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Il libro traccia una mappa dettagliata della "nuova geografia del lavoro" dalle città in ascesa, che vedono fiorire un virtuoso intreccio di buoni impieghi, talenti e investimenti, a quelle in declino. Si scopre che ogni posto di lavoro creato nei centri di eccellenza dell’innovazione ne genera almeno cinque, in altri settori produttivi, meglio retribuiti.

Enrico Moretti, professore di economia all’Università di Berkeley e autore di numerosi articoli per importanti giornali italiani (“Corriere della Sera”, “La Stampa”) ed esteri (Wall Street Journal, New York Times, Washington Post), in questo saggio esamina i cambiamenti epocali che stanno trasformando il lavoro nei paesi industrializzati. Ci troviamo infatti di fronte a uno spostamento da economie fondate sulla produzione industriale tradizionale ad altre basate su innovazione e produzione di beni e servizi ad alto contenuto di capitale umano.

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L’autore analizza le ragioni profonde di questi cambiamenti ed esamina gli effetti che avranno sul futuro delle principali regioni economiche dei paesi occidentali. Non è solo la situazione americana ad essere presa in considerazione; nel contesto europeo, il caso italiano si rivela particolarmente interessante perché il nostro Paese, a differenza di Inghilterra, Germania e di altri paesi nord-europei, non è stato capace di sviluppare i settori con più alti contenuti di innovazione. Ad esempio, la ricerca farmaceutica, che alla fine degli anni Ottanta era fiorente e assicurava migliaia di posti di lavoro e prodotti competitivi, è oggi praticamente scomparsa, trasferita nel Nord Europa e negli Stati Uniti.

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Il settore hi-tech (software, hardware, Internet, new media), in Italia, a differenza di quanto è avvenuto in Inghilterra, non si è mai sviluppato in maniera significativa. L’unica impresa italiana di computer di una certa entità, l’Olivetti, è progressivamente uscita dal mercato nel corso degli anni Novanta. Un terzo esempio è il settore delle "tecnologie verdi", che vede Germania e USA leader indiscussi e l’Italia in fondo alle classifiche internazionali. In sintesi il libro mette a confronto l’esperienza italiana con quella di altri paesi europei che hanno avuto più successo nella creazione di posti di lavoro, discutendo e motivandone le differenze, ma soprattutto proponendo possibili soluzioni per incentivare i settori più innovativi destinati a diventare il motore economico principale dei paesi industrializzati.

Enrico Moretti, La nuova geografia del lavoro, Mondadori, Milano 2013.

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Citazioni
"La cartina economica del mondo sta cambiando rapidamente e radicalmente. Nuovi centri di propulsione economica stanno soppiantando i vecchi. Città che fino a qualche decennio fa non erano che minuscoli punti a stento individuabili sulle cartine si sono trasformate in floride megalopoli con migliaia di nuove aziende e milioni di nuovi posti di lavoro. In nessun luogo al mondo tale fenomeno è più evidente che nella cinese Shenzhen". (Introduzione)

"Negli ultimi cinquant’anni, gli Stati Uniti sono passati da un’economia fondata sulla produzione di beni materiali a un’economia basata su conoscenza e innovazione. L’occupazione in questo settore è crescita a ritmi travolgenti. L’ingrediente chiave qui è il capitale umano, e dunque, istruzione, creatività e inventiva". (Introduzione)       

"In passato i buoni impieghi e i salari elevati erano legati alla fabbricazione su larga scala di prodotti manifatturieri. Il posto in cui si creava il valore economico era la fabbrica. Oggi però la realizzazione di beni che chiunque è in grado di riprodurre ha conservato poco valore. I buoni lavori e i buoni salari sono sempre più connessi alla realizzazione di nuove idee, nuovo sapere e nuove tecnologie". (Introduzione)

"Per l’Italia, la scomparsa pressocché totale dei settori del computer e della farmaceutica ha significato una perdita ingente di occupazione presente e, ancor di più, di occupazione futura, perchè come vedremo, queste sono due tra le industrie più promettenti per i decenni a venire. (…) Uno dei problemi di fondo è che, da sempre, le imprese italiane investono poco in ricerca e sviluppo, e questo le rende deboli oggi, ma ancor di più in prospettiva futura". (introduzione)   

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