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I ribaltoni di questi ultimi tempi sui mercati finanziari confermano un assunto fondamentale. I mercati finanziari sono altalene che creano lunghe oscillazioni attorno ai valori fondamentali in una direzione o in un’altra. Molte ricerche hanno sottolineato come i valori dello spread fossero enormemente gonfiati rispetto al fondamentale proprio da questo fenomeno oscillatorio. Arrivati ad un estremo dell’oscillazione però la legge di gravità (ovvero l’attrazione del valore fondamentale) crea le premesse per una profonda oscillazione nella direzione opposta.

I fattori reali ovviamente contano e l’abile strategia di Monti e Draghi è riuscita nel doppio obiettivo di convincere la Merkel ad approvare il fondo salva stati e a minacciare un intervento massiccio e decisivo della BCE contro la speculazione che si fosse accanita a proseguire l’oscillazione verso l’alto con l’obiettivo di far saltare l’euro. A questo punto gli speculatori hanno probabilmente calcolato che, date queste circostanze, sarebbe stato più conveniente assecondare la direzione della BCE e guadagnare nella direzione opposta (ovvero sulla discesa dello spread).
Sperando che tutto questo proceda la palla passa adesso all’economia reale. Inutile dire infatti che le oscillazioni della finanza, per i motivi spiegati sopra, vanno ben al di là di quelle dell’economia reale dove, in questi giorni in cui lo spread è sceso di 100 punti, non è successo proprio niente che giustificasse tale discesa (anzi le previsioni per quest’anno e per il prossimo si sono fatte più fosche). Il problema da questo lato è come far ripartire il paese con una domanda interna tramortita da una delle più forti contrazioni di tenore di vita dal dopoguerra ad oggi servita ad accumulare quell’avanzo primario che ha fatto guadagnare al paese una rinnovata reputazione internazionale.
Sono ben note le direzioni in cui sarebbe necessario andare per rilanciare l’economia del paese. Dall’agenda digitale (banda larga, digitalizzazione dei rapporti tra cittadini e PA), all’aumento dell’efficienza della burocrazia e della giustizia civile, alla lotta a corruzione ed evasione fiscale, allo sblocco dei pagamenti della Pubblica Amministrazione verso i suoi fornitori. Sullo sfondo il miraggio di due interventi “keynesiani” che sarebbero manna dal cielo: la riduzione delle aliquote IRPEF per i ceti medio-basi e del cuneo fiscale per ridurre il costo del lavoro per le imprese. E’ evidente che quasi tutte queste iniziative (alcune più di altre) richiedono risorse finanziarie ma se dovremo rispettare il fiscal compact, ovvero la riduzione di un ventesimo del debito publico che eccede il 60 percento del PIL, avremo nei prossimi anni le mani legate dal punto di vista dei saldi di bilancio pubblico.
Sullo sfondo il dramma di alcune grandi aziende che faticano a competere producendo nel nostro paese (Alcoa e Fiat su tutte) mettendo al rischio anche tutto il loro indotto. Colpa del gap di costo del lavoro rispetto ai paesi emergenti, della mancanza di investimenti in innovazione che avrebbero potuto aumentare la produttività del lavoro e del “sistema paese” che impone costi aggiuntivi (energia, giustizia, burocrazia) che non aiutano. Da notare che il costo del lavoro più elevato (fino a 200 volte superiore nel settore manifatturiero rispetto al coto del lavoro nel settore informale in Cina e India) non è di per sé una condanna perché i lavoratori tedeschi guadagnano in media più dei nostri. Segno del fatto che se si agisce con forza sugli altri due fattori (innovazione e sistema paese) è possibile mantenere salari elevati in corrispondenza di alta produttività.
Un’importante direzione d’intervento suggerisce di puntare sempre di più su fattori competitivi non delocalizzabili, turismo, cultura, arte, territorio diventano in questo contesto fondamentali, paradossalmente proprio nell’era della globalizzazione che alcuni dicevano avrebbe reso irrilevante lo spazio. Siamo sicuri, per fare un esempio, che il futuro della Sardegna sia quello di grandi impianti per la produzione di alluminio e non una combinazioni di nuovi settori (tra cui agriturismo, prodotti DOC-DOP, innovazione nel settore vinicolo e filiera del turismo) ? Il turismo è uno dei settori più importanti perché fa proprio leva su una risorsa non delocalizzabile, la bellezza del nostro territorio e il valore unico ed inestimabile del nostro patrimonio artistico. Ed è un esempio di come esistano settori dove l’economia può continuare a tirare anche quando le cose nel nostro paese vanno male se il resto del mondo cresce. Non c’è neanche bisogno di fare lo sforzo di accedere ai mercati esteri perché in questo caso è l’aumento di domanda mondiale che si riversa sul nostro territorio (compensando come è accaduto quest’anno il calo di domanda turistica interna). Dobbiamo essere sempre più bravi a cogliere queste nuove sfide. Le traiettorie di sviluppo nell’economia globale si evolvono sempre più verticosamente ponendo una sfida decisiva anche alle nostre concezioni di stato sociale e tutela del lavoro. Se quasi il 40 percento degli aumenti di produttività avviene per trasferimento del lavoro da un impresa ad un’altra dobbiamo seriamente interrogarci se l’approccio della difesa del posto del lavoro invece che del lavoratore (e della sua mobilità e capacità di riconversione in nuovi settori) sia quello giusto. Passare da un modello all’altro non è così semplice perché richiede riforme profonde delle istituzioni, degli ammortizzatori e una crescita significativa del capitale umano dei lavoratori attraverso meccanismi di formazione permanente. E’ questa una delle sfide che abbiamo davanti

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