Molti avranno notato, girando per le nostre città, i giganteschi cartelloni dell’attuale campagna pubblicitaria della Benetton. I poster raffigurano delle persone africane variamente abbigliate e molto colorate (elemento sempre presente nell’immagine dell’impresa veneta) ed intente ad attività diverse, che, come il messaggio commerciale chiarisce, hanno intrapreso grazie al microcredito, pratica evidentemente sostenuta dalla casa di moda, tanto da diventare il leit motiv della sua nuova pubblicità.

La multinazionale dell’abbigliamento, e non solo, è nota per aver spesso suscitato polemiche e dibattiti per le campagne pubblicitarie di forte impatto che ha realizzato, grazie all’opera di fotografi e pubblicitari che hanno affrontato questioni sociali scegliendo delle prospettive “particolari” e di grande effetto. La sensibilità per i temi sociali sembra essere un tratto caratteristico della casa d’abbigliamento, che in passato ha, per esempio, investito 15 milioni di euro per una campagna a sostegno di World Food Program (l’Agenzia dell’ONU che combatte la fame nel mondo), ha fatto una donazione in capi d’abbigliamento per le popolazioni bulgare colpite dalle inondazioni del 2005, versa contributi a diverse organizzazioni benefiche e ha una politica sociale volta alla promozione culturale, tramite la creazione di musei e biblioteche.
L’impresa della famiglia di Ponzano Veneto è però altrettanto nota per il suo comportamento non così attento agli aspetti sociali in altre circostanze e ad altre latitudini. Nel 1998 scoppiò il caso di una fabbrica di Istanbul, che lavorava per il licenziatario turco di Benetton e che impiegava manodopera infantile. Inoltre, in Argentina Benetton ha avuto numerosi conflitti con le popolazioni locali, a causa dell’acquisizione di 900.000 ettari di terra per la produzione della lana. Questa terra è abitata da sempre dal popolo Mapuche, per il quale il lavoro negli attuali possedimenti di Benetton rappresenta l’unica fonte di sussistenza e che è stato confinato in una striscia di terra dove le famiglie vivono in condizioni di sovraffollamento, diventando spesso manodopera a basso costo. Infine, la multinazionale italiana è stata anche accusata di utilizzare per i suoi capi lana australiana ottenuta con pratiche crudeli. Per questi motivi è stata sottoposta a boicottaggio.
Questo caso riporta alla memoria altri episodi, come quello ben più “rumoroso” che ha riguardato la più grande multinazionale dell’alimentazione: Nestlé. La corporation svizzera, oggetto di dure campagne di boicottaggio da oltre trenta anni per le modalità con cui commercia il latte in polvere nei paesi del Sud del mondo e per la politica riguardo ai diritti dei lavoratori, ha di recente volto i suoi sforzi all’acquisto, da parte di controllate, di marchi che producono o utilizzano prodotti equosolidali per cosmetici e cioccolato, dopo che aveva già lanciato sul mercato il suo primo caffè equo.
Questi comportamenti non limpidi e apparentemente incoerenti sembrano trovare fondamento nelle opportunità di mercato più che in una reale propensione alla responsabilità sociale da parte delle imprese ed invitano i consumatori ad un surplus di attenzione e di informazione nei propri acquisti, per non rischiare di favorire comportamenti non etici. Per alcuni prodotti in particolare, come il caffè equo, la fetta di mercato è ormai rilevante e con ampi margini di crescita; perciò per molti grandi gruppi può rappresentare un affare. Al contrario, i consumatori devono essere consapevoli che, data l’accresciuta capacità di influenza dell’impresa nella società, con maggiore forza si pone la sua responsabilità sociale, da esercitare a tutti i livelli dei processi decisionali. In futuro sarà, dunque, sempre più necessario verificare il livello di RSI delle imprese ed evitare “effetti maschera o make up” oppure adesioni parziali/formali, che sono nocivi e generano confusioni. Affinché la scelta dell’etica da parte delle imprese non sia strumentale occorrerà il contributo dei cittadini, delle associazioni di tutela, delle organizzazioni della società civile e degli organi istituzionali, specie quelli preposti ai controlli, per vigilare non solo sui prodotti ma anche sulle modalità e gli strumenti per catturare il pubblico. Anche perché la credibilità e la fiducia attribuite all’azienda privata o alla marca quali attori fondamentali per la crescita non solo economica di un paese non venga meno.
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