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Questo libro ci mostra con sufficiente chiarezza che i fattori geografici di un paese e dei suoi confini: pianure coltivabili, fiumi navigali, porti naturali, montagne, clima, risorse naturali, grandezza, influiscono in maniera determinante sul sorgere degli stati e sulla loro possibilità di sopravvivere a se stessi e ai propri vicini

L’autore è stato per 30 ani corrispondente estero di BBC e Sky News, inviato di guerra in Croazia, Bosnia, Macedonia, Kosovo, Afghanistan, Iraq, Livano, Siria, Israele. Ha pubblicato articoli su Times, Sunday Times, Guardian, Indipendent. Ha fondato e dirige il sito di analisi politica internazionale Thewhatandthewhy.com (il fatto e il perché).

Marshall non è un accademico, ma uno che ha vissuto sul campo alcuni dei più grossi conflitti degli ultimi decenni e si è fatto un’idea di che cosa li determini e li possa aiutare a risolvere. Si è convinto che «dopotutto, le guerre vengono scatenate dalla paura degli altri, oltre che dall’avidità […] La storia ci ha dimostrato che l’ingordigia è un gioco a somma zero» (p. 297).

Questo libro ci mostra con sufficiente chiarezza che i fattori geografici di un paese e dei suoi confini: pianure coltivabili, fiumi navigali, porti naturali, montagne, clima, risorse naturali, grandezza, influiscono in maniera determinante sul sorgere degli stati e sulla loro possibilità di sopravvivere a se stessi e ai propri vicini.

Il libro considera 10 paesi o macro regioni: Russia, Cina, Stati Uniti, Europa Occidentale, Africa, Medi Oriente, India e Pakistan, Corea e Giappone, America Latina, Artide.

Per ciascuna mappa traccia un quadro sintetico della geografia fisica, della storia dei conflitti e delle guerre passate e di quelle presenti, mostrando come la geografia abbia permesso o ostacolato invasioni, predazione di risorse, creato zone di influenza, possibilità di risoluzione dei conflitti aperti in un prossimo o lontano futuro.

Un primo punto strategico che guida l’analisi di Marshall è l’accesso al mare e la possibilità di difendere le rotte marine necessarie, e i relativi costi, per l’importazione e l’esportazione di risorse naturali e beni prodotti, in quanto è il mare il mezzo di trasporto a lunga gittata meno costoso, e a volte necessario da un continente a un altro.

Un secondo punto strategico sono le pianure come luoghi possibili di accesso da parte di eserciti invasori.

Un terzo punto sono le montagne, in particolare quelle più alte, da cui scendono le acque potabili per dissetare i popoli e i fiumi navigabili per collegare facilmente l’interno dei paesi.

Marshall, con le proprie analisi, a volte sorprende il lettore sufficientemente informato con delle “chicche” che fanno intravveder risvolti inediti in conflitti che si spera si possano risolvere, ma che difficilmente lo potranno essere, se non sulla crescita di una fiducia reciproca degli attori coinvolti, come quello della Corea, oggi così attuale. Fatto piuttosto difficile quando la volontà di accedere a risorse ritenute necessarie per il bene del proprio paese diventa la priorità di un governo più o meno democratico.

Per chi invece non segue molto la politica internazionale è una utile introduzione per comprendere meglio ciò che sentiamo alla televisione o leggiamo sulla carta stampata più o meno specialistica, al di là della propaganda politica e/o ideologica.

Pur essendo del 2015 l’originale inglese è un quadro sufficientemente aggiornato della situazione mondiale (per esempio manca la Brexit), e il traduttore ha segnalato gli avvenimenti significativi accaduti nel frattempo.

Marshall ha una visione reale dei conflitti, ma spera anche che gli uomini possano collaborare con rinnovata fiducia per un futuro migliore, nonostante la strada da compiere sia ancora lunga:

«Quando puntiamo alle stelle, le difficoltà che ci attendono sono tale che probabilmente dovremmo unirci per superarle, per viaggiare nell’universo non come russi, americani e cinesi, ma come rappresentanti dell’umanità. Allo stato attuale, però, pur essendoci affrancati dalle catene della gravità, siamo ancora prigionieri della nostra mente, limitati dal sospetto nei confronti “dell’altro” e quindi della nostra primordiale competizione per le risorse. C’è ancora tanta strada da percorrere» (p. 302).

Tim Marshall, Le 10 mappe che spiegano il mondo, Garzanti, Milano 2017.

 

Citazioni

 L’idea della geografia come fattore decisivo nel corso della storia umana si può leggere come una visione pessimistica del mondo, ed è per questo che viene avversata in alcuni circoli intellettuali. Implica che la natura sia più potente dell’uomo, e che possiamo arrivare solo fino a un certo punto nel determinare il nostro destino. Altri fattori, tuttavia, hanno concorso chiaramente a influenzare gli eventi. Chiunque può rendersi conto che la tecnologia sta piegando le regole ferree della geografia, trovando la maniera di passare sopra, sotto o attraverso alcune barriere” (p. 15).

Quali sono queste regole (della geografia)? Il punto di partenza è il paese in cui il potere è sempre stato difficile da difendere, tanto che per secoli i suoi leader hanno cercato di compensare tale limite con l’espansione estera. E’ il paese che non ha montagne a occidente: la Russia” (p. 16).

Il dado era tratto. Vladimir Putin non aveva molto da scegliere: doveva annettere la Crimea, dove vivevano molti ucraini di lingua russa, ma soprattutto dove c’era il porto militare di Sebastopoli. Questo imperativo geografico, e più in generale l’allargamento verso est della NATO, è esattamente ciò che aveva in mente Putin quando ha detto, in un discorso sull’annessione: “La Russia era in una posizione da cui non poteva più tornare indietro. Se comprimete al massimo una molla, scatterà con tutta la sua forza. Dovete sempre ricordarlo” (p. 33).

Dal Gran Principato di Moscovia, passando attraverso Pietro il Grande e Stalin per arrivare a Putin, ogni leader russo si è dovuto misurare con gli stessi problemi. Non conta se l’ideologia di chi guida il paese è zarista, comunista o neocapitalista: le acque dei porti continuano a gelare, e la pianura nordeuropea è sempre piatta. Togliete i confini che demarcano gli stati nazionali, e scoprirete che la cartina geografica che aveva sotto gli occhi Ivan il Terribile è la stessa che ha di fronte Vladimir Putin” (p. 47).

Nell’autunno del 2006, un gruppo di super portaerei americane guidate dalla Kitty Hawk, lunga più di 300 metri, viaggiava tranquillamente nel Mar Cinese Orientale tra il Giappone meridionale e Taiwan, quando, all’improvviso, un sottomarino cinese è emerso al centro della flotta” (p. 53).

Se guardiamo ai confini odierni della Cina, vediamo una grande potenza ormai convinta di essere protetta dalle sue caratteristiche geografiche, che si prestano a una difesa efficace e a un commercio molto attivo” (p. 59).

La posizione è tutto. Se aveste vinto la lotteria e voleste acquistare un paese in cui vivere, il primo che vi mostrerebbe l’agente immobiliare sarebbero gli Stati Uniti. Twain si riferiva alla notizia infondata della sua morte [la notizia della mia morte è fortemente esagerata], ma avrebbe potuto benissimo parlare della fine prematura che tanti preconizzano per gli Stati Uniti” (p. 83).

Sono trent’anni che va di moda predire il declino imminente o graduale degli USA. E’ una predizione sbagliata oggi come lo era in passato. […] Più di un secolo fa, il cancelliere prussiano Otto von Bismark disse: “Dio ha particolarmente a cuore gli ubriachi, i bambini e gli Stati Uniti d’America”. Era una frase ambigua, ma sembra avere tutt’ora una parte di verità” (p. 104).

Nel bene o nel male, il mondo moderno nasce dall’Europa. Questo avamposto occidentale della grande massa continentale eurasiatica diede origine all’illuminismo, che portò alla rivoluzione industriale, da cui deriva ciò che vediamo tutti i giorni intorno a noi. Dobbiamo ringraziare – o maledire, a seconda dei punti di vista – la collocazione geografica dell’Europa” (p. 109).

Helmut Kohl nel 2012 scrisse un articolo per il quotidiano più diffuso in Germania, il Bild, in cui esprimeva la sua preoccupazione che a causa della crisi finanziaria i nuovi leader potessero abbandonare l’esperimento postbellico della fiducia reciproca tra i paesi europei: “Per coloro che non hanno vissuto questa tragedia e che di fronte alla crisi si chiedono quali benefici possa apportare l’unità d’Europa, la risposta – nonostante una pace senza precedenti che dura da più di sessantacinque anni e nonostante i problemi e le difficoltà che dovremo ancora superare – si riassume in una sola parola: pace” (p. 129).

Le coste africane? Spiagge veramente meravigliose, ma pessimi porti naturali. Fiumi? Fiumi incredibili, ma inadatti a trasportare alcunché, con tutte quelle cascate. Sono solo due dei tanti problemi che aiutano a spiegare perché l’Africa non è tecnologicamente e politicamente di successo come l’Europa occidentale o il Nordamerica” (p. 135).

Ciò premesso, si costruiscono ogni anno nuove strade e nuove ferrovie che collegano paesi così incredibilmente diversi. Le enormi distanze degli oceani e dei deserti che separano l’Africa dal resto del mondo sono state superate dai viaggi aerei e il tessuto industriale ha creato porti dove la natura non voleva che ci fossero” (p. 157).

[Medio Oriente] In mezzo a cosa? A oriente di dove? Il nome stesso della regione si basa su una visione europea del mondo, ed è stata esattamente una visione europea della regione a darle forma. Gli europei usavano l’inchiostro per tracciare le linee di confine delle mappe: erano linee che in realtà non esistevano e hanno creato alcuni dei confini più artificiali che il mondo abbia mai visto. Oggi si sta tentando di ridisegnarli con il sangue” (p. 163).

L’accordo Sykes-Picot sta andando in frantumi; rimetterlo insieme, anche in un’altra forma, sarà un’impresa lunga e sanguinosa” (p. 198).

India e Pakistan possono concordare su una cosa: nessuno dei due vuole avere attorno l’altro. E’ piuttosto problematico visto che hanno in comune un confine lungo 3000 chilometri. Ambedue i paesi sono carichi di antagonismo e di armi nucleari, perciò il modo in cui gestiscono questa difficile relazione è questione di vita o di morte per decine di milioni di persone” (p. 203).

L’India ha una grande marina militare ben equipaggiata che include una portaerei, ma non potrà competere con la marina oceanica che sta mettendo in cantiere la Cina. Perciò l’India si sta associando ad altri paesi per sorvegliare, se non dominare, la marina cinese sulla rotta che attraversa i mari della Cina e lo stretto di Malacca, per uscire nel Golfo del Bengala e costeggiare l’India fino al Mare Arabico in direzione del grande porto che [la Cina] ha costruito a Gwadar, in Pakistan. Quando si parla dell’India si torna sempre al Pakistan, e quando si parla del Pakistan si torna sempre all’India” (p. 225).

In che modo si risolve un problema come quello della Corea? Non si può risolvere, si può solo gestire – dopotutto, in giro per il mondo ci sono tanti altri problemi che richiedono un’attenzione immediata. […] La soluzione è il compromesso, ma la Corea del Sud non lo cerca più di tanto, mentre i leader della Corea del Nord non appaiono minimante interessati. Il futuro non è affatto chiaro; si direbbe che sia sempre oscurato dalle nubi che punteggiano l’orizzonte” (p. 231).

Secondo la leggenda, la Corea sarebbe stata creata nel 2333 a.C. per volere divino. Il dio del Cielo avrebbe mandato suo figlio Hwanung sulla Terra, precisamente sul monte Paektu (Baekdu), dove avrebbe sposato una donna che in precedenza era un orso; e il figlio dei due, Dangun, si sarebbe adoperato per costruire una nazione. La prima versione documentata di questa questa leggenda creazionista risale al XIII secolo. Potrebbe spiegare in qualche modo perché uno stato comunista ha una leadership che si tramanda da una generazione all’altra della stessa famiglia e si considera di origine divina” (p. 234).

Dunque gli americani resteranno sia in Corea che in Giappone. […] Il Giappone e la Corea del Sud hanno tante cose su cui litigare, ma l’ansia che condividono nei confronti della Cina e della Corea del Nord li costringerà a superare le divergenze. E anche se riusciranno a risolvere un problema come quello della Corea, resterà il problema della Cina. Ciò significa che la VII Flotta degli Stati Uniti resterà nella baia di Tokyo e che i marine americani resteranno a Okinawa, a sorvegliare le vie di accesso al Pacifico e ai mari della Cina. In ogni caso, le acque saranno agitate” (p. 249).

I limiti imposti dalla conformazione geografica dell’America Latina hanno pesato fin dall’inizio sulla formazione degli stati nazionali” (p. 255).

[Artide] Quando arriveranno gli icemen, arriveranno in forze. Chi possiede unità attrezzate per una missione di questa complessità? Solo i russi” (p. 283).

Ovviamente la geografia non detta il corso di tutti gli eventi: grandi idee e grandi leader fanno parte delle dinamiche della storia. Ma devono operare tutti quanti entro i confini imposti dalla geografia […] Oggi realtà geografiche come il cambiamento climatico presentano nuove opportunità e nuove sfide” (p. 300).

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