Questo libro aiuta a fare chiarezza sulle possibilità reali di riduzione della spesa. Suggerisce una possibile battaglia politica della società civile per riformare in meglio il processo decisionale su questioni importanti che riguardano il bilancio dello Stato…

«A parole tutti vogliono ridurre il debito pubblico in rapporto al PIL. Ci sono solo due modi per farlo: spendere meno di quanto lo stato incassa in tasse, oppure sperare che il Pil cresca a ritmi mai visti negli ultimi decenni. E’ straordinario come questa verità semplice, ineludibile e apparentemente ovvia sia ignorata da quasi tutti coloro che intervengono nel dibattito pubblico: politici, giornalisti, commentatori, economisti, conduttori e partecipanti ai talk-show» (p. 159).

Roberto Perotti, economista, già professore negli USA, è ora professore ordinario di Economia Politica alla Università Bocconi. Da settembre 2014 a novembre 2015 è stato consigliere economico, a titolo gratuito, del presidente del Consiglio Matteo Renzi lavorando alla revisione della spesa pubblica assieme al commissario Yoram Gutgeld, incarico da cui si è dimesso: «Il mio dissenso dall’approccio scelto dall’esecutivo era dovuto a due motivi ben diversi. Ritenevo che si dovesse mantenere l’impegno di tagliare lea spesa di 10 miliardi, e possibilmente anche di più, e destinare il risparmio a un ulteriore taglio delle tasse; non tanto perché pacta servanda sunt, ma perché era la cosa giusta da fare, per tutti i motivi esposti in questo libro. Inoltre, dissentivo dall’impianto della legge di Stabilità, che come unico e vero taglio di spesa proponeva due miliardi di taglio alla sanità ma nessun taglio dei costi della politica né ai tanti privilegi dei dirigenti di vario tipo. Nonostante tutto è stata una esperienza molto proficua e interessante. Ho imparato moltissimo, e la stragrande maggioranza delle persone che ho incontrato era, ne sono convinto, genuinamente dedita al bene comune, anche se non sempre ne condiviso metodi e proposte» (p. 182-183).

Ha scritto questo interessante e istruttivo libro nel 2016, lo ha consegnato a luglio e a settembre è uscito in libreria, questo per meglio comprendere la tempistica rispetto a ciò di cui non parla. Ricordo che la sua esperienza è successiva a quella di Cottarelli come commissario alla revisione della spesa, riassunta nel volume “Il macigno” recensito anche in questo sito.

Il suo libro ha un leit-motive: “chinare la testa e lavorare”, che ritorna spesso qua e là, punteggiando l’analisi approfondita di come poter risparmiare sulla spesa pubblica: secondo Perotti spesso le decisioni vengono prese senza una seria e approfondita analisi sui numeri (perché di questo si tratta) che riguardano le varie voci di spesa. L’autore è convinto che senza questa analisi sui fatti, perché i numeri sono fatti, non si può giungere a una decisione ragionevole che tenga conto anche dei vincoli sociali e politici, cui riconosce la loro legittimità nel processo decisionale complessivo.

Inoltre l’autore ritiene che la classe dirigente ministeriale abbia maggiori competenze legislative, necessarie ma non sufficienti, che di analisi economica, oltre che una scarsa attenzione a quanto è già stato sperimentato e realizzato in altri paesi europei simili al nostro (tipo Regno Unito, Francia, Germania…) da cui poter prendere il meglio e quello che potrebbe essere utile per realizzare ciò che si desidera per il bene del nostro paese.

In ultimo Perotti ritiene che i dirigenti pubblici, che avanzano di carriera per anzianità, più che per valutazioni e meriti, non abbiano sufficienti incentivi che li aiutino a prendere iniziative per studiare meglio i dossier su cui devono poi offrire le condizioni ai politici per prendere decisioni quanto più possibili ragionevoli.

C’è quasi una “banalità del male” (Hanna Arendt), pur con i dovuti e necessari distinguo, come ha sottolineato anche con vigore la filosofa Roberta De Monticelli nel pamphlet “Al di qua del bene e del male” recensito in questo sito: «la metamorfosi interiore inconsapevole, invisibile a chi la subisce (o vi cede, ma come senza prenderne atto), che è l’autodestituzione del soggetto morale in noi […] o felpata distruzione di senso e di bene» (p. 4).

Mi hanno meravigliato piacevolmente i criteri che Perotti utilizza per valutare i risparmi di spesa, ma soprattutto per vedere se vale la pena o meno di mantenere certe spese a scapito di un utilizzo diverso degli stessi fondi. Emerge da questa sue valutazioni una sensibilità economico-sociale-politica che sorprende in un “bocconiano” e che piacerebbe a molti vedere all’opera in un normale governo italiano.

Una scorsa all’indice ci mette di fronte ai nuclei centrali della riflessione di Perotti: non accettare lo status quo (cap. 1); le scelte difficili (cap. 2); i privilegi della classe dirigente e l’evasione fiscale: il peso delle aspettative eccessive (cap. 3); come decidere (cap. 4); riforme riuscite, riforme incomplete e opportunità mancate (cap. 5); la “sensibilità politica e sociale” (cap. 6).

Per chi vuole “risparmiare”, ma perdere in gusto e pensieri possibili, Perotti riassume nel capitolo 7 le 20 lezioni apprese in questa sua esperienza e che mette a disposizione con questo libro. Inoltre il libro è supportato da tabelle e approfondimenti reperibili in un file PDF con innumerevoli link interni.

Questo libro aiuta ad avere più chiare le possibilità reali di riduzione della spesa (sfatando miti da talk-show politici, ma anche vulgate da web), e questo migliora la qualità della comunicazione pubblica. Inoltre suggerisce, tra le righe, una possibile battaglia politica della società civile per riformare in meglio il processo decisionale su questioni importanti che riguardano il bilancio dello Stato, visto che difficilmente il pubblico lo farà di propria volontà, se non incalzato dall’opinione pubblica. Qualcuno è interessato a questo aspetto non secondario, ma poco presente nelle analisi sui mali italiani, che influenza in modo significativo la vita democratica del nostro paese?

Il volume si legge tutto d’un fiato
, piacevole nella scrittura, chiaro e sintetico quanto basta per comprendere i molteplici aspetti della recisione della spesa pubblica. Necessario per chiunque voglia pensare e agire in modo consapevole dei vincoli di bilancio, ma anche delle possibili alternative al nostro modo di spendere i soldi pubblici, cioè i nostri soldi.

Roberto Perotti, Staus quo. Perché in Italia è così difficile cambiare le cose (e come cominciare a farlo), Feltrinelli, Milano 2016.

Citazioni

"Certo, non esistono riforme che accontentino tutti, sarebbe troppo bello. Ma ci sono modi per far sì che le riforme non costino voti, e non danneggino le fasce deboli della popolazione: cioè che siano “politicamente” e “socialmente” fattibili. Per realizzarle spesso ci vogliono risorse, per esempio per aiutare le fasce deboli nella transizione. Queste risorse non cadono dal cielo: bisogna dunque compiere delle scelte. Ecco perché la “revisione della spesa” è di vitale importanza: non solo e non tanto per una questione macroeconomica (tenere il disavanzo e il debito pubblico sotto controllo), ma soprattutto per liberare risorse la fine di migliorare la qualità della spesa, rendere possibili le riforme, e abbassare le tasse" (p. 12).

"Un secondo tema di questo libro concerne il metodo di lavoro per attuare le riforme. Si pensa spesso che dietro al loro fallimento ci siano manovre e contromanovre politiche, veti incrociati, personalismi e biechi interessi. C’è anche questo, ovviamente. Sono convinto, però, che spesso i motivi siano molto più banali: la pigrizia intellettuale, la mancanza di tempo, voglia o preparazione per studiare e comprendere i problemi; la superficialità; la decisione di delegare ad altri senza accettarsi che abbiano le competenze e gli incentivi corretti per fare un lavoro adeguato. Le riforme non si possono concepire nei convegni, nei comizi, nelle interviste ai giornali, alle assemblee di partito, negli incontri di rito con le parti sociali, e nemmeno nelle riunioni tra capi di gabinetto dei ministeri. Per fare scelte ponderate bisogna sporcarsi le mani con i dati; bisogna uscire dal provincialismo e informarsi sulle esperienze degli altri paesi; bisogna studiare le alternative dal punto di vista del cittadino utente, cosa più difficile che basarsi sui colloqui con i lobbisti, i sindacalisti, gli imprenditori, o i fautori dello status quo per comodità. In altre parole, bisogna “chinare la testa e lavorare”. Può sembrare una tesi banale, ma, come vedremo, ha implicazioni tutt’altro che banali" (p. 13).

"Purtroppo manca ancora un passaggio, lo stesso che era mancato a Berlusconi. Abbiamo visto che il vincolo di bilancio è impietoso: per ridurre le tasse seriamente, prima o poi bisogna ridurre la spesa. Al di là degli annunci e delle dichiarazioni occasionali, pochi tra coloro che vogliono tagliare le tasse sono preparati a un’azione seria e ben studiata di riduzione della spesa. Soprattutto, e questo sarà uno dei temi principali di questo libro, manca la consapevolezza delle grandezze in gioco: se si vuole ridurre le tasse di 50 miliari (il 3 per cento del Pil, per portare la pressione fiscale da un soffocante 43 per cento a un ancora troppo alto 340 per cento), non basta ridurre la spesa di 3 o 4 miliardi, bisogna essere preparati a ridurla di qualche decina di miliardi. E questo non si fa dalla sera alla mattina" (p. 25).

"Personalmente ritengo che la decisione di rinnegare l’impegno con l’Europa e di aumentare il disavanzo di bilancio del 2016 (rispetto al piano iniziale) di circa 1 punto di Pil sia stata corretta: in un periodo di recessione la riduzione del debito pubblico può aspettare, sarebbe stato rischioso aumentare l’Iva di quasi 20 miliardi. L’errore è stato un altro: rinnegare l’impegno di ridurre la spesa pubblica. Si dovevano diminuire le tasse ancor più della spesa, generando una manovra espansiva ma dando un segnale importante ai cittadini e all’Europa" (p. 34).

"I privilegi della classe dirigente hanno un’enorme visibilità e generano il peggiore dei mali che affligge la nostra società: il cinismo. Allontanano i cittadini, soprattutto i giovani, dalla cosa pubblica; incoraggiano teorie del complotto, questo male tipicamente italiano che viene usato da chi non ha soluzioni costruttive ai problemi; alimentano la disinformazione, perché quando si vedono complotti e privilegi intoccabili dappertutto non si ha né interesse né incentivi a informarsi sui fatti; e di conseguenza impediscono una discussione razionale dei problemi" (p. 41).

"Ma l’Italia è un paese in guerra, contro i due peggiori nemici: la disoccupazione giovanile e il cinismo" (p. 43).

"La seconda “soluzione” a ogni problema che inevitabilmente emerge in ogni discussione è la lotta all’evasione. L’evasione fiscale è una piaga endemica; ma sperare di ricavarne più di pochi miliardi nel breve periodo è un’illusione" (p. 85)

"Cosa significa tutto questo? Che in media i programmi assistenziali in Italia hanno scarsa capacità redistributiva. In altre parole, non sono efficaci nel raggiungere i meno abbienti. In Svezia, invece, ogni euro di trasferimenti pubblici è molto più efficace nel raggiungere i più indigenti e ridurre la povertà […] Se a questo si aggiunge che al disoccupazione giovanile al Sud raggiunge la cifra astronomica del 50 per cento, credo che i dati indichino abbastanza chiaramente una delle priorità assolute della spesa pubblica" (pp. 90-91).

"E’ l’esempio perfetto dell’eterna illusione dei politici di poter trasformare il piombo in oro, cioè di poter trovare scappatoie al vincolo di bilancio senza dover fare scelte difficili; un esempio della straordinaria superficialità con cui si usano i soldi del contribuente" (p. 96).

"Questo semplice confronto la dice lunga sul problema principale della spesa pubblica italiana: la mancanza di priorità e di un approccio globale" (p. 101).

"Perché questa immutabilità dello status quo in casi così evidenti di cattiva allocazione delle risorse? Non è una questione di vincoli politici. Non è nemmeno una questione di sensibilità sociale: anzi, in questi casi mantenere a tutti i costi lo status quo è precisamente indice di mancanza di sensibilità sociale. La mia impressione è che sia per lo più una questione di inerzia, pigrizia, noncuranza, incompetenza e mancanza di organizzazione. Nessun dirigente prenderà mail ‘iniziativa di proporre un cambiamento senza un input dall’alto, perché studiare il problema e stendere una proposta potrebbero rivelarsi una perdita di tempo se al momento buono viene tutto bloccato. […] Il risultato è lo status quo, anche quando non c’è nessun impedimento politico, e moltissimi motivi di sensibilità sociale, per modificarlo" (pp. 104-105).

"La buona borghesia milanese che ogni anno fa bella mostra di sé alla prima della Scala potrebbe benissimo pagare per l’intero evento invece di farsi sussidiare dal disoccupato del Sud" (p. 105)

"Anche la riforma della Rai si è scontrata con i due problemi endemici del processo decisionale della politica italiana: la tendenza a risolvere i problemi stanziando più risorse, e a concentrarsi sugli aspetti formali e legali. Nessuno di questi due approcci aiuta a risolvere le difficoltà di fondo, anzi, come nel caso della Rai, spesso le aggrava" (p. 130).

"C’è poi un’altra questione che non viene mai menzionata. Le gare dei trasporti pubblici locali sono quasi sempre disegnate a misura del concessionario esistente, inibendo così una vera concorrenza. Come sempre, questo succede per le inevitabili connivenze tra i politici locali e i concessionari di servizi pubblici, che si scambiano favori a vicenda. Ma molto più spesso di quanto si creda, anche in questo settore è una questione di superficialità, disinteresse, mancanza di informazione, incompetenza in materia. Quando fu fatto notare a un presidente di una regione che la gara per l’appalto del trasporto locale era scandalosamente a favore del concessionario, la risposta fu “non me ne ero reso conto”. Ancora una volta, è molto più facile sostituire l’ennesimo amministratore delegato che studiare le radici del problema" (p. 148).

"Si dice spesso che il problema dei sussidi è che vengono dati a pioggia. Non sono d’accordo. Il problema dei sussidi è che, quasi sempre, non dovrebbero esistere. A pioggia o no è irrilevante. Anzi, spesso l’alternativa è peggiore" (p. 151).

"Dimenticavo: c’è un quarto significato possibile della nozione di sensibilità politica e sociale: “la genuina empatia per i problemi e le sofferenze altrui” (p. 157).

"Tutte le volte che qualcuno propone un piano grandioso per ridurre le tasse o aumentare la spesa, o anche solo tutte le volte che governo, opposizione, sindacalisti, economisti, vescovi, giornalisti o pubblico del talk show propongono di aumentare la spesa per questo o quello, per quanto nobile possa sembrare l’esborso, chiedetevi e chiedetegli: come intendi pagare?" (p. 160).

"Per fare le riforme non ci si può affidare all’iniziativa dell’interno dei ministeri, per un motivo molto semplice: essi sono immersi nei meccanismi delle attività che dovrebbero riformare. Per un dirigente il compito principale è gestire al meglio il capitolo di spesa di cui è responsabile, non di riformarlo […] i ministeri non sono strutturati in modo da canalizzare eventuali proposte di riforma da parte dei funzionari interni, e di conseguenza questi ultimi non hanno alcun incentivo a pensare approcci alternativi. Infine, per la mentalità giuridica prevalente nei ministeri, “se qualcosa esiste, ci sarà un motivo” (p. 161).

Precisamente perché fare delle scelte è difficile e richiede un investimento in tempo, informazioni e preparazione, è facile soggiacere alla tentazione di ridurre la spesa, ma evitando di scegliere: i famosi tagli lineari. (p. 162)

"Per comprendere un fenomeno e risolverne i problemi, bisogna misurarlo" (p. 166).

"Due approcci pervadono il processo decisionale in Italia. Il primo è la nozione che i problemi si risolvano con prescrizioni e proibizioni in leggi, decreti, articoli e commi che tentano di svuotare il mare con il secchiello, definendo con illusoria precisione ogni fenomeno e prevedendo ogni fattispecie […] L’arma dei giuristi sono le norme; l’arma dei politici i soldi. Il secondo approccio onnipresente nel processo decisionale italiano consiste nello stanziare più denaro" (pp. 168.170).

"Qualsiasi tipo di riforma si abbia in mente, è molto probabile che qualche altro paese si sia posto il problema prima di noi. Ovviamente ogni stato ha le sue peculiarità, ma conoscere le esperienze degli altri, le difficoltà che hanno incontrato, i successi e i fallimenti che hanno ottenuto, non può che essere d’aiuto" (p. 171).

"La lezione è importante, anche se in apparenza banale: le competenze contano. Non sempre questo principio viene rispettato ai tavoli ministeriali" (p. 172).

"Che cosa hanno in comune tutti questi esempi? Tutti ipotizzano che con pochi soldi pubblici si scateni un effetto gigantesco sul Pil, in alcuni casi pari a venti o trenta volte i fondi pubblici stanziati (ironicamente, questo è molto simile all’”effetto leva” su cui, in altri contesti, facevano affidamento le istituzioni finanziarie che hanno scatenato la crisi del 2008, e che tante critiche hanno ricevuto dall’establishment politico di tutti i paesi). Ma veramente qualcuno pensa che nella realtà esiste un moltiplicatore della spesa pubblica di 30? Come è possibile essere così drammaticamente sprovveduti?" (p. 178).

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