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La categoria del Bene Comune è stato centrale in tutto il pensiero classico, da Aristotele fino al personalismo di Maritain e degli ultimi papi.

Nella dottrina sociale della chiesa, come è noto, il Bene Comune viene inteso come “la dimensione sociale e comunitaria del bene morale” che è “il bene di tutti e di ciascuno”, e per questo “indivisibile perché soltanto insieme è possibile raggiungerlo” (Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, n. 164).
Il bene comune rimanda ad un noi, ad un “nostro” che, per definizione, non è mio: un bene che è di tutti perché non è proprio di nessuno. Se volessimo usare una metafora, dovremmo dire che il bene comune non nasce da una somma di tanti “privati”, ma da una sottrazione, dove ciascuno retrocede dal proprio, rinuncia cioè a qualcosa di privato, e tutti assieme costruiamo il bene comune che poi, in un secondo momento, si rifletterà anche nel bene individuale di tutti. C’è, però, bisogno di un passaggio attraverso un “non”, o un sacrificio, senza il quale non si dà vita ad alcuna forma di bene comune.
L’economia moderna, invece, ha seguito, fin dalla sua nascita, una strada che l’ha allontanata radicalmente dalla tradizione del bene comune. Il “bene comune” che ha in mente l’economia moderna, non è generato da chi se lo prefigge come obiettivo diretto e intenzionale, ma, piuttosto, da chi cerca, con prudenza, il proprio interesse personale indifferente al bene degli altri. L’economia moderna nasce ancorata all’idea di bene immune, che si sostituisce a quello di bene comune: il bene dell’economia (ricchezza, sviluppo, consumo) non richiede nessun rapporto tra le persone; anzi è bene che questo rapporto non ci sia, se si vuole raggiungere l’efficienza: “non ha mai visto fare qualcosa di buono da chi si prefiggeva di trafficare per il bene comune”, commentava Adam Smith come corollario del suo teorema della “Mano Invisibile” nella sua Wealth of Nations (1776).
Ecco perché tra il bene comune e il bene pubblico o collettivo della scienza economica attuale non c’è alcun rapporto. Per la teoria economica, come è noto, siamo in presenza di un bene pubblico quando due o più persone, ad esempio, utilizzano insieme lo stesso ascensore: i due “consumano” il bene indipendentemente, senza che tra di loro ci siano “interferenze”. E’ l’assenza dell’interferenza, la “mutua indifferenza” tra i consumatori che rende il bene pubblico (e non privato): una definizione che non richiede ai soggetti coinvolti nel consumo del bene alcuna azione interpersonale positiva (ad esempio parlare e fare conoscenza lungo il “viaggio”).
Il bene comune, invece, è essenzialmente un rapporto tra persone mediato dalle cose consumate, l’opposto del bene pubblico che è un rapporto tra l’individuo e la cosa, senza nessun bisogno di un “tra”, di un rapporto tra i consumatori coinvolti nell’atto del consumo.
Il dibattito attuale su immigrati e sicurezza è un tipico problema associato al bene comune, perché ha a che fare con rapporti tra persone e tra persone e istituzioni. Invece viene sempre più gestito con la culture del “bene immune”, trovare cioè soluzioni che ci immunizzino dal problema, invece di affrontarlo entrando nel terreno sempre pericoloso, ma sempre vitale e vero, della relazione interumana. In questo modo, però, i problemi delle relazioni umane non si risolvono, e prima o poi esplodono.

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