governo e nel 1946 da ministro di Grazia e Giustizia varò l’amnistia per i fascisti avviando la necessaria riappacificazione dopo la guerra civile; la Costituzione è la sintesi perfetta di tutte le componenti politiche nonostante che socialisti e comunisti fossero all’opposizione; quando il terrorismo negli anni ’70 minacciava da vicino lo Stato, la politica seppe ritrovare l’unità e la fermezza necessarie, così è successo per l’offensiva mafiosa siciliana o per i tentativi di colpo di Stato della estrema destra nel dicembre 1970.

Da buoni commercianti, gli italiani piangono sempre miseria e litigano tra loro, poi, nei momenti difficili, si scopre una insospettata unità di fondo che li rende unici in Europa e nel mondo, con lo stupore di tutti gli osservatori stranieri. Evidentemente, oltre lo Stato, esistono altri luoghi di mediazione politica ed elaborazione culturale, sconosciuti al resto del mondo.

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