Le crisi monetarie internazionali degli anni passati hanno evidenziato che i cambi fissi sono, per loro natura, insostenibili. La letteratura economica ha prodotto una serie di modelli, detti di prima (Krugman, 1979), seconda (Krugman, 1996) e terza generazione (Krugman 1998, ma anche Corsetti, Pesenti e Roubini, 1999) per spiegare il fallimento delle politiche di cambio fisso a seconda che si enfatizzi il ruolo della politica di bilancio (pesos messicano, 1982), della credibilità dei Governi (lira sterlina e lira italiana, 1992), della finanza (crisi asiatica, 1997).

In Europa il concambio tra le diverse valute nazionali (ad esempio la lira, il marco, il franco) e l’Euro è avvenuto una volta per tutte, ossia a cambi irrevocabilmente fissi (attenzione: l’euro è un cambio flessibile nei confronti delle altre valute in circolazione, ad esempio il dollaro. In questa sede si sta discutendo la tipologia di cambio tra le diverse valute dei Paesi che hanno aderito all’Unione Monetaria Europea e l’Euro).

L’avverbio irrevocabilmente ha fatto, fino ad oggi, la differenza.

Il cambio è fisso se due o più paesi si accordano nel mantenere una data parità tra le valute e si impegnato attraverso l’uso delle Riserve Ufficiali disponibili presso le Banche Centrali dei Paesi interessati a difenderne il valore. Dal momento che i capitali che operano ogni giorni nel mercato dei cambi sono enormemente superiori rispetto alle Riserve Ufficiali, il tasso di cambio fisso non è sostenibile in presenza di scarsa credibilità delle autorità monetarie; dei Governi Centrali; di andamenti macroeconomici sfavorevoli; in caso di shock esogeni duraturi.

Il cambio è irrevocabilmente fisso quando i Paesi che aderiscono all’accordo non possono in nessun modo ritornare alla vecchia valuta poiché, come nel caso dell’area Euro, la valuta nazionale cessa di avere corso legale.
La mancata previsione di uscita di un Paese dall’Euro non è stata una svista ma un modo per tutelare l’Euro dal fallimento annunciato di un cambio fisso. Una volta entrati nell’euro non si può (?) uscirne.

Nella natura umana, e quindi anche negli scambi economici, di irrevocabile vi è solo la morte.

Prima delle recenti elezioni in Grecia, a ridosso delle stesse, ed ancora in questi giorni, personaggi autorevoli continuano a prospettare una possibile uscita della Grecia dall’area Euro.

Se questa previsione dovesse avverarsi, i mercati, ossia i grandi ed i piccoli investitori saprebbero che, di fatto, il cambio non sarebbe più irrevocabilmente fisso ma solo fisso tra l’Euro e le nuove, potenziali e formalmente ad oggi inesistenti, valute nazionali dei Paesi membri.

Questo implicherebbe una rinascita di una Nuova Dracma che, sulla base di un ampio consensus, si svaluterebbe di circa il 50-70%.
Se la rinascita dell’araba fenice era un evento gioioso poiché simboleggiava la vita che rinasce dopo la morte, in questo caso le conseguenze sarebbero funeste e potrebbero portare per un effetto contagio all’uscita dall’Euro di Italia, Spagna, Portogallo e, probabilmente, Irlanda e Belgio.

L’uscita di questi Paesi potrebbe generare due possibili esiti: un Euro che permane ad appannaggio dei soli paesi forti dell’Europa Centro-settentrionale. Oppure, nel medio periodo, la disgregazione completa dell’Euro.

In entrambi i casi ritornerebbero per alcuni o per tutti i Paesi le valute nazionali con le possibili seguenti conseguenze:
svalutazioni molto forti nei confronti della nuova moneta forte di riferimento (il Nuovo Euro o il Nuovo Marco); ripresa dell’inflazione probabilmente a due cifre con un forte redistribuzione della ricchezza reale a sfavore dei percettori di reddito fisso; diminuzione del valore reale del debito per tutti i debitori (in primis lo Stato); difficoltà o impossibilità di nuovo finanziamento dei debiti pubblici dei Paesi deboli; aumento dei tassi interbancari (penalizzando i mutuari a tasso variabile e i nuovi sottoscrittori di mutui) e probabilmente la fine dell’Euribor e il ritorno dei tassi interbancari nazionali.

Ma, ancor più grave, se saltasse l’Euro fallirebbero le banche.
Infatti al crescere della percezione di abbandono dell’Euro la strategia ottimale di ciascun depositante sarebbe di ritirare i propri depositi in Euro dalle banche. Questo per evitare la perdita di valore in seguito al concambio tra una valuta forte (il Nuovo Euro o il nuovo Marco) ed una debole (la Nuova Lira) ed al contempo lucrare la maggior valuta nazionale ottenibile cambiando i vecchi Euro con la Nuova valuta nazionale.
Nessuna banca, specialmente oggi, può reggere ad un ritiro massiccio di depositi. In Italia il Fondo Interbancario di Tutela ei Depositi (FITD) non ha le risorse per rimborsare i depositi in caso di fallimento congiunto delle banche.
Solo la Banca Centrale, stampando moneta, potrebbe tutelare efficacemente i depositi. Ma non sarebbe più la Bce ma le singole Banche Centrali Nazionali (leggi Banca d’Italia per l’Italia). Se non lo facesse, si assisterebbe alla distruzione del sistema finanziario e produttivo nazionale. Se lo facesse alimenterebbe il fuoco dell’inflazione.

Chi beneficerebbe nel breve periodo dall’uscita dell’Euro?
In parte, abbiamo detto, i debitori ed in particolare lo Stato con il suo immenso debito pubblico. In parte le imprese esportatrici a causa della forte svalutazione della nuova moneta nazionale.

A livello politico e sociale, assisteremmo probabilmente a disordini di piazza e al ritorno di nuovi nazionalismi che potrebbero essere prodromici per nuovi conflitti in Europa che pensavamo scomparsi per sempre (ricordiamoci che il nazionalsocialismo in Germania nacque e si diffuse a causa delle disastrose condizioni economiche durante la Repubblica di Weimer unitamente al desiderio di rivalsa contro gli Stati autori del Trattato di pace di Versailles).

Il tasso di cambio euro-dollaro ma anche euro-yen ed euro-sterlina è un indicatore (non totalmente affidabile ma comunque ragionevolmente buono) della probabilità che la Grecia esca dall’Euro e della morte di quest’ultima valuta. In particolare se i mercati pensassero che l’Euro sia una valuta destinata a morire venderebbero euro contro dollari (ma anche sterlina, yen, franco svizzero) che, quindi, tenderebbe a deprezzarsi (ad i suoi massimi quotata 1.60 contro il dollaro; oggi quota intorno ad 1.21 dollari per 1 Euro. Se si deprezzasse servirebbero meno dollari per acquistare un Euro).

Questa tendenza sarebbe rafforzata se gli speculatori vendessero allo scoperto (ossia senza averne materialmente la disponibilità) Euro contro altre valute forti. Quanto già accaduto nei confronti del dollaro nel periodo finale degli accordi di cambio di Bretton Woods (1946-1971); nel Serpente Europeo negli anni ’70; nel Sistema Monetario Europeo (SME) nei già ricordati casi della lira italiana e della lira sterlina nel 1992.

Per questi motivi appaiono irragionevoli e quanto meno avventate le dichiarazioni rilasciate agli organi di informazione sull’uscita della Grecia dall’Euro.

Ma non è certo questa l’unica irragionevolezza. Ancora più grave è il sostanziale immobilismo della politica europea, fermata da veti, antichi rancori, sensi di superiorità.

Se muore l’Euro non muore solo una valuta.

Muore il sogno di una Europa unita, senza frontiere né guerre, un soggetto in grado di dialogare con le vecchie e nuove potenze economiche e politiche mondiali.

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