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Noi però cristiani, cattolici ed erranti cavalieri dobbiamo anelare più alla gloria delle vegnenti età (che eterna vive nell’eteree celesti regioni) che alla vanità della rinomanza che acquistasi nel presente transitorio mondo: rinomanza che per molto che duri va a perire colla distruzione del mondo medesimo, il quale ha il prestabilito suo fine; ed è per questo, o Sancio, che noi non dobbiamo operare se non secondo i dettami della cristiana religione che da noi si professa. Nella morte dei giganti punire intendiamo la superbia; nella generosità e cuor forte ha il suo castigo l’invidia; nella compostezza e tranquillità dell’animo l’ira; nella parsimonia dei cibi e nella veglia la gola e il sonno; nella lealtà che serbiamo a quelle da noi costituite arbitre dei nostri pensieri, trovano punizione la ingiuria e la disonestà; e lo ha la infingardaggine nel peregrinare per lo mondo cercando le occasioni che ci possono far essere non solo veri cristiani, ma anche celebri cavalieri. Questi, o Sancio, sono i mezzi pei quali si giunge all’apice della gloria che seco si trae la buona fama.
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Il Don Chisciotte, da cui è tratto il brano precedente, è forse il romanzo di formazione più importante del mondo moderno e una guida essenziale per qualsiasi cristiano che si voglia impegnare nel mondo. Il crinale tra sguardo profetico (che agli occhi del mondo appare spesso indice di follia) e adesione totale e senza sconti alle realtà più corporali (che agli occhi del mondo sembra ossessione maniacale) è l’unico che permetta una reale efficacia d’azione. Numerosi santi, teologi e filosofi hanno declinato in varie forme questa necessaria compenetrazione tra contemplazione ed azione, tra vita spirituale e adesione alle realtà corporali, ma nessuno (almeno a mia conoscenza) ne ha fatto un riassunto sintetico e soprattutto di immediata applicazione come Cervantes in questo breve e succoso discorso che rivolge al suo scudiero e amico fedele Sancio Pancia. Credo che la riproposizione di questo brano insieme ad un suo (inadeguato) commento da parte mia, possa aiutare i lettori di BeneComune a trovare una strada efficace (ognuno secondo le sue preferenze e condizioni di vita e di lavoro) per mettere a frutto il suo impegno nel mondo.
Per prima cosa notiamo che il consiglio è indirizzato a ‘cristiani, cattolici ed erranti cavalieri’. Cervantes, come spesso accade ai grandi artisti è completamente immerso nel suo tempo tanto da esserne nei secoli a venire la testimonianza più vivida, e insieme padrone di uno sguardo chiaro sui secoli a venire.

La Spagna tra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo ci può apparire (e probabilmente così appariva ai contemporanei di Cervantes) come una terra completamente cristianizzata, aliena da qualsiasi deriva secolare, in realtà le cose stavano in maniera completamente diversa e Cervantes (così come un altro grande spagnolo della stessa epoca, dalla storia personale incredibilmente simile a quella di don Chisciotte, S.Ignazio di Loyola) lo capisce perfettamente. La società cattolica del Medioevo con i suoi ordini, la sua separazione di poteri tra Impero e Papato, la sostanziale unità d’Europa è un ricordo del passato; le classi mercantili hanno ormai ribaltato la misura di tutte le cose da un cosmo ordinato da Dio a una società modellata sul successo personale dell’uomo acquisito attraverso le sue abilità mondane; la nascita del colonialismo e degli stati nazionali ha di fatto distrutto il vecchio mondo e don Chisciotte che si riferisce costantemente al codice della vecchia cavalleria è né più né meno che un pazzo e un isolato proprio perché vive fuori dal suo tempo. Il processo che porterà da una secolarizzazione appannaggio solo delle classi elevate al suo diffondersi come pensiero unico è iniziato e niente potrà fermarlo se non … se non appunto un ‘errante cavaliere’ che, con il suo spostarsi in continuo cammino per le strade del mondo (errante appunto) sfugge alla categorizzazione e quindi al congelamento in un ruolo e una parte definita nel teatro del mondo. Da questo punto di vista tutti noi ‘cristiani e cattolici’ siamo da sempre degli ‘erranti cavalieri’ e ancor di più questa situazione è risultata evidente nell’era moderna, anche se abitiamo sempre nella stessa casa e svolgiamo lo stesso lavoro da decenni. La condizione di cavaliere errante, dipende, come ben chiarisce Cervantes, dall’ ‘anelare più alla gloria delle vegnenti età (che eterna vive nell’eteree celesti regioni) che alla vanità della rinomanza che acquistasi nel presente transitorio mondo’ dall’attingere cioè (soprattutto attraverso la preghiera) a una dimensione trascendente e sostanzialmente atemporale. Questa dimensione consente a don Chisciotte di essere ‘comunque vincente’ anche quando le sue imprese sembrano nell’immediato un fallimento totale. Questo è chiarito molto bene alla fine del romanzo quando don Chisciotte, ormai ‘rinsavito’, sul letto di morte chiede perdono agli amici per averli trascinati nella sua follia, ottenendo come risposta la preghiera di riportarli di nuovo a perseguire progetti visionari, gli unici che permettevano loro di vivere una vita autentica. Il paradosso cristiano è quindi quello di riuscire a raggiungere la massima ‘efficacia reale’ e quindi di ‘incidere nella storia’ proprio quando più si distacca dal fluire del tempo e si mette su ‘un altro binario’ rispetto al mondo. Non è quindi un problema la cosiddetta ‘irrilevanza’ dei cattolici nella politica anzi, è proprio questa irrilevanza che ne massimizza l’efficacia se essa è vissuta DAL SINGOLO CRISTIANO non come fuga dal mondo rifugiandosi nel suo piccolo microcosmo ma come segno di una speranza più alta, di uno sguardo più lungo che relativizza e mette nella giusta prospettiva il mondo.
In questo modo il cristiano può veramente diventare il sale del mondo e Cervantes ci fornisce un rapido ma esauriente elenco delle procedura operative per ottenere questo scopo: Nella morte dei giganti punire intendiamo la superbia; nella generosità e cuor forte ha il suo castigo l’invidia; nella compostezza e tranquillità dell’animo l’ira; nella parsimonia dei cibi e nella veglia la gola e il sonno; nella lealtà che serbiamo a quelle da noi costituite arbitre dei nostri pensieri, trovano punizione la ingiuria e la disonestà. Che, tradotto, diventa un impegno a smascherare la presunta supremazia sulla base di cultura e posizione sociale (la morte dei giganti campo specifico di lotta di chi si dedica alla cosiddetta missione culturale), a promuovere i rapporti basati sul dono (generosità e cuor forte, campo preferito da chi fa volontariato) e sul dialogo (compostezza e tranquillità dell’animo, questa è la lotta di chi ha passione per l’impegno più immediatamente politico), a perseguire uno stile di vita frugale (parsimonia dei cibi, che diventa anche pensiero ecologico e modello di azione economica) e sulla stabilità dei rapporti matrimoniali (lealtà che serbiamo a quelle da noi costituite arbitre dei nostri pensieri, aldilà del piano personale qui si apre l’enorme campo della bioetica e dell’educazione).
Tutti questi comportamenti, che sono di per sé testimonianza, non hanno però come motivazione principale uno scopo altro rispetto a chi lo mette in opera, i comportamenti virtuosi sono perseguiti in quanto antidoti ad altrettanti vizi e forze disgregatrici della società (superbia, invidia, ira..).
Un discorso a parte merita l’ultimo ammonimento del gentiluomo della Mancha al suo fedele scudiero e cioè quello di ‘peregrinare per lo mondo cercando le occasioni che ci possono far essere non solo veri cristiani, ma anche celebri cavalieri‘; è l’aspetto di impegno personale che mette a frutto una passione umanissima che noi siamo abituati a vedere come vizio ma che, se ben usata, può rivelarsi un’arma potente, il desiderio di diventare ‘celebri cavalieri’. Pascal ha scritto cose meravigliose sul nostro desiderio di essere stimati e ammirati dal prossimo e lo identifica come una caratteristica eminentemente umana e, in fin dei conti, dettata dalla stima per le altre anime da cui nasce il bisogno di essere approvati dal prossimo ‘Meglio la vanità che l’orgoglio, meglio desiderare l’approvazione del prossimo che essere soddisfatti dall’approvazione dell’unica persona che in fondo conta per l’orgoglioso: sé stesso’.
Per ottenere questo scopo (che come abbiamo visto può essere nobilissimo se messo nella prospettiva cristiana identificata dalle frasi precedenti del discorso di don Chisciotte) è buona norma ‘peregrinare per lo mondo cercando le occasioni’ . Questo significa niente di più e niente di meno che è meglio non rimanere legati troppo stabilmente ad alcuna espressione mondana (partito, associazione sindacale, modello culturale o filosofico) che sia di impaccio al peregrinare ma, esaurito ciò che la realtà mondana in questione può offrire in termini di occasioni (e questo prima o poi accadrà per la naturale finitezza delle realtà temporali), passare ad altro prima che la realtà mondana da noi usata come sorgente di occasioni diventi un impaccio. Questo è accaduto in tempi recentissimi, ad esempio con l’esaurimento del ‘campo delle occasioni’ offerto da varie posizioni filosofiche e ideologiche del mondo moderno (si pensi ad esempio a quanto ci appaiono superate e spesso controproducenti alcune forme di impegno politico e sociale che avevano affascinato i cristiani negli anni sessanta e settanta). Questo errore a mio avviso non dovrebbe ripetersi, pena l’esaurimento della dimensione atemporale (e quindi profetica e preveggente) dell’impegno dei cattolici nel mondo. Per evitarlo non esistono ricette magiche se non forse proprio il considerarsi sempre un po’ ‘altrove’ come il cavaliere della Mancha che, arrivando in un luogo, diventa immediatamente catalizzatore di un’umanità nuova e piena (i pastori iniziano a narrare storie meravigliose, povere prostitute si sentono delle vere principesse..) ma, presto o tardi, riparte.

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