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Gesù risorto non viene riconosciuto subito perché è molto più di uno che ritorna in vita, è colui che apre le porte del futuro. Celebrare oggi la morte e la risurrezione di Gesù vuol dire rendersi disponibili a nuove possibilità, aprire nuove frontiere, abbattere muri. Entrare in un mondo rinnovato.

La celebrazione della morte e risurrezione di Gesù congiunge i significati della vicenda di Cristo, della Pasqua di Israele, e delle feste ancestrali che sono all’origine di questa tradizione. Cosa dice tutto questo a noi oggi? Mi soffermo su alcune indicazioni di significato esistenziale per ognuna delle tappe storiche della Pasqua.

1) All’origine vi è la fusione di una festa agricola (azzimi) e di una festa pastorale (immolazione degli agnelli). Il loro comune denominatore è il significato simbolico della primavera. La Pasqua, infatti, viene celebrata il primo plenilunio dopo l’equinozio di primavera. È la vittoria della luce sulle tenebre, della vita sulla morte, dell’estate sull’inverno, del dinamismo sulla stasi. Il pane azzimo, inoltre, interrompendo il ciclo del lievito, proclama che il passato, in quanto forza limitante, non ha più presa su di noi, il futuro è possibile.

2) La Pasqua di Israele, come celebrazione, nasce dall’intuizione che le feste annuali della primavera possono fornire la base per fare memoria dell’intervento decisivo del Dio di Israele nella storia: l’esodo. Emergono due elementi. Il primo è il concetto di memoriale: nella celebrazione del rito diveniamo contemporanei di coloro che hanno esperimentato l’evento, e, d’altra parte, l’evento di salvezza diventa attivo per noi oggi. Il secondo elemento è il banchetto celebrato in famiglia: esprimo la mia libertà nella condivisione del cibo con i fratelli. L’uomo libero è colui che si riconosce figlio, e dunque fratello, sposo, padre e madre.

3) Secondo i Vangeli Sinottici Gesù istituisce l’eucaristia durante la celebrazione di una cena pasquale ebraica. In questo modo si afferma che i significati visti sopra trovano il loro compimento in Gesù. Con l’eucaristia, inoltre, egli intende donarci un rito mediante il quale possiamo entrare in comunione con lui, la sua vita, la sua passione, morte e risurrezione. Anche qui prendiamo due elementi. Il primo è l’espressione greca “l’uno dei sabati”, tradotta in Italiano con “il primo giorno della settimana”. Il numero cardinale rimanda al “giorno uno” (yom echad in Ebraico) di Gn 1,5. La risurrezione di Gesù viene messa in parallelo con l’emergere della luce all’inizio della creazione. È il giorno “uno”, unico, che origina tutti gli altri. Da questo momento nulla è più come prima, la storia del mondo e dell’universo entrano nella fase ultima e definitiva.

La menzione dei “sabati” indica che la domenica è la pienezza di tutti i significati contenuti nel sabato (compimento della creazione, e memoriale della liberazione dalla schiavitù d’Egitto). Il secondo elemento è la prospettiva verso il futuro. Gesù risorto non viene riconosciuto subito perché è molto più di uno che ritorna in vita, è colui che apre le porte del mondo futuro. Egli è l’irruzione della dimensione eterna, di quella realtà di pienezza inesprimibile che S. Paolo indica come “corpo spirituale” (1Cor 15,44), materia totalmente pervasa dallo Spirito.

Celebrare la morte e la risurrezione di Gesù vuol dire rendersi disponibili a nuove possibilità. Si aprono frontiere, si spalancano porte, si abbattono muri, si sciolgono nodi. Quello che è impossibile diviene realtà. Entriamo nel mondo nuovo.

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