Gli autori tracciano le linee che perimetrano la nostra condizione. La grande crisi non ci ha travolto, il mare si sta ritirando. E rende evidenti le tracce, le fratture, che segnano l’Italia di oggi. Per superare questa situazione è necessario ritrovare il gusto della politica, perché senza di essa non ci può essere progresso

Questo è un libro che merita di essere letto. Con la profonda semplicità del grande sociologo, De Rita e Galdo tracciano le linee che perimetrano la nostra condizione. La Grande crisi non ci ha travolto, il mare si sta ritirando. E rende evidenti le tracce, intese come fratture, che segnano l’Italia di questo tempo: sono faglie che non si colmano con l’intervento di tecnici o di saggi, ma riabilitando una tradizione di politica saggia e competente.
Per questo De Rita e Galdo riprendono un aforisma di Stéphane Hessel che la dice lunga sul loro pensiero: “Bisogna ritrovare il gusto della politica, perché senza politica non ci può essere progresso”. Naturalmente non stiamo parlando di una qualunque politica promossa da un qualunque uomo politico: perché gli autori – in controtendenza verso ogni intellettuale, politici compresi – riconoscono valore alla professionalità del mestiere politico. “La politica – si scrive – ha una sua tecnicalità che richiede mestiere, competenza, esperienza, tirocinio e innanzitutto il radicamento in una cultura di riferimento […] un valore etico che non è riconducibile solo al fondamentale comandamento di non rubare: senza un progetto la politica diventa soltanto gestione dell’esistente e scivola nella dimensione del potere fine a se stesso”.

Impegnativo, direi: ma in fondo, non sono forse le cose che –  al netto dell’imperante populismo – crediamo veramente? Non crederemo veramente, come provocano gli autori, che per formare un dirigente politico preparato basti passare per qualche salotto televisivo o aver superato la prova della cooptazione? No, non lo crediamo. Anche se lo vediamo. In fondo siamo cristiani: crediamo in quel che non vediamo…

Comunque, prima di perderci nei tantissimi stimoli che provengono da quest’opera, ecco in sintesi le tre fratture che segnano l’Italia e gli italiani, qui metaforicamente detti “popolo della sabbia” (il perché lo cercherete leggendolo: non possiamo scrivere tutto).

La prima è il furto della sovranità,
che per un verso è scivolata verso il basso (i fragili enti locali) e per l’altro è evaporata verso l’alto (l’incompiuta Europa e gli infernali summit internazionali dove si materializzano le grandi scelte finanziarie attraverso manager che dichiarano anche di fare “il lavoro di Dio”).

La seconda è la fine della rappresentanza
. Il miracolo italiano non è stato solo economico, ma anche la manifestazione di un equilibrio partecipativo che sapeva comporre i conflitti e offrire una direzione di marcia al Paese. Ora non è più così: il crack istituzionale e lo sfarinamento della coesione sociale ha creato un’antipolitica populista che si nutre del discredito verso le classi dirigenti, creando una distanza tra il popolo e gli “dei”. Non basta la società civile (e neppure il suo mito).

La terza è il potere cieco dei mercati
. La famiglia era stata il perno del lungo ciclo dello sviluppo italiano e resta ancora centrale nella percezione della scala di valori degli italiani. Ma questo tipo di capitalismo ha perso e a vincere è stato il capitalismo finanziario: un dato su tutti, per 1 dollaro ricavato dalla reale produzione ce ne sono 40 sul tavolo delle scommesse speculative, ricordano gli autori. Per questo i poveri impoveriscono e i ricchi arricchiscono: il rischio è una latente e mugugnante lotta di classe fondata sull’invidia sociale, e “tra i focolai del malcontento abbiamo il disprezzo verso la politica e la contestazione di opere ritenute inutili o dannose”. Ma può svilupparsi una società poco integrata e poco giusta? No, rimane ferma: “restante”, per dirla col lessico degli autori. La speranza si colloca nella generazione finora esclusa dal precedente ciclo, cioè gli stranieri, le donne e i giovani.

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Giuseppe De Rita, Antonio Galdo, Il popolo e gli dei. Così la grande crisi ha separato gli italiani, Laterza, Bari, 2014

Citazionirn

"Il miracolo italiano non è stato soltanto economico ma soprattutto politico e sociale. La politica ha potuto esercitare il suo primato attraverso i grandi partiti di massa. L’economia ha visto comporre i suoi conflitti attraverso la rappresentanza sociale, dai sindacati a Confindustria, da Coldiretti a Confcommercio collegati ai gironi della politica nelle svariate forme del collateralismo"

"L’armatura della rappresentanza ha bisogno di ripartire dagli interessi di prossimità, per esempio dalla vicinanza delle imprese al territorio. Dove non c’è prossimità non c’è rappresentanza".

"Si è spenta l’ambizione al cambiamento e si è acceso l’interesse alla restanza, il residuo attivo degli antichi germi di comunità, la difesa e la valorizzazione di ciò che appartiene al nostro patrimonio genetico e di quanto è stato guadagnato con i precedenti processi di sviluppo".

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