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“La sostenibilità, dopo tutto, non è un limite. Al contrario, incoraggia le innovazioni, proprio come le linee sul campo permettono al genio di Lionel Messi di esprimersi. Se sai dove sono i confini, puoi essere un virtuoso della crescita economica, creativo come Zlatan Ibrahimovic quando gioca a calcio. Se definiamo uno spazio operativo sicuro, possiamo tutelare il mondo naturale e, nel contempo, incrementare la nostra prosperità” (p. 215).

Johan Rockstrom (a sinistra) è direttore dello Stockholm Resilience Centre e professore di Sistemi idrici e sostenibilità globale all’Università di Stoccolma.

Mattias Klum (a destra) è fotografo freelance e regista. Il libro è raccomandato da WWF Italia.

Gli autori propongono un cambio di paradigma economico-ecologico per salvare il nostro pianeta da un cambiamento irreversibile che mette a rischio la nostra sopravvivenza. E lo fanno in 10 messaggi chiave:

  1. Aprite gli occhi: conoscere i dati della pressione umana sulle risorse naturali.
  2. La crisi è globale e va affrontata subito: in solo due generazioni le attività umane hanno oltrepassato la capacità della Terra di sostenere il nostro mondo in modo stabile.
  3. Ogni cosa è (iper) connessa alle altre: la rete della vita è del tutto connessa, unisce tutti gli ecosistemi del pianeta e ogni snodo della catena della materia.
  4. Aspettatevi l’inatteso: oggi, e in futuro sempre più, l’unica costante sarà il cambiamento e le sorprese saranno la nuova normalità.
  5. Rispettare i confini planetari: se lo facciamo salvaguardiamo la terra e imbocchiamo la strada per un possibile futuro di opportunità illimitate.
  6. Cambiare la mentalità globale: per riconnettere le persone con la natura, le società con la biosfera e il genere umano con la Terra.
  7. Dobbiamo preservare le bellezze ancora intatte della terra: è il momento di lottare per difendere i sistemi naturali che ancora sostengono la bellezza della Terra per tutelare anche la nostra prosperità.
  8. Possiamo cambiare le cose: l’unico modo per raggiungere la prosperità è la crescita verde. Il business as usual non è più una opzione accettabile.
  9. Innovare, innovare, innovare: definendo le soglie per l’uso delle risorse naturali possiamo innescare la creatività umana per sviluppare tecnologie sostenibili per la prosperità umana e la stabilità planetaria.
  10. Prima le cose urgenti: affrontare subito il cambiamento climatico, l’eccesso di azoto e fosforo e la perdita di biodiversità e intanto riconnetterci con la natura nel lungo periodo.

«E’ notte e state guidando su una strada tortuosa che costeggia uno strapiombo. E’ probabile che vorreste avere dei guardrail ben visibili per evitare di avvicinarci troppo al ciglio della strada. Come abbiamo avuto modo di vedere, gli esseri umani si stanno precipitando a rotta di collo verso il futuro, e dietro ogni curva si nascondono dei pericoli – rischiosi e improvvisi come precipitare in uno strapiombo. Per evitare che l’umanità possa trovarsi in una situazione simile, dobbiamo definire dei confini planetari che fungano da guardrail e ci impediscano di superare accidentalmente il bordo del dirupo. Questi confini non ostacolano la crescita o lo sviluppo, proprio come i guardrail che costeggiano una strada piena di curve non rallentano gli automobilisti. Servono per evitare gli incidenti» (p. 71)

Il volume sviluppa, con puntigliosa informazione scientifica e passione civile, lo stato delle cose riguardo all’uso smodato delle risorse naturali e ai problemi conseguenti.  E’ una miniera di preziose informazioni, che non possono che essere peggiorate nei quattro anni passati dalla pubblicazione.

La proposta interessante degli autori è quella di aver costruito 9 indicatori della salute del pianeta e quantificato per 7 di essi delle soglie di sicurezza e di rischio. Li chiamano confini planetari e li rappresentano così:

Come si vede abbiamo già sconfinato tre volte in zone a rischio e due volte in zone di incertezza.

Gli autori affermano che siamo entrati in una nuova era geologica, l’Antropocene, cioè un tempo in cui le modificazioni ambientali dipendono dalle attività umane e non più solo dagli eventi naturali o cosmici. La Terra non riesce più ad assorbire gli stress a cui la sottoponiamo.

Cosa fare?

La prima proposta fondamentale è quella di cambiare mentalità. Occorre passare da una concezione dell’ecologia come un costo aggiuntivo all’economia che frena lo sviluppo, ad una idea che se non proteggiamo la Terra non avremo un futuro economico e sociale così come lo pensiamo oggi per i paesi sviluppati.

La seconda è quella di avere una strategia globale, poiché tutto è interconnesso, in cui si valutino non solo i rischi economici, ma anche i rischi ambientali che diventano poi rischi per la sicurezza, per la stabilità, per la politica estera, per la finanza e per la struttura societaria. Focalizzarsi solo sui profitti a breve (le trimestrali per le borse) non è strategico, ma miope. Occorre avere una visione di lungo periodo in cui vengono assunti tutti i rischi potenziali e gestirli come tali. Occorrono quindi sia una governance mondiale che emani regolamenti dall’alto in basso, che degli incentivi che stimolino i comportamenti dal basso verso l’alto.

Il libro è punteggiato di concrete e fattive nuove azioni che, se attuate, come in parte sta già avvenendo, possono invertire la tendenza in atto.

Anche i giovani sono impazienti. Greta Thunberg, 15 anni, svedese, ha affermato alla Cop24 in Polonia: «Nel 2078 festeggerò il mio settantacinquesimo compleanno. Se avrò dei bambini probabilmente un giorno mi faranno domande su di voi. Forse mi chiederanno come mai non avete fatto niente quando era ancora il tempo di agire… Voi non avete più scuse e noi abbiamo poco tempo».

Credo che il mondo cattolico, in ritardo su queste tematiche rispetto all’ambiente ecologista, possa, sulla scia della Laudato si’ di papa Francesco, sviluppare una nuova riflessione popolare e di popolo, che coniughi ambiente, economia e welfare. Questa sarebbe una novità profetica adeguata alla sfida della salvaguardia della Terra che ci è stata affidata.

 

Rockstrom – M. Klum, Grande mondo piccolo pianeta. La prosperità entro i confini planetari, Edizioni Ambiente, Milano 2015.

 

Citazioni

“Un altro modo per valutare l’impatto economico del degrado dell’ambiente è stimare quanto ci costerebbe sostituire i servizi ecosistemici che ci vengono forniti gratuitamente. Anche se di rado teniamo conto di questo fatto, la Terra sussidia la crescita economica in misura incredibile” (p. 137).

“Sempre più aziende sono arrivate alla stessa conclusione: il business sostenibile è un ottimo business. Quando la General Electric ha annunciato che aveva generato 160 milioni di dollari di entrate, e 3000 milioni di dollari di risparmi dal 2005 integrando l’efficienza energetica nella catena di produzione, in parecchi hanno notato questo risultato” (p. 143).

“E’ il momento di cambiare la narrazione dei motivi per cui dovremmo prenderci cura del pianeta. Nei fatti, avremmo dovuto farlo da almeno 40 anni. Come “ambientalisti” siamo parte, e non piccola, del problema. Abbiamo creato un intero movimento basato sulla “protezione” dell’ambiente che ha avuto un grande successo, al punto che ha modellato il modo di pensare di chiunque. Oggi viviamo in un mondo in cui la natura sta da una parte e la società dall’altra. Ambiente contro sviluppo, e i due non si incontrano mai. Gli economisti ripetono il vecchio mantra secondo cui gli impatti sul pianeta sarebbero “esternalità”. Facciamo fatica a pensare a qualcosa di più grossolano: come fate a vivere su un pianeta – che è la fonte di qualunque ricchezza – e considerarlo un’esternalità?

Nel tentativo di risolvere i problemi dell’ambiente mettendo insieme gli sforzi della società civile, del settore degli affari e della politica siamo rimasti incastrati nella logica della protezione dell’ambiente dai danni causati dalle attività umane. Nei negoziati delle Nazioni Unite sul clima abbiamo discusso di come “proteggere il clima” e di come suddividere le responsabilità tra i vari soggetti. Nelle convenzioni sulla biodiversità, ci siamo focalizzati sui modi per massimizzare quello che deve essere conservato e protetto dagli umani, e per prima cosa abbiamo fatto appello alla responsabilità etica di proteggere le altre specie. Nel corso dei decenni il settore degli affari ha risposto a queste sollecitazioni creando interi dipartimenti dedicati alla CSR e all’ambiente. Qualunque azienda con ambizioni globali ha messo nero su bianco il proprio altruismo, dichiarando di voler proteggere qualche elemento di quelle esternalità danneggiate dalla attività umane.

Bene: questa epoca è finita. La storia è cambiata. Siamo nell’Antropocene, un mondo saturo e turbolento, in cui dobbiamo prenderci cura dell’intero pianeta. Prendersi cura del pianeta significa una cosa: non stiamo salvando qualche specie o un ecosistema. Stiamo salvando noi stessi, ci stiamo garantendo la possibilità di continuare ad avere sviluppo economico, prosperità e stili di vita decenti. Al pianeta non interessa nulla se tutto cambia. È il nostro mondo a essere in bilico. In ultima analisi, nessuna azienda può pensare di fare affari in un mondo destabilizzato da bruschi cambiamenti socio-ecologici. La resilienza e la sostenibilità che ci servono per rendere vivibili le nostre città e i nostri villaggi possono venirci solo da clima ed ecosistemi stabili” (pp. 144-146).

“Oggi, decenni più tardi, il dibattito sulla possibilità di mantenere una crescita infinita a fronte dei problemi ambientali e delle risorse in diminuzione è ancora incandescente. A nostro modo di vedere, né i neo-malthusiani come Boulding, che ridicolizzava la nozione stessa di crescita infinita su un pianeta finito, né i neoliberisti, che propugnano una crescita infinita, hanno ragione. Secondo noi, esiste uno spazio tra queste due posizioni estreme. A fronte delle prove di cui disponiamo, siamo convinti che il futuro dell’umanità passi per la crescita nell’ambito dello spazio operativo sicuro perla Terra” (p. 149)

“Fino a poco tempo fa, troppi manager lavoravano basandosi sul presupposto che prendersi cura dell’ambiente non significava altro che dare una spruzzata di coscienza verde al proprio core business, che rimaneva decisamente orientato al profitto. Questo approccio superficiale si è tradotto in varie operazioni di green washing sui report e i risultati delle aziende. Oggi però stiamo assistendo a un cambiamento. L’Antropocene è entrato nei consigli di amministrazione, e non come una minaccia ma come un “insider” strategico in grado di dare informazioni sui rischi e le opportunità dei mercati del futuro – in una parola, è diventato core business” (p. 171).

“Dopo tutto, l’Antropocene non deve essere per forza solo un’era di impatti umani negativi. Ci può essere un “Antropocene buono”, con un’ondata di innovazioni che traghettano il mondo verso un’epoca di abbondanza nei limiti dei confini planetari. Questa storia, di salute e prosperità per tutti entro i confini di un pianeta stabile, non è mai stata raccontata prima. È ora di farlo. Comincia con un cambiamento di mentalità, con una nuova prospettiva. Come abbiamo visto nella sezione 2, i vecchi modi di pensare hanno fatto il loro tempo. Per esempio: l’idea che la crescita economica sia scollegata dalla natura, o che l’attenzione all’ambiente sia d’intralcio allo sviluppo umano, sono obsolete. In realtà, è vero il contrario: per far sì che la prosperità umana si fondi su basi sostenibili, dobbiamo riconnettere le nostre società alla biosfera e rinforzare la loro resilienza. I sistemi che supportano la vita sulla Terra, da un clima stabile alla ricchezza della biodiversità, sono i prerequisiti delle economie moderne. Nell’Antropocene, senza sostenibilità non c’è prosperità” (p. 183).

“L’attuale modello di sviluppo scricchiola, ed è sempre più chiaro che abbiamo bisogno di un sistema migliore per misurare il progresso umano, uno che rimpiazzi il Pil come indicatore del benessere. Cresce il consenso sul fatto che la sostenibilità globale, l’equità, la resilienza e la felicità debbano rientrare nella definizione dello sviluppo umano. I sistemi di misura di cui disponiamo non bastano. Per valutare il benessere umano dobbiamo adottare una prospettiva socio-ecologica più ampia, specie nelle nazioni più ricche (che hanno raggiunto livelli di saturazione per quanto riguarda la crescita). In quelle più povere, invece, occorre puntare a una crescita efficiente ed efficace per ridurre la povertà” (p. 195).

“Una delle acquisizioni più importanti che derivano dal concetto dei confini planetari è che dovremmo smettere di pensare a certe cose come a dei costi o dei limiti per la società, e dovremmo invece considerarle per quello che realmente sono: capitale naturale di lungo periodo che ci serve per investire in prosperità e nella creazione di ricchezza” (p. 196).

“Il cambiamento dei nostri sistemi economici è quindi in ritardo di 200 anni. Il primo passo per attuarlo sarebbe quello di dare un valore economico al capitale naturale. E la domanda non dovrebbe essere quanto ci costerà passare a una società low carbon, quanto piuttosto quali e quanti benefici potrebbero giungere a famiglie, settori produttivi e intere nazioni investendo nei sistemi energetici, nei trasporti e nei sistemi di produzione alimentare low carbon. I leader più perspicaci hanno anche capito che è probabile che chi investirà prima nella transizione verso modelli di business e di governo sostenibili avrà i maggiori vantaggi. Sanno che il vero rischio per le organizzazioni è rimanere indietro. Viviamo in un mondo sempre più turbolento, dove i tipping point e il “picco di ogni cosa” sono rischi imminenti che possono portare a volatilità dei prezzi, a rischi di esiti catastrofici e a contese per risorse sempre più scarse. Di conseguenza, le aziende o gli stati che si ostinano a rimanere attaccati all’attuale modello di crescita, sporco, malsano, inefficiente e sempre meno attraente, rischiano di pagare un prezzo molto salato. Al contrario, quelli che guideranno la corsa verso i cicli chiusi di produzione e delle fonti di energia rinnovabili, saranno i veri vincitori di domani” (p. 199).

“Guardatevi intorno. Ovunque voi siate, in auto, su un aereo, in ufficio, sdraiati sul divano in soggiorno. Tutto quello che vedete viene dalla natura. Qualsiasi materiale, dalle terre rare ai tessuti, dalla plastica al legno, è stato estratto dalla biosfera. Il cibo che mangiamo, i modi in cui ci raffreschiamo e ci riscaldiamo, persino l’ultimo modello di smartphone che abbiamo comprato (che contiene in media più di 50 metalli diversi): tutto arriva da servizi forniti dalla natura. Non dovrebbe quindi essere una sorpresa che le innovazioni e le soluzioni ai problemi che abbiamo di fronte sempre più vengono dalla natura” (p. 201).

Epilogo

“Siamo arrivati alla conclusione che, per molto tempo, l’umanità si è comportata nel modo sbagliato. Per secoli, siamo rimasti aggrappati all’idea per cui avremmo potuto avere una crescita senza limiti su un pianeta finito. Poi, circa quarant’anni fa, questa idea è entrata in collisione con le tesi di quegli ambientalisti che proponevano dei limiti alla crescita. Eravamo convinti che avremmo potuto avere uno “sviluppo sostenibile” se solo fossimo riusciti a mantenere puliti i dintorni dei luoghi in cui abitavamo con normative locali sulle sostanze chimiche, sull’inquinamento dell’aria e dell’acqua e sulla tutela degli ecosistemi. Quanto ci sbagliavamo! La Terra è molto più complessa di così. I nostri abusi sull’ambiente locale hanno effetti anche a lunga distanza. A causa dei processi biofisici che connettono le regioni polari e le savane, le precipitazioni, gli oceani e l’atmosfera con i sistemi meteorologici locali, quello che nascondiamo sotto il tappeto in un angolo del mondo sbuca fuori per danneggiare qualcun altro in un altro angolo del pianeta, e spesso lo fa in modi imprevisti e poco piacevoli. Chi si sarebbe mai aspettato di poter contribuire a destabilizzare la calotta glaciale della Groenlandia, i ghiacciai dell’Antartide occidentale, le barriere coralline tropicali o la tundra siberiana, semplicemente facendo funzionare l’economia locale?

Quello che secondo noi serve è una nuova crescita entro i limiti. Se mettiamo insieme i dati scientifici sui limiti biofisici della Terra con gli scenari sulle nuove tecnologie e sulle trasformazioni dei valori, scorgiamo illimitate opportunità di abbondanza, attraverso una combinazione tra saggezza, innovazione e collaborazione globale. Il nostro obiettivo è quello di ridefinire lo sviluppo sostenibile, che andrebbe inteso come il perseguimento di una buona qualità di vita nell’ambito di uno spazio operativo sicuro sulla Terra. Per indicare quella che secondo noi è la direzione giusta, proponiamo qui un numero, facile da ricordare ma scientificamente ineccepibile, un numero che possiamo insegnare ai nostri bambini, che con ogni probabilità saranno ancora vivi nel 2100. Questo numero è zero.

Sappiamo, con un alto grado di certezza, che entro la metà del secolo dobbiamo arrivare a una società globale a zero emissioni come parte di un’economia globale completamente decarbonizzata. Dobbiamo poi azzerare la perdita di specie, in modo da fermare il declino della biodiversità. Infine, avendo trasformato metà delle terre emerse in coltivazioni e città, dobbiamo trovare il modo per nutrire il pianeta con i terreni già esistenti. Adesso basta: se vogliamo che continui a piovere, che i serbatoi per il carbonio continuino a funzionare e che le varie specie abbiamo ancora degli habitat dobbiamo riuscire a nutrire l’umanità senza espandere ancora i terreni agricoli. La prossima rivoluzione verde sarà davvero verde, dato che passerà attraverso un’intensificazione sostenibile sui terreni attualmente coltivati.

La formula a “triplo zero” — zero emissioni, zero perdita di biodiversità, zero espansione dei terreni agricoli — è un programma per lo sviluppo mondiale basato sulla scienza, che nel contempo definisce uno spazio operativo sicuro per la Terra. È un numero facile da ricordare. È un numero che lascia poco spazio al dubbio. È un obiettivo visionario, per scatenare una nuova rivoluzione verde, resiliente e redditizia.

Perché stiamo ancora aspettando? È solo colpa nostra.

Passare a un mondo prospero restando in uno spazio operativo equo e sicuro non solo è necessario, ma è anche possibile e auspicabile. Basandoci sui dati scientifici più recenti, abbiamo definito dei confini planetari che servono da stimoli per l’azione e da incentivi per le tecnologie esponenziali. Crediamo che le persone, in tutto il mondo, amino il mondo naturale e vogliano proteggerlo. Per aprirci a un futuro sicuro e prospero non dobbiamo fare altro che diventare i custodi delle bellezze che sono rimaste sulla Terra” (pp. 215-217).

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