|

L’accordo sulla vigilanza europea raggiunto pochi giorni fa ha un’importanza fondamentale. Il rapporto Liikanen sul sistema bancario nell’UE ci ha ricordato qualche tempo fa che esistono nel continente alcune banche che sono più grandi degli stati nazionali. E’ il caso ad esempio della Ing che vale il 161% del pil olandese, della HSBC che vale il 119 % del PIL del Regno Unito, del Banco Santander (il 118% del PIL spagnolo), di Nordea (il 197% del PIL svedese). Si tratta pertanto di istituti bancari evidentemente troppo grandi per fallire se la scala è quella nazionale, ma non più troppo grandi per fallire se la scala è quella europea dove l’istituto più grande non supera il 15 percento del PIL UE.
rn

Il rischio tuttavia è che ci sia l’illusione di aver risolto con questa mossa i gravi problemi del settore. In primo luogo, ammesso che ci si accordi sulla ricapitalizzazione europea di istituti in crisi da parte dell’ESM anche il fallimento di una banca che rappresenta il 15 percento del PIL UE sarebbe una catastrofe e dobbiamo pertanto ridurre il rischio che questo avvenga. La vera questione posta da tempo e non ancora risolta è la separazione necessaria tra banca commerciale e banca d’affari. Le grandi banche sistemiche europee mescolano la tradizionale attività di raccolta di depositi ed erogazione di crediti con quella di trading speculativo. E’ la seconda l’attività veramente rischiosa che le porta spesso sull’orlo del fallimento ma è la prima quella che fissa il ricatto per il quale queste banche devono per forza essere salvate a tutela dei depositanti. La certezza del salvataggio spinge queste banche a prendere rischi ancora maggiori nell’attività di trading in proprio per cercare di ottenere maggiori rendimenti che vanno poi ad ingrassare la componente variabile delle remunerazioni di traders e manager.
Fondamentale anche nell’accordo che la vigilanza delle banche non sistemiche resti in capo alle banche centrali nazionali. Lo stesso rapporto Liikanen, attingendo ad una vasta letteratura in materia, spiega come la resilienza del sistema bancario dipende in modo cruciale dalla presenza di banche di territorio, etiche o multistakeholder. La performance degli ultimi dieci anni ci dice che queste banche, rispetto ai conglomerati sistemici di cui abbiamo parlato prima, hanno percentuali di depositi e prestiti sull’attivo molto più elevati, sono più capitalizzate, hanno meno crediti in sofferenza e godono di sinergie di rete importanti a livello di sistema (si veda a questo proposito sia il rapporto Liikanen che quello della Global Alliance for Banking on Values). Grazie a tali sinergie i fallimenti di una singola cellula non comportano rischi particolarmente gravi sia per la piccola dimensione che per la capacità del sistema di intervenire attraverso processi di acquisizione interni. Infine, anche guardando al mero criterio di efficienza, le grandi dimensioni sono del tutto ingiustificate in quanto la scala ottimale è di gran lunga inferiore alle dimensioni medie delle banche sistemiche.
Dobbiamo dunque guardare con soddisfazione all’accordo europeo sulla vigilanza non dimenticando però il monito del rapporto Liikanen. Abbiamo bisogno di banche più piccole, meno indebitate e della separazione tra banca commerciale e trading proprietario. Senza questi passi decisivi la spada di Damocle di nuove gravi crisi finanziarie continuerà a pendere sulle nostre teste.

Ti è piaciuto questo articolo? Condividilo!

FACEBOOK

© 2008 - 2024 | Bene Comune - Logo | Powered by MEDIAERA

Log in with your credentials

Forgot your details?