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È necessario accorciare al minimo la discussione sulle cause e i meccanismi della crisi (ormai analizzata in tutti i suoi aspetti) per concentrarsi sulle sue soluzioni. Quattro sono le cose principali da fare, alcune di breve altre di più ampio respiro. Di due, la riforma delle regole della finanza e la lotta contro la trappola del declino del nostro paese attraverso la riduzione dei 50 spread che la nostra economia reale ha rispetto al modello tedesco (istruzione, corruzione, digital divide, qualità della PA,ecc.) si è già detto diffusamente in passato. Ci concentriamo pertanto su due soli punti.

Primo, il problema primario che è all’origine di tutto (anche della crisi finanziaria) è la drammaticità dei divari di salario e di tenore di vita tra aree ricche e aree povere del mondo. Il salario orario lordo manifatturiero in Italia è 30 volte più alto di quello in India e Cina e 8 volte più alto di quello in Bulgaria. Finchè lavoratori e popolazioni di questi paesi resteranno molto più poveri di noi saranno una formidabile minaccia al nostro benessere. Di lì nascono infatti delocalizzazione, crisi di produzione nei paesi ricchi e tentativo della finanza di coprire il buco tra consumi che devono aumentare e tenore di vita del ceto medio che si riduce.
È pertanto assolutamente necessario mettere in moto meccanismi che producano una convergenza verso l’alto (e non verso il basso !) di salari e tenore di vita.
I meccanismi automatici non bastano perché la convergenza tra paesi ricchi e paesi poveri è molto lenta e accade solo in media mentre all’interno dei paesi le diseguaglianze aumentano. Istruzione, formazione permanente e accesso alla rete sono decisive ma sono necessarie anche azioni di aiuto da parte dei cittadini e delle istituzioni. Il voto col portafoglio dei cittadini che premiano quelle aziende che sono all’avanguardia nel creare valore economico in modo socialmente e ambientalmente sostenibile è fondamentale. Sempre più illuminata appare da questo punto di vista l’intuizione dei pionieri del commercio equosolidale con la loro risposta che, rigettando la tentazione di una chiusura protezionista, ha invece deciso di stringere legami di solidarietà premiando i produttori di quei paesi che più rapidamente si impegnano a mettere in atto il processo di convergenza, rispettando lavoro ed ambiente. Fondamentale anche il ruolo d’incentivo delle istituzioni locali che possono premiare fiscalmente (come già hanno iniziato a fare) le filiere con maggiore valore sociale ed ambientale sollecitate in questo oggi dalla stessa Commissione Europea che ha lanciato la Social Business Initiative e, con la revisione della procedura de minimis, sta aumentando le possibilità di intervento. Il mercato siamo noi quando scegliamo beni e servizi e dunque dobbiamo e possiamo fare di più per accelerare processi di convergenza, oggi molto lenti, che disinneschino il problema primario dei divari di salario e di reddito.
Secondo, il problema del nostro paese resta il macigno del debito pubblico che ci costringe ogni anno ad una spesa di quasi 90 miliardi di euro di interessi. La strada più promettente per intervenire è quella di un nuovo patto fiscale con gli italiani che renda concreto il motto “pagare meno pagare tutti”. La Banca d’Italia stima che l’evasione nel nostro paese arrivi circa a 250 miliardi. Se ciò fosse vero l’azzeramento dell’evasione in 8 anni eliminerebbe il debito. Azzerare l’evasione senza vessare nello stesso tempo gli italiani oppressi da un peso fiscale eccessivo è possibile. Bisogna vincolare i proventi della lotta all’evasione alla riduzione delle tasse varando due provvedimenti che metterebbero quasi fuori gioco il contante dando scacco matto all’evasione stessa. La soglia oltre la quale l’uso del contante è proibito deve scendere a 100 euro e l’IVA deve essere gradualmente sostituita da una tassa sui prelievi al bancomat. In questo modo evadere il fisco diventerebbe veramente molto difficile. Non si tratta dell’ennesima vessazione perché le somme recuperate, automaticamente destinate alla riduzione del peso fiscale complessivo, consentirebbero di ridurre la tassazione complessiva tra il 30 e il 50 percento. In alternativa si potrebbero dividere i proventi tra i due obiettivi della riduzione del debito e della pressione fiscale anche se va ricordato che la seconda strada dovrebbe ridare vita alla domanda interna facendo ripartire la crescita e rendendo dunque meno grave il problema del debito. Il patto fiscale avrebbe il pregio di ristabilire al contempo criteri di equità tra quelli (cittadini e imprese) che oggi pagano e quelli che non pagano le tasse. Da notare che il governo dei tecnici ha in parte mosso in tale direzione ma sinora troppo timidamente. La decisione iniziale di ridurre la soglia del contante a 50 euro è stata poi sconfessata e la soglia è stata alzata a 1000 euro. Il patto fiscale che proponiamo e che le forze politiche potrebbero sottoscrivere prima delle elezioni avrebbe anche il vantaggio di superare la tradizionale dicotomia tra rigore “necessario” che non paga politicamente (e che quindi solo governi tecnici possono mettere in atto) e demagogia dei governi politici che per conquistare il consenso degli elettori accumulano debito.

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