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“Quando un forestiero dimorerà presso di voi nel vostro paese, non gli farete torto. Il forestiero dimorante fra di voi lo tratterete come colui che è nato fra di voi; tu l’amerai come te stesso perché anche voi siete stati forestieri nel paese d’Egitto. Io sono il Signore, vostro Dio” (Levitico 19,33-34)

Contro questa lotta impari di qualcuno per fare in modo che lo straniero non stia fra noi, riprendo questa citazione da Bauman: «Nel 1994, un manifesto attaccato sui muri di Berlino sbeffeggiava la fedeltà a schemi che non erano più in grado di rispecchiare le realtà del mondo: “Il tuo Cristo è un ebreo. La tua macchina è giapponese. La tua pizza è italiana. La tua democrazia greca. Il tuo caffè brasiliano. La tua vacanza turca. I tuoi numeri arabi. Il tuo alfabeto latino. Solo il tuo vicino è uno straniero”» (Intervista sull’identità, Laterza, Roma-Bari 2003, p. 29). Mi sembra particolarmente adatta per sottolineare che siamo tutti un po’ meticci e che quindi alzare muri contro gli “stranieri” è solo questione di arbitrio e di imposizione, pertanto di tipo “fascista”.

Lo straniero è sempre stato uno che fa paura, perché è diverso da me. E’ la diversità che fa paura e non tanto l’essere straniero. Lo “scemo” del villaggio fa paura; la persona che non si omologa al pensiero comune o dominante, ma usa il suo senso critico per leggere la realtà, fa paura; chi canta fuori dal coro fa paura. Oggi si vuole far credere che lo straniero ci sta invadendo, ma è così fin dai tempi antichi.

Per esempio nella Bibbia, ci sono leggi che regolamentano la convivenza dello straniero residente nel senso di trattarlo come gli abitanti del paese: «Quando un forestiero dimorerà presso di voi nel vostro paese, non gli farete torto. Il forestiero dimorante fra di voi lo tratterete come colui che è nato fra di voi; tu l’amerai come te stesso perché anche voi siete stati forestieri nel paese d’Egitto. Io sono il Signore, vostro Dio» (Levitico 19,33-34), passo che viene poco dopo quest’altro versetto, molto più famoso: «Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Io sono il Signore» (Levitico 19,18).

Le assonanze sono evidenti e non è necessario nemmeno spiegarle per comprenderle, basta leggere con attenzione.

Il Levitico non si limita a un appello all’amore, ma continua a elaborare strategie per coinvolgere gli stranieri residenti nella vita del popolo ebraico: «Ci sarà per voi una sola legge per il forestiero e per il cittadino del paese; poiché io sono il Signore vostro Dio» (24,22). Una sola legge per il residente e lo straniero, quale modernità pensata e vissuta più di 2000 anni fa. E lo ius soli, che oggi sembra improponibile perché politicamente perdente, non sarebbe lo stesso una battaglia di civile da continuare a portare avanti? Seguire il Vangelo (e Papa Francesco) è più o meno importante che seguire i sondaggi? Già Pietro lo diceva ai capi religiosi del suo tempo: «Se sia giusto dinanzi a Dio obbedire a voi invece che a Dio, giudicatelo voi» (Atti 4,19).

All’epoca però erano ancora più avanti: «Se il tuo fratello che è presso di te cade in miseria ed è privo di mezzi, aiutalo, come un forestiero e inquilino, perché possa vivere presso di te» (Levitico 25,35). Il forestiero diventa metro di giudizio delle azioni verso il proprio fratello che cade in disgrazia. Non solo il forestiero è incluso nella convivenza civile, ma come si tratta il forestiero è esemplare di come trattare il fratello: è un’inversione notevole dei criteri di giudizio delle proprie azioni.

In fondo noi siamo stranieri anche con chi ci sta più vicino: il marito, la moglie, i fratelli e le sorelle, per non parlare dei figli con i quali i salti generazionali sono repentini e molto veloci. Per esempio, ci sono genitori che hanno visto cadere le torri gemelle di New York e che hanno figli per i quali questo evento, che segna ancora oggi molto dell’immaginario collettivo nel mondo, è un fatto storico del passato più o meno remoto.

Ma andando ancora più avanti nella riflessione: noi siamo stranieri a noi stessi. A volte ci sorprendiamo per quello che facciamo e/o pensiamo, di fronte a qualcosa che ci accade inaspettatamente, sia nel bene che nel male. Siamo un mistero a noi stessi, nel senso che non tutto è dato e che il futuro di ciascuno di noi è ancora tutto da scrivere. Basta veramente poco per cambiare le prospettive delle nostre vite, il nostro modo di pensare e di agire.

L’ignoto, lo straniero fa paura perché è fonte di sorpresa, sia nel bene che nel male, ma sapere di questa paura può aiutarci ad affrontarla a piccoli passi, aiutandoci vicendevolmente ad entrare in relazione e in dialogo con lui, per stemperare quella paura di fondo che ci portiamo dietro fin da bambini di fronte alla novità della vita che avanza e degli orizzonti che si allargano man mano che cresciamo.

Un’ultima riflessione: concentrare la propria azione politica sulla questione degli immigrati denota anche una debolezza, perché nasconde cosa si vuole fare rispetto ad altri capitoli che incidono ben di più sulla vita delle persone: la sanità, la scuola, la corruzione, solo per fare alcuni esempi.

Sono più preoccupato dei silenzi che degli strilli. Poco della nostra vita dipende dalla questione degli immigrati, ma molto più delle questioni della vita quotidiana. Chi può e vuole riequilibrare l’agenda politica per riportarla su questioni veramente significative? Perché avere paura di contrastare un atteggiamento di tipo “fascista”, molto simile al bullo di scuola, ragazzino insicuro che usa la violenza per dare un senso, che non trova, alle trasformazioni adolescenziali?

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