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Non c’è pace per Alitalia! E d’altronde come potrebbe esserci? L’offerta di Air France appare evidentemente bassa, i sindacati si sbracciano, i politici in preda alle convulsioni elettorali non sanno che pesci pigliare e la comunità imprenditoriale italiana resta a guardare.

Il valore delle azioni di Alitalia è “teoricamente” azzerato, tutti affermano con autorevolezza che non possiamo perdere la compagnia di bandiera e che sarebbe scandaloso svenderla ad un diretto competitor straniero, ma nessuno sembrerebbe fare i conti con un dato elementare: il prezzo non lo fa Alitalia. Certo, il Governo italiano in qualità di azionista rilevante potrebbe rifiutare l’offerta e far saltare l’accordo, accettando che Alitalia fallisca (è già fallita!). In questo caso non si cederebbe alla conclamata arrogante spocchia transalpina, ma si perderebbe comunque la compagnia di bandiera con tutto ciò che tale perdita comporta in termini di posti di lavoro e di eventuali ricadute sulla centralità del nostro Paese nelle rotte turistiche ed economiche. D’altro canto, il riconoscimento del fallimento di Alitalia, sotto il profilo analitico, non significa che gli italiani sarebbero destinati a non volare, specialmente ora che il mercato delle rotte si starebbe via via liberalizzando e nuovi vettori si candidano ad assumere un peso sempre maggiore. I numeri sono inesorabili, la nostra compagnia di bandiera perde circa due milioni di euro al giorno, il prestito ponte che le ha consentito di sopravvivere fino ad oggi non è servito a rilanciare l’azienda e ragioni di opportunità finanziaria – che talvolta non sono aliene dal buon senso che rappresenta il primo “bene comune” di una comunità –, oltre che di realistica possibilità politica, dati i vincoli europei che escludono la ricapitalizzazione per mano pubblica, non lasciano spazio alla fantasia. Non v’è dubbio che i 138,5 milioni offerti da Air France ed accettati dal nostro governo appaiono come una disonorevole Caporetto dei vertici dell’azienda italiana, nonché del nostro Governo che ha gestito e sta gestendo la difficile trattativa. D’altronde, come dar torto a Jean Spinetta quando afferma che Air France non è costretta a comprare? Nella giornata di ieri (18 marzo) il valore delle azioni Alitalia si è “teoricamente” azzerato. In questo quadro, è come se tutti gli interessi che si concentrano intorno ad una azienda fossero evaporati. L’interesse degli azionisti: il titolo è praticamente carta straccia, come pensare che l’azienda valga ancora qualcosa sul mercato? Quello dei dirigenti: a questo punto il loro potere di governance è sotto scacco, essendo esposti al più classico take-over. Quello dei lavoratori, i quali possono affidarsi soltanto alla protesta d’ufficio dei sindacati, la cui incidenza contrattuale, di fronte alla prevedibile e ragionevole reazione di Spinetta, appare abbastanza depotenziata. Infine, quella degli utenti, i quali sono seriamente poco interessati ad una compagnia aerea che non brilla per efficienza, essendo i suoi costi eccessivi, le sue prestazioni mediocri e potendo contare su alternative valide e competitive. Di fronte ad simile scenario, se realmente si vuol vendere, lo si faccia in fretta e al miglior offerente, che sia Air France o “pinco pallino”, altrimenti si affronti la realtà, si dichiari il fallimento e si consenta al mercato di riempire il vuoto lasciato indecorosamente dall’uscita di scena di Alitalia. Non è giusto che il contribuente italiano (e tra i contribuenti la maggior parte non prenderà mai un aereo nella propria vita) continui a svenarsi per un corpo dichiarato morto da lungo tempo ed è altresì ingiusto impedire che il mercato possa colmare da sé questo vuoto, restituendo dignità ai lavoratori di Alitalia, punendo i cattivi manager e offrendo un servizio più efficiente agli utenti. Il compito del Governo dovrà essere quello di favorire tale processo, avendo cura in primo luogo del destino dei lavoratori (la loro riassunzione), dovrà assumersi le sue responsabilità di classe dirigente, ammettere gli errori compiuti e favorire l’ingresso nel mercato di tutti i possibili investitori: italiani e stranieri. Ma dovrà farlo in fretta, perché è già troppo tardi.
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