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Pubblichiamo il seguente articolo apparso lo scorso 30 ottobre su L’Occidentale

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E’ particolarmente diffusa l’opinione che la causa principale della profonda crisi che attualmente cinge d’assedio la cittadella della finanza globale sarebbe la dissennata politica di deregulation operata negli ultimi decenni dai repubblicani;

una sorta di derivato della reaganeconomics, un filone deviato ed estremamente pericoloso della filosofia che sottende il capitalismo: il lassez faire, e guidato dai falchi neoconservatori che dai tempi di Reagan avrebbero assunto l’egemonia in ambito politico, economico e culturale. Non è un caso che, anche negli Stati Uniti, lo spettro della responsabilità del reaganismo sulla presente crisi è stato evocato da numerosi analisti e politici, in primis dal probabile futuro Presindente Barak Obama. In tutti i dibattiti elettorali, Obama ha sostenuto la seguente tesi: la deregulation repubblicana è responsabile della crisi finanziaria. Ebbene, le cose stanno esattamente in questi termini? Proviamo ad analizzare alcuni fatti.

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Il primo fatto che emerge dall’osservazione della politica economica statunitense degli ultimi trent’anni è che, sebbene durante questo lasso di tempo siano stati adottati numerosi programmi di deregolamentazione in tanti settori della vita economica di quella nazione, nessuno ha interessato il settore finanziario. In realtà, scrive sul “Wall Street Journal” Peter J. Wallison, l’unico significativo provvedimento legislativo che ha prodotto effetti sull’assunzione del rischio finanziario è stato il Federal Deposit Insurance Corporation Improvement Act del 1991, adottato durante l’amministrazione Bush Senior come risposta alla caduta delle Savings & Loans. Con tale atto s’intese stringere le maglie dei controlli sulle banche commerciali, con provvedimenti come, ad esempio, il tempestivo intervento correttivo nei casi in cui il capitale di una banca fosse sceso al di sotto di un livello adeguato di garanzia e severe multe nei confronti dei manager che avessero disatteso norme o regole.

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Un secondo provvedimento che viene spesso richiamato come responsabile dell’attuale crisi riguarderebbe il cosiddetto Gramm-Leach-Biliey Act del 1999, effettivamente presentato dal Partito Repubblicano, ma sostenuto anche dall’amministrazione di Bill Clinton. Con tale provvedimento si intendeva emendare il Glass-Steagall Act, adottato nel 1933 per separare le banche d’affari da quelle commerciali e per proibire alle banche commerciali di fare affari con le aziende impegnate nella sicurezza, nonché per evitare che le banche fossero affiliate ad imprese il cui core business fosse in quel campo. Con il provvedimento del 1999 venne modificata quest’ultima parte della norma del 1933, consentendo alle banche e alle società impegnate nell’industria della sicurezza di essere collegate all’interno di una stessa holding. In questo modo, J.P. Morgan ha potuto acquisire Bear Stearns e Bank of America potrebbe acquisire Merrill Lynch. Per il resto, alle banche è ancora proibito fare affari nel campo della sicurezza.

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A questo punto, non si comprende come l’aver consentito alle banche e alle imprese operanti nel campo della sicurezza di poter stare all’interno di una stessa holding avrebbe favorito ovvero contribuito o addirittura determinato l’attuale crisi finanziaria. Basti pensare che nessuna banca d’affari coinvolta nella crisi era in qualche modo affiliata a banche commerciali e che nessuna banca vicina ad imprese della sicurezza è tra quelle che hanno subito sensibilmente la crisi. In realtà, la forza di queste banche è stata quella di aver saputo diversificare il proprio investimento in attività non bancarie, mentre le banche che hanno sofferto la crisi sono quelle che hanno investito in titoli tossici – emessi anche da imprese della sicurezza – e non nelle attività economiche di tali imprese.

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Se proprio si deve ricercare un atto dell’amministrazione statunitense teso alla deregulation finanziaria e che avrebbe contribuito all’attuale dissesto, dovremmo risalire al 1998, quando l’amministrazione Clinton stabilì che Fannie Mae e Freddie Mac avrebbero potuto soddisfare le loro obbligazioni immobiliari acquistando ipoteche subprime. Secondo l’opinione di Wallison, ciò avrebbe consentito a Fannie e Freddie di aggiungere un trilione di dollari di titoli spazzatura ai loro bilanci.

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Vi sarebbe un altro elemento da aggiungere al mosaico, il provvedimento presentato e votato dai repubblicani nel 2005 (il Sen. McCain era uno dei tre proponenti) in sede di commissione (Senate Banking Committee) e non votato dai senatori democratici. La proposta di legge seguiva l’invito di Greenspan rivolto al Congresso di fare attenzione al rischio che Fannie e Freddie stavono esponendo l’intero sistema finanziario statunitense. Quel provvedimento non vide mai la luce per il voto contrario dei rappresentanti del Partito Democratico e per l’incapacità del Partito Repubblicano di assumersi la responsabilità di prendere una decisione non condivisa in quel momento dall’opposizione.

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La breve, la politica economica reaganiana è stata qualcosa di più complesso ed anche di più interessante di certe ricorrenti caricature – soprattutto nostrane. Essa si è contraddistinta per provvedimenti di liberalizzazione ispirati alla cosiddetta supply-side economics che hanno dato un significativo contributo al dinamismo dell’economia non solo statunitense. L’economia dell’offerta, così come è stata concepita da Irving Kristol (che di reaganismo s’intende), si propone come una prospettiva economica dal basso, che aggredisce i problemi dal punto di vista del singolo operatore, l’imprenditore e l’investitore, intesi come i veri protagonisti del processo economico. Diversamente dal sistema keynesiano, per il quale il governo finisce per assumere le sembianze quasi magiche di un “deus ex machina” onnisciente che, intervenendo, preserva o ristabilisce “un’armoniosa economia universale”, l’economia dell’offerta di matrice neoconservatrice rappresenta, per usare le parole dello stesso Kristol, una “rivolta umanistica” contro una metodologia di analisi economica tutta incentrata sulla formalizzazione matematica. Un meccanicismo matematico nel quale gli aggregati economici si relazionerebbero l’un l’altro rappresentando all’analista una serie di istantanee le quali, messe in sequenza, dovrebbero mostrare la fisiologia dell’universo economico nel quale abitiamo; un universo popolato da algoritmi piuttosto che da persone in carne ed ossa. A questo punto, siamo proprio sicuri che sia stata tutta colpa di Reagan?

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