La stucchevole saga del ‘caso vaccini’ utilizzata per puri scopi demagogici, offusca altre notizie che (aldilà del merito tecnico) hanno una rilevanza epocale. E’ il caso del recente annuncio della Pfizer (una delle multinazionali farmaceutiche più grandi del mondo) di voler abbandonare la ricerca sulla malattia di Alzheimer e sul Parkinson…

La stucchevole saga del ‘caso vaccini’ utilizzata per puri scopi demagogici (il vostro corrispondente ritiene che questi argomenti non siano materia di discussione politica, dovendo essere semplicemente affidati al giudizio delle agenzie statali preposte alla salute pubblica, tutto sommato non saremmo molto contenti di vedere il chirurgo che ci deve operare fare un sondaggio sull’opportunità dell’intervento tra gli ospiti occasionali dell’ospedale..), offusca altre notizie che (aldilà del merito tecnico) hanno una rilevanza epocale.

Faticherete a reperire nella stampa generalista, il recente annuncio che la Pfizer (una delle multinazionali farmaceutiche più grandi del mondo) ha deciso di abbandonare la ricerca sulla malattia di Alzheimer e sul Parkinson.

La giustificazione fornita dai vertici dell’azienda (che non è per nulla in crisi, anzi..) risulta molto vaga (ricollocare le risorse in campi dove l’azienda ha una posizione migliore e più possibilità di beneficiare i pazienti) mentre, sempre allo stesso link citato in precedenza, un eminente  neuro-scienziato  afferma che i farmaci esistenti per l’Alzheimer prolungano il tempo di emergenza dei sintomi di sei mesi – un anno in circa il 60% dei pazienti senza realmente debellare la malattia. Il neuro-scienziato accenna al fatto che questo risultato non è soddisfacente e che i farmaci comunque operano solo sui sintomi senza ‘interferire con la biologia’ della malattia e, tra le righe, che questi farmaci risalgono agli anni 70-80 dello scorso secolo.

Questa giustificazione, più che dissipare i dubbi, li aumenta in maniera esponenziale:

  1. Quasi tutti i farmaci agiscono sui sintomi senza ‘agire sulla biologia’, non solo, ma alcuni gloriosi e potenti rimedi (un caso per tutti l’aspirina, in cui l’effetto terapeutico della corteccia di salice era stato riconosciuto e sfruttato secoli prima che si conoscesse la biologia dell’infiammazione, laddove ancora gli scienziati non sono del tutto d’accordo sul meccanismo molecolare dell’acido acetil-salicilico) hanno funzionato per secoli senza la necessità di conoscerne il meccanismo d’azione.
  2. Ritardare di vari mesi l’insorgenza di una malattia (tra l’altro in assenza di rilevanti effetti collaterali) devastante come il morbo di Alzheimer è tutt’altro che ‘cosa da poco’ specialmente se si fa il confronto con lo sviluppo di anti-tumorali dove si spaccia per un grande successo l’allungamenti dell’attesa di vita nell’ordine delle settimane e a prezzo di spaventosi effetti collaterali e costi proibitivi. (cfr. Mariano Bizzarri).
  3. Come mai dopo quaranta anni di ricerca, di innumerevoli proclami sul fatto che ‘della mente e del cervello capiamo tutto’ di scienziati, filosofi e media, neuro-etica, anno del cervello … non ci siamo mossi di un passo quanto ad applicazioni terapeutiche?

Tralasciamo la spiegazione più inquietante (… più facile togliere (dolcemente?) da questa terra i pazienti piuttosto che curarli) non perché non venga alla mente, ma perché non è questo il tema dell’articolo, e rimaniamo nell’ambito scientifico. Ciò che appare come la spiegazione più plausibile è che ci si sia ormai resi conto che la scienza biomedica è entrata in un periodo di sterilità produttiva e quindi non risulti più un buon affare continuare a sovvenzionarla da parte delle aziende private. Il sospetto che questa sia la spiegazione più probabile deriva da segnali molto chiari forniti dalle riviste di gran lunga più influenti del mondo medico, quelle che indirizzano le opinioni (si veda ad esempio, per quanto riguarda il cancro: Ian F. Tannock and John A. Hickman, Limits to Personalized Cancer Medicine, 2016; in modo ancora più chiaro e netto: Michael J.Joyner, Nigel Paneth, John P. A Ioannidis, What Happens When Underperforming Big Ideas in Research Become Entrenched?, 2016).

Se la scienza ha una crisi di efficacia a breve termine questo non significa che la scienza vada abbandonata ma, al contrario, che si apre una strada nuova ed eccitante di cambio di paradigma, che chiama gli scienziati a cercare nuovi fondamenti, a guardare con occhi nuovi il mondo. In termini applicativi questo potrebbe significare venti o trenta anni di studio prima di ‘ritornare a donare nuovi farmaci efficaci’. A questo punto la domanda cruciale (e qui risiede l’aspetto epocale della notizia) diventa:

Posto che le aziende private mettono i loro soldi dove più loro aggrada, le nostre società sviluppate sono in grado di sostenere investimenti per periodi medio-lunghi (decenni), senza garanzia di un ritorno economico, in attività di investigazione della natura confidando nella importanza della libera ricerca scientifica?

La risposta a questa domanda è lasciata al libero esame dei lettori di Bene Comune sapendo che questa ricerca disinteressata è stata il nerbo dello sviluppo della nostra civiltà … laddove l’insistenza di proclami che promettono ‘vantaggi immediati’ (e.g. l’orribile termine ‘traslazionale’ presente in tutti i bandi di ricerca europei ed americani) dal finanziamento alla ricerca, mette in effetti un po’ di inquietudine.

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