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La Rete è in grado di autogovernarsi? Rodotà risponde negativamente sottolineado la necessità di garanzie "costituzionali" in grado di tutelare i diritti dei navigatori e di porre vincoli ai grandi attori internazionali. In questo modo il web può essere un luogo di partecipazione democratica evitando il rischio di trasformarsi in una dittatura in cui ognuno si sente sorvegliato

Internet, il più grande spazio pubblico che l’umanità abbia conosciuto, non ha sovrano, no ha chi è in grado di governarlo. Diventa quindi necessario e urgente dare risposte ad alcune domande: il mondo del web può̀ avere regole sebbene mobile e in continuo mutamento? Deve trovare una sua traduzione istituzionale, una sua ‘costituzione’?

Si tratta di interrogativi che da tempo accompagnano le discussioni sul futuro di internet e che avevano portato alcuni a considerare l’ipotesi di arrivare a definire delle regole come un’inaccettabile minaccia alla sua natura intrinsicamente libertaria. Ma la crescente rilevanza sociale e politica di internet – basti pensare al nuovo rapporto tra democrazia e diritti creato dalle reti sociali e a tutto il dibattito sulla democrazia digitale – ha messo in primo piano il tema dei diritti di internet.

Stefano Rodotà – presidente tra l’altro della Commissione che lo scorso 14 ottobre ha presentato la Carta dei diritti degli utenti di Internet – in questo suo ennesimo lavoro sul tema dei diritti e della cittadinanza digitale insiste sulla necessità di realizzare un “Internet Bill of Rights”, un documento che riguardi i diritti propri di internet, emersi a seguito della crescente pervasività della Rete, che riguardano tre questioni principali:
– i diritti fondamentali delle persone, che si riferiscono alla tutela della vita privata in un ambiente pubblico;
– la partecipazione, ossia la salvaguardia di internet come strumento di partecipazione democratica;
– il rapporto con la libertà economica.

Servono, quindi, diritti a favore dei navigatori. Diritti che ne tutelino: l’accesso (diritto di attingere alla conoscenza, come di produrne di nuova); la libertà di opinioni; la sicurezza di non essere discriminati (ciò che viene definita la neutralità); l’anonimato; la privacy e il diritto all’oblio. Internet ha mutato, in particolare, la natura di questi ultimi due diritti.

Nata come diritto dell’individuo borghese a escludere gli altri da ogni invasione della propria sfera privata, la tutela della privacy si è sempre più strutturata come diritto di ogni persona al mantenimento del controllo sui propri dati, ovunque essi si trovino. Questo passaggio dall’originaria nozione di privacy, ancorata soltanto al criterio dell’esclusione dell’altro e trasformatasi nel diritto di seguire le proprie informazioni e opporsi alle interferenze, corrisponde a un mutamento profondo delle modalità di invasione nella sfera privata.

Rispetto ai tradizionali e sostanzialmente limitati casi di violazione della privacy, oggi le occasioni di violazione o di semplici interferenze accompagnano quasi ogni momento della nostra vita quotidiana, continuamente “monitorata”, tenuta sotto osservazione, implacabilmente registrata. Per questo nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea il «diritto alla protezione dei dati personali» (art.8) viene riconosciuto come diritto autonomo, separato dunque da quello «al rispetto della propria vita privata e familiare» (art.7).

In relazione alla pervasività della Rete nasce il bisogno di una tutela un tempo impensabile, come il diritto all’oblio e alla cancellazione dei dati personali. Emerge così, nel nuovo mondo di internet, un tema antico. Dalla cancellazione della memoria all’imposizione: ieri la damnatio memoriae, oggi l’obbligo del ricordo.

L’implacabile memoria collettiva di Internet, dove l’accumularsi di ogni nostra traccia ci rende prigionieri di un passato destinato a non passare mai, non consente la costruzione di una personalità libera dal peso dei ricordi, imponendo un continuo controllo sociale da parte di un’infinita schiera di persone che possono facilmente conoscere le informazioni sugli altri. Da qui nasce il bisogno di difese adeguate, che prende la forma della richiesta di diritti nuovi: il diritto all’oblio, il diritto di non sapere, di non essere “tracciato”, di cancellare il chip grazie al quale si raccolgono i dati personali.

Il libro si conclude con un appello contro i sistemi di sorveglianza, firmato da 560 scrittori e intellettuali dopo lo scandalo del Datagate svelato da Snowden, in cui si ricorda che “una persona sotto sorveglianza non è più libera, una società sotto sorveglianza non è più una democrazia”.

Vengono inoltre proposte altre due sessioni: i numeri della rete che dà conto della diffusione di internet nei vari paesi del mondo e una cronologia della rete che individua le tappe fondamentali, dagli anni 60 ad oggi, che hanno segnato il suo sviluppo.

Stefano Rodotà, Il mondo nella rete. Quali diritti, quali vincoli, Laterza, Roma-Bari 2014.


Citazioni

“La conoscenza in rete deve essere considerata un bene comune, al quale deve essere sempre possibile l’accesso. Per questo è necessario affermare una responsabilità pubblica nel garantire quella che deve essere considerata una componente della cittadinanza, dunque una pre-condizione della stessa democrazia”.

“Essendo Internet diventato uno strumento indispensabile per rendere effettivo un gran numero di diritti fondamentali, per combattere la disuguaglianza e per accelerare lo sviluppo e il progresso civile, la garanzia di un accesso universale a Internet deve rappresentare una priorità per tutti gli Stati”.

“Rivendichiamo il diritto di tutte le persone a determinare, in quanto cittadini democratici, in che misura possa avvenire la raccolta, archiviazione e elaborazione dei propri dati personali e ad opera di chi; il diritto di essere informati sulle modalità di archiviazione dei propri dati e sull’uso che ne viene fatto; di ottenere la cancellazione dei propri dati nel caso in cui siano stati raccolti e archiviati illegalmente”.

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