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Questo breve libro raccoglie due conferenze tenute dall’autore presso l’università di Princeton nell’ottobre 2001. I contributi sono due, entrambi sulla guerra civile: il primo ricostruisce un percorso che parte dall’antica Grecia, il secondo punta al pensiero di Hobbes

Questo breve libro propone due conferenze tenute dall’autore presso l’università di Princeton nell’ottobre 2001 perché è arrivato il momento giusto: a volte kronos frena kairos… I contributi sono due, entrambi sulla guerra civile. Mentre il primo ricostruisce un percorso che parte dall’antica Grecia, il secondo punta (più che dritto, diremmo… sinuosamente) al pensiero di Hobbes.

Dal pensiero dei Greci impariamo molte cose. Per esempio il fatto che essi distinguendo l’oikos – la casa, la famiglia, il privato da cui la parola economia – dalla polis – la città, il pubblico, da cui la parola politica – in realtà individuino due ambiti, due poli entrambi attrattivi. Forse la storia è la narrazione di una costante risorgenza di un conflitto tra questi poli, che possono convivere armoniosamente (ma anche no). Ecco allora che la guerra civile diviene la soglia del passaggio dallo spazio impolitico della casa a quello politico della città: l’appartenenza domestica si politicizza in cittadinanza e, inversamente, la cittadinanza si politicizza in solidarietà familiare.

L’oscillazione tra queste tendenze si può facilmente riscontrare nella storia. Anche in quella recente. Anche solo limitandosi alla riattualizzazione delle parole: possiamo forse escludere che proprio l’ambito dell’economia non sia effettivamente oggi la condizione normativa che produce quella conflittualità per cui da più parti oggi si richiede il ritorno all’ambito della politica? Prendendo a prestito le parole dell’autore: “Nel corso della storia politica dell’Occidente, la tendenza a depoliticizzare la città trasformandola in una casa o in una famiglia, retta da rapporti di sangue e da operazioni meramente economiche, si alternerà invece a fasi simmetricamente opposte, in cui tutto l’impolitico deve essere mobilitato e politicizzato”. L’Europa – o la “casa Europa”, come Agamben la definisce – non si presenta forse nella rassicurante figura di un oikos e il mondo nell’assoluta figura dello spazio economico globale?

Ecco dove si colloca lo spazio – e il tempo – della guerra civile. E in questi anni la guerra civile, la stasis, entra nella forma del terrore: “Il terrorismo è la guerra civile mondiale”. D’altra parte – aggiungiamo noi – è ormai difficile pensare ad una guerra come si faceva fino a poco tempo fa: qual è l’ultima dichiarazione di guerra che uno Stato ha dichiarato ad un altro? C’è un esercito, questo sì, ma è vissuto come polizia (la polizia difende l’ordine interno): la milizia è la nuova polizia internazionale. Potremmo dire che la militarizzazione procede in termini polizieschi. Ma torniamo ad Agamben.

Del pensiero di Hobbes l’autore prende molto altro ancora. A partire dalla seducente spiegazione dell’immagine del frontespizio della prima edizione del Leviatano, Agamben analizza alcuni aspetti dell’opera che, di fatto, segna l’ingresso della moderna filosofia politica. Noi ci concentriamo solo su un concetto per noi particolarmente utile, quello che distingue il popolo dalla moltitudine. Perché nel pensiero di Hobbes il popolo, in realtà, non esiste se non come corpo elettorale: una volta avvenuta la scelta si dissolve in moltitudine. Ma è proprio questa moltitudine dissolta è il terreno di coltura della guerra civile, nella quale le divisioni interne danno luogo ad una moltitudine disunita. Che, ancora una volta, termina con la stabilizzazione dovuta al nuovo monarca, con una sovranità che assume su di sé tutta l’unità del corpo popolare.

La guerra civile è dunque la proiezione dello stato di natura nella città, è ciò che appare quando si considera la città dal punto di vista dello stato di natura. C’è una fine ultima? Il processo è destinato a ripetersi o ci sarà una soluzione? Hobbes ne è certo: il Regno di Dio avverrà e avverrà già sulla terra: il compimento escatologico della storia. Ma non subito. A questo proposito è molto interessante la ripresa del “potere che frena” l’avvento del Regno di Dio: già con Cacciari ci eravamo lasciati affascinare dalla seconda lettera ai Tessalonicesi. È evidente che il compimento escatologico richiede una lotta. Ci viene il sospetto che si tratti di una guerra civile, dato che per Dio i confini non hanno poi molto valore: la terra è una.

Così come ve l’ho riassunto io, rischiate di perdervi la complessità e la finezza di un pensiero che indaga con rigore, ma spero che questa recensione sia almeno sufficiente per stimolarvi a leggere. Voi, magari, vi chiederete perché noi di BeneComune.Net ci interessiamo di queste cose. Beh, lo facciamo perché ci stiamo convincendo che – come dice il Papa – l’attuale condizione di perenne conflitto sia una sorta di “terza guerra mondiale a pezzi”, questo sì: eppure ci sfiorava il sospetto che questa guerra fosse – in ultima analisi – un conflitto “tutto interno”, una sorta di guerra civile dispiegata su più Stati. Questo libro può sostenere anche questa tesi: se non altro offre molti stimoli utili a sostenerlo. Non è affatto banale cercare di capire la natura di questo conflitto, perché chi ci governa sa che per intervenire in modo efficace occorre sapere cosa c’è in gioco e con quale forze si stia realizzando.

Giorgio Agamben, Stasis. La guerra civile come paradigma politico, Bollati Boringhieri, Torino 2015.

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