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L’economia mondiale ha subito un infarto. E con essa l’intera società rischia il collasso. Magatti ci aiuta ad avere una visione sintetica delle cause della crisi proponendo alcune vie di uscita: prima tra tutte quella di costruire un nuovo modello di crescita che tenga conto dei limiti delle risorse e che riduca le disuguaglianze

L’agile libretto di Mauro Magatti aiuta ad avere una visione sintetica delle cause della crisi che stiamo vivendo e propone anche delle vie di uscita dalla medesima.

La tesi di fondo è che la crisi è crisi spirituale, nel senso di Weber, cioè crisi della capacità di essere aperti “a quella trascendenza che è il luogo di elaborazione del senso, che è da sempre bussola del viaggio umano ed elemento indispensabile di quella complicata reazione che ci permette di dar corpo alle nostre esperienze di vita, sublimandone, attraverso il ricongiungimento a un nucleo di senso, i caratteri altrimenti eterei” (p. 86).

La crisi è crisi di modello economico e di sviluppo, ma soprattutto di valore.
Per quanto riguarda la parte economica la deregulation finanziaria ha aperto le porte a una volontà di potenza tecnica e finanziaria inedita nella storia dell’umanità, che si è accompagnata alla volontà di libertà dall’autorità sviluppatasi negli anni ’60 del secolo scorso. Un desiderio finalmente poteva essere appagato, surrettiziamente sostenuto dall’idea che non ci fossero limiti reali allo sviluppo globale. Il tutto è stato sostenuto dall’ampliamento del debito privato e pubblico, che alla fine ha esigito di essere pagato, creando la crisi attuale.

Per quanto riguarda il valore, considerando l’uomo come consumatore che realizza il proprio desiderio infinito, il capitalismo tecno-nichilismo costringe il medesimo uomo a una vita che ha come unico orizzonte la spinta a soddisfare il proprio desiderio al di là di ogni possibile limite personale e sociale.

Questo produce una elevata competitività a tutti i livelli e chi non si adegua a questa corsa di tutti contro tutti per poter realizzare i desideri, propri o indotti dai mass-media, si ritrova depresso e/o stressato. La depressione è la malattia più diffusa ed è in aumento (pp. 79-82). Essa può essere definita come quella situazione con “un basso livello di energia, un rallentamento del pensiero e, spesso, anche del movimento“, un grido di aiuto di chi non regge più la situazione e si ritira in un mondo privato, dove le scosse della marea della crisi non lo possono più raggiungere, se non in modo marginale.

La proposta di Magatti è quella di riprendere la lezione di Erikson sulla necessità di una scelta tra due vie alla fine dell’adolescenza: la via della generatività e quella della stagnazione, paragonando la fase sociale che si è conclusa con la crisi del 2008, come la fine della crescita adolescenziale della civiltà occidentale.

Magatti ripropone anche la lezione di Simmel, grande filosofo e sociologo, che ha previsto in buona parte gli esiti sociali che abbiamo vissuto fin dal 1900. Per Simmel l’uomo è un essere relazionale che deve trovare un equilibrio tra sé, gli altri e il mondo in cui abita. Un equilibrio dinamico che richiede sempre di ricercare il senso unificante di quanto si sta vivendo, riconoscendo il debito originario di gratitudine verso chi ci ha generati, che si realizza nel tentativo di ripagarlo verso gli altri con cui condividiamo il cammino della vita.

E’ trascendendo se stessi che si pongono le condizioni per la risoluzione del conflitto tra tali istanza in una tensione generativa, giacché una simile operazione restituisce alla relazione il suo carattere di terzietà, dove la correlatività e in sincronismo antinomico dei poli, nel loro contrasto dialettico, confluiscono in una spinta generativa che porta al concepimento e alla realizzazione di qualcosa di nuovo” (p. 93).

Siamo qui spinti a concepire un nuovo modello di crescita che tenga conto dei limiti delle risorse e che riduca le disuguaglianze in alto e in basso.

Secondo Magatti questo è possibile se ritorniamo a dare “valore” a ciò che ci unisce socialmente per creare una crescita qualitativa (e non più solo quantitativa) dove sia centrale la produzione del valore, perché solo quei territori che metteranno al centro questa novità, in cui unire economia e valore, sapranno sopravvivere e imporsi nel futuro.

Mauro Magatti, L’infarto dell’economia mondiale, Vita e Pensiero, Milano 2014.

Citazioni

“In buona sostanza, la stabilità di un sistema in espansione era ottenuta attraverso una fede smisurata nella tecnica rafforzata dalla certezza di poter contare su un’autorità politica disposta a intervenire in ultima istanza” (p. 17).

“Crisi di fiducia, crollo delle aspettative di investitori e consumatori, mancanza di soggetti legittimati a interventi regolativi: sono queste le conseguenze dell’infarto che, colpendo Wall Street, si è poi allargato all’economia reale e all’occupazione di tutto il mondo, con conseguenze particolarmente pesanti proprio in Europa” (p. 25).

“Il capitalismo contemporaneo trae la forza propulsiva necessaria alla propria evoluzione dall’incontro e dalla sintesi di due istanza distinte ma profondamente collegate: innanzitutto l’iniziativa politica della deregulation neoliberista e in secondo luogo il secolare processo di razionalizzazione tecnica” (p. 27).

“Quest’ultimo trentennio si qualifica anche in relazione a un altro processo la cui importanza è stata frequentemente sottostimata: la ‘rivoluzione permanente dei sistemi di comunicazione” (p. 38).

“Il perno di un simile sviluppo, costituito dall’ipertrofia del sistema finanziario, si è risolto in un forte accrescimento del livello di indebitamento collettivo” (p. 49).

“La riflessione di Simmel vede nel denaro e nei suoi derivati, tra cui il sistema finanziario, dei mezzi universali, che permettono il raggiungimento di qualsiasi scopo, e sottolinea il costitutivo scollegamento di tali mezzi dalle dimensioni del senso e del valore” (p. 56).

“La ricerca sulle global regions mostra come quei territori in cui si riesce a ricombinare in un rapporto dialettico la contrapposizione di istanze apparentemente antitetiche, quali la tecnica e il senso, l’efficienza e l’affettività, la crescita e il limite, tendano ad affermarsi e prosperare, seppur all’interno del precario contesto economico in cui ci troviamo” (p. 69).

“Da una parte l’io viene dunque indebolito e dissipato dallo sforzo estensivo a cui è chiamato, al punto da mettere in discussione lo stesso concetto di unità personale, mentre, dall’altra, l’abolizione di legge e autorità, nel declino del Grande Altro, tende a rendere insostenibile il desiderio stesso” (p. 76).

“Questa inedita alienazione si costituisce invece a causa dello sforzo necessario a sostenere il livello di performance richiesto dai sistemi tecnici e in virtù della natura lipidica e fugace del godimento che relega le esistenze a un’interminabile successione di rincorse verso una felicità mai stabile,mai duratura. […] Perché sia sostenibile la domanda di consumo su cui l’intero modello fa perno, si è infatti reso necessario lo spostamento del controllo dei comportamenti individuali da un piano esplicito e coercitivo (il Grande Altro) a un piano più profondo, invisibile, che includa la corporeità e la psichicità dei singoli individui, entrambe intrappolate nella ragnatela mediatico-dionisiaca tessuta loro intorno dal regime di produzione e sorveglianza” (pp. 78-79).

“La crisi psichica individuale dell’uomo contemporaneo, la crisi del valore finanziario e quella delle democrazie occidentali trovano una base condivisa e comune origine nell’evanescenza non già di specifici principi o ideali, ma dell’essenza stessa del valore” (p. 85).

“In ogni suo istante e in ogni sua azione, l’uomo aderisce e risponde, dunque, a un gran numero di rappresentazioni di varia natura; egli perciò non definisce se stesso in modo autonomo e indipendente, come vorrebbe il mito contemporaneo, si rivela invece nell’intreccio delle relazioni che intrattiene; nella relazione con se stesso, nello sforzo che essa richiede per l’elaborazione di processi di attribuzione di senso coerenti, relativi alla realtà e al proprio agire all’interno di essa, così come nella relazione con l’altro da sé, col mondo, con l’altera complessità del circostante” (pp. 88-89).

“La libertà generativa, invece, concepisce l’esistenza come realtà che non si regge su un’infinità di tipo quantitativo, bensì quale unicità qualitativamente infinita […] L’eccedenza della vita riconosce un limite e lo assume; perciò si contrappone all’eccesso espansivo” (p. 92).

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