La delicatezza di un concetto quale istruzione risiede nel suo nucleo essenziale che si concentra sulla relazione: tra allievo e maestro, tra compagni di classe, tra corpo docente e dirigenza scolastica, tra scuola e famiglia. L’istruzione pubblica può essere considerata un bene comune perché intreccia e compone risposte ai bisogni delle persone e della società. Ma l’istruzione pubblica è anche un processo

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La delicatezza di un concetto chiave quale istruzione risiede nel suo nucleo essenziale che si concentra sulla relazione: tra allievo e maestro, tra compagni di classe, tra corpo docente e dirigenza scolastica, tra scuola e famiglia. Dentro queste, e molte altre, relazioni scorre il processo di educazione e formazione dei cittadini che è l’obiettivo primario di una pubblica istruzione.

L’istruzione pubblica può essere considerata un bene comune, spiega l’economista Lorenzo Caselli, perché intreccia e compone risposte ai bisogni delle singole persone con quelli dell’intera società: per questo «l’educazione ha bisogno di un respiro ampio, di un comune sentire, di uno sguardo attento sia ai mutamenti in atto sia ai bisogni vecchi e nuovi di tutta la società civile» (Caselli, 2009)

L’istruzione pubblica è dunque un processo: per questo essa è meglio compresa se osservata lungo la sua evoluzione storica, nel nostro caso quella italiana. A partire dal XIX secolo ci sono tre attenzioni lungo le quali si afferma l’idea di istruzione pubblica nel nostro Paese: la trasmissione di saperi e abilità per garantire uno sviluppo sociale al Paese; il sostegno ai processi di legittimazione di un certo sistema politico; la promozione di opportunità per i cittadini.

Mentre le prime due attenzioni sono immediatamente presenti e visibili all’interno del processo di consolidamento dell’idea di istruzione pubblica, la terza si afferma in modo ancor più graduale (anche se oggi diventa la più feconda), perché calibra il sistema su una personalizzazione dei bisogni, che altrimenti tende a rimanere troppo generale. Dentro una traiettoria storica Il rapporto tra le altre due attenzioni è indirettamente proporzionale (Corbi e Sarracino, 2003): la “funzione” legittimante prevale nelle democrazie deboli o negli Stati autoritari, mentre la funzione legata alla trasmissione di saperi e abilità è adottata in società con democrazie avanzate. Già in passato alcuni studiosi hanno dimostrato come negli Stati totalitari novecenteschi (sia comunisti sovietici che nazifascisti) l’istruzione pubblica sia normalmente utilizzata per controllare le masse, manipolare le coscienze, per stimolare una partecipazione (Mannheim, 1968).

Le principali tappe del percorso italiano
L’Italia rispetto agli altri maggiori paesi europei ha iniziato il suo percorso scolastico in ritardo, a causa di due remore delle classi dirigenti: da una parte appariva loro inutile l’istruzione per le classi popolari e dall’altra parte si temeva che la diffusione della cultura provocasse disordini sociali. Secondo alcune ricerche, al momento dell’Unità d’Italia il livello di analfabetismo ruotava tra il 75% e l’80%: solo l’Impero Russo raggiungeva un livello simile.

Nel 1859 il Regno sabaudo approva la Legge Casati, che sarà poi adottata in tutto il Regno di Italia unificato. Essa articola il sistema su tre livelli: un’istruzione elementare gratuita e obbligatoria per i primi due anni, affidata ai Comuni; un’istruzione secondaria e una superiore. Il sistema è centralizzato e burocratico, i maestri sono poco preparati (Corbi e Sarracino, 2003 e Vertecchi, 2001). Importanti si dimostrano i risultati delle inchieste espressamente previste dalla legge: le relazioni degli ispettori scolastici portano alla luce il disagio delle popolazioni del Sud, il disinteresse dei Comuni ad applicare la legge sull’istruzione, l’ignoranza delle classi docenti e la loro sudditanza verso i notabili locali, la povertà delle strutture, dei sussidi e dei metodi di insegnamento.

Nel 1877 un nuovo intervento legislativo, è promulgata la Legge Coppino con il governo della Sinistra storica. La legge, che mantiene l’impianto di base precedente, ha il merito di aumentare la spesa pubblica per la scuola e di innalzare l’obbligo scolastico fino ai 9 anni: l’educazione scolastica viene sostenuta per regolare l’ordine sociale attraverso la trasmissione di comportamenti adeguati e per formare cittadini “utili” alla società. Ma fino agli inizi del Novecento il livello di analfabetismo rimane alto, perché non c’è una distribuzione delle scuole su tutto il territorio nazionale e in un’Italia prevalentemente agricola si preferisce mandare subito i bambini a lavorare nei campi.

Il 1923 è l’anno della Riforma Gentile: la scuola diventa uno degli assi portanti della politica sociale fascista. Si punta sull’educazione come rispetto della legge, dell’ordine e della disciplina. Viene esteso l’obbligo scolastico fino a 14 anni; si riarticola il sistema formativo: scuola materna, che prepara all’istruzione elementare, scuola elementare, scuola media (composta da ginnasio, per proseguire gli studi, o scuola complementare, per avviare al lavoro) e scuola superiore; infine l’università. Con questa articolazione si accentua la forbice classista: da una parte i licei (in particolare il classico) dall’altra parte gli istituti professionalizzanti, che preparano ai diversi mestieri; “in mezzo” si dà spazio all’Istituto magistrale, che ha lo scopo di preparare i maestri. Nelle scuole, per mantenere il controllo sui contenuti trasmessi e i pensieri diffusi, nascono i Consigli scolastici e i Consigli di disciplina. Nel 1929 i Patti Lateranensi gettano le basi per il rapporto tra Chiesa cattolica e scuola, attraverso il quale passano molte questioni educative, tra cui l’insegnamento della religione cattolica.

Finita la seconda guerra mondiale i primi governi democristiani seguono la tesi della funzione sussidiaria dello Stato, secondo la quale la scuola pubblica interviene quando le iniziative della famiglia e del privato non sono sufficienti. Contemporaneamente si struttura un apparato reticolare esteso su tutto il territorio nazionale, coordinato dal ministero della Pubblica istruzione. Con la conferma costituzionale dei Patti Lateranensi si rinnova il rapporto collaborativo con la Chiesa. Inizia un serio controllo sull’obbligo scolastico, almeno per le elementari, e le percentuali di analfabetismo diminuiscono in modo incisivo.

Negli anni Sessanta si istituisce la scuola media unica (1962) e si introducono quattro criteri per caratterizzare la pubblica istruzione italiana: unitarietà della formazione come garanzia dell’uguaglianza tra i cittadini; continuità del percorso scolastico tra i diversi gradi della scuola dell’obbligo; possibilità di adattare i programmi ministeriali ai contesti socio-ambientali; completamento delle strutture scolastiche statali su tutto il territorio nazionale.

Durante gli anni Settanta si allargano i confini dell’istruzione pubblica: si inizia a parlare di educazione permanente e si ipotizza il superamento di una scolarizzazione circoscritta all’età evolutiva. Le azioni riformatrici sono ispirate all’utopia della società educante, fondata sui seguenti parametri: la ricerca di un progetto integrato e unitario per considerare il soggetto nel suo territorio e nei suoi ambienti di vita; la ricerca di un coinvolgimento dei diversi soggetti educativi che entrano in contatto con gli studenti; l’analisi del contesto e dell’esigenza dei cittadini per la formulazione di ogni progetto educativo; l’identificazione dell’istruzione come diventa motore di mobilità sociale e luogo di promozione dei diritti di uguaglianza.

Una nuova stagione di riforme si apre negli anni 2000. In appena 12 anni seguono tre riforme: Berlinguer, Moratti, Gelmini. La prima agisce sull’autonomia scolastica e sull’architettura e la gestione del sistema della pubblica istruzione, si promuove la dimensione sussidiaria e quindi il riconoscimento del ruolo pubblico delle scuole private; la seconda agisce sul servizio ai cittadini e porta alla riforma del ciclo di base dell’istruzione, al monte ore annuale e all’inglese obbligatorio; la terza è stata soprattutto una riduzione dell’investimento statale sulla scuola e un ritorno all’accentramento dei programmi di insegnamento (Giuseppe Bonelli, 2014).

Ora (2014) si avvia una quarta riforma, denominata “La buona scuola”, che pone attenzione in particolare sugli insegnanti, con l’ambizione di offrire un’organica proposta professionale di carriera per chi è già inserito nell’organico e una stabilizzazione per chi non lo è. Nella riforma si sottolineano discipline (arte, musica, informatica ed economia) per valorizzare alcune peculiarità italiane e si tende a migliorare il rapporto tra scuola e lavoro ricercando la realizzazione di un sistema duale italiano che offra esperienze in realtà lavorative dentro i percorsi curriculari.

Oggi per istruzione pubblica intendiamo dunque un sistema di scuole paritarie o statali che si propone di educare e formare i cittadini; emerge come espressione del welfare per garantire a ogni persona l’ingresso nel mercato del lavoro, la capacità di comprendere il suo tempo e vivere nella sua comunità locale o globale, urbana o rurale. L’istruzione è infatti inserita tra i diritti costituzionali: occorre garantire una scuola aperta a tutti; rendere accessibili i livelli più alti di istruzione ai meritevoli e capaci (art. 34); assicurare la libertà di insegnamento e rendere possibile un sistema misto con l’esistenza di scuole statali, private (art. 33). Ormai appare condiviso che la mancanza di istruzione sia una delle cause di esclusione ed emarginazione, oltre che di uno svantaggio personale per la possibilità di vita (Nussbaum 2012; Wolf e De Shalit 2007).

I limiti dell’istruzione pubblica italiana
Il sistema dell’istruzione pubblica presenta alcuni limiti strutturali da affrontare:
Basso livello di istruzione: i dati Ocse mostrano che il livello generale dell’istruzione è inferiore a quello degli altri Paesi. Nell’ultimo rapporto Education at a Glance: Ocse indicators, sebbene si verifichi un miglioramento nella qualità dell’istruzione di base (leggere e far di conto), rimane di circa del 25% la percentuale di studenti che si colloca nella fascia inferiore, nella rilevazione del 2003 la quota era al 32%. Tra il 2000 e il 2012 la percentuale dei 25-34enni senza diploma di scuola superiore diminuisce dal 41% al 28%; e la percentuale di laureati passa dall’11% al 22%. Peccato che nel primo caso la media Ocse sia del 17,4% e nel secondo caso circa il 39%.
Fallimento formativo: Marco Rossi Doria (2014) spiega che ci troviamo davanti a due grandi questioni che incidono sull’efficacia dell’istruzione: da una parte c’è l’insuccesso scolastico, che riguarda soprattutto gli studenti che non terminano un ciclo di studi iniziato, ma anche quelli che chiudono il loro percorso formativo con risultati scarsi, perché raggiungere livelli scarsi nelle competenze di base è fattore predittivo per un fallimento scolastico successivo: negli ultimi 15 anni il 31,9% dei giovani non ha terminato la scuola secondaria superiore. Dall’altra parte, sempre secondo Rossi Doria, l’alto livello di abbandono del 17,6% nel 2012 è determinato dalla mancanza di un orientamento efficace per gli studenti, isolati nelle scelte, e dalla scarsa attenzione ai singoli, attribuibile a metodi di insegnamento poco imperniati su modalità laboratoriali e partecipative.
Le carenze strutturali: spiega l’ultimo rapporto di CittadinanzAttiva sulla sicurezza scolastica che 4 scuole su 10 hanno una manutenzione carente, oltre il 70% presenta lesioni strutturali, in 1 caso su 3 gli interventi non vengono effettuati. Oltre a rendere sicuri gli edifici e le strutture scolastiche. Le carenze impediscono la creazione di ambienti accoglienti e coerenti con una prospettiva educativa che sia più coinvolgente e meno frontale, più capace di utilizzare le innovazioni digitali.
La difficoltà del “doppio canale”: al termine della scuola secondaria inferiore (le medie) il sistema educativo si divide in due canali, che non hanno ancora pari dignità: da una parte la scuola superiore che porta a diplomi e licei (la cultura della mente) ha una sua ossatura, mentre rimane poco valorizzato il canale della formazione professionale (la cultura applicata). I tentativi di proporre un sistema unitario (soprattutto con la Riforma Moratti) non hanno avuto successo. Molto importante a questo proposito sarebbe la valorizzazione dei soggetti presenti su territorio: imprese, soggetti della società civile, enti comunali che dovrebbero favorire un sistema capace di promuovere occupazione locale.

Alcune proposte di intervento
Per avviarsi verso una soluzione positiva da una parte occorre scardinare un approccio burocratico e dall’altra una tendenza utilitaristica ed economicistica, come sottolinea Fiorella Farinelli. C’è inoltre bisogno di una riforma “del curriculo scolastico e del suo modo di concepirsi in relazione all’apprendimento”, come sostiene Lucio Guasti. C’è l’esigenza di un approccio sistemico all’istruzione pubblica in Italia; ci si potrebbe intervenire attraverso interventi mirati attraverso quattro temi cruciali, come scrivono Bassanini e Campione in Istruzione bene comune (2011). Le riportiamo di seguito:
1) Governance: il sistema scolastico dovrebbe essere dotato di una governance efficace sul territorio, che però è strettamente connessa alla definizione dei Livelli essenziali delle prestazioni. Essi dovrebbero riguardare: «gli spazi (dimensione, organizzazione, sicurezza, laboratori…) l’accoglienza e l’inserimento (diritto allo studio, trasporti..), la trasparenza (documentazione), l’insegnamento apprendimento (aule, curriculo obbligatorio e complementare…) e infine i supporti (biblioteche, multimedialità)» (Bassanini, Campione, 2011).
2) La questione giovanile: le nuove generazioni sono il soggetto principale della pubblica istruzione è necessario rispondere a esigenze inevase: «scuola formazione professionale e lavoro è necessario che collaborino, nei diversi territori, nella forma più stretta e cooperativa possibile, con l’obiettivo di rispondere alla domanda culturale, sociale e lavorativa» (Bassanini, Campione, 2011).
3) La didattica: da una parte emerge la necessita di attrezzare ogni studente all’uso delle tecnologie informatiche come «strumento critico di crescita e di arricchimento, … riducendo il rischio di restarne prigionieri»… dall’altra parte serve la proposta di un nuovo ambiente di apprendimento come «luogo di lavoro: bottega dove il maestro mette ognuno dei suoi allievi nelle condizioni di imparare a costruire il proprio capolavoro, lo fa in modo differenziato dall’uno all’altro … e lo fa guidandoli ad una abitudine alla cooperazione» (Bassanini, Campione, 2011).
4) Le risorse: la crisi del sistema dell’istruzione è anche legato al debole investimento pubblico. Se da una parte è necessaria un’inversione di tendenza nella spesa pubblica più attenta al futuro dall’altra «occorre creare le condizioni per attrarre investimenti privati e delle famiglie anche definendo un sistema di regole e di incentivi» (Bassanini, Campione, 2011).

Bibliografia
ASTRID, Istruzione bene comune. Idee per la scuola di domani, a cura di F. Bassanini F e V. Campione V., Passagli, Firenze 2011.
Bassanini F., Campione V., Istruzione bene comune, prefazione al libro ASTRID, Istruzione bene comune. Idee per la scuola di domani, a cura di V. Campione, Passigli, Firenze 2011.
Bonelli G., La buona scuola per il Paese in www.argomenti2000.it (2014).
Caritat J. A. C., marchese di Condorcet, Elogio dell’istruzione pubblica, Manifestolibri, Roma 2002.
Caselli L., La scuola è un bene comune in www.benecomune.net (15/9/2009)
CittadinanzAttiva, Rapporto Imparare sicuri 2013 – IX, in www.cittadinanzattiva.it.
Corbi E, Sarracino V., Scuole e politiche educative in Italia dall’Unità a oggi, Liguori editore, Napoli, 2003.
Guasti L., “La scuola come bene comune. Fondamenti pedagogici”, in AA.VV., La scuola come bene comune: è ancora possibile? La Scuola, Brescia 2009.
Mannheim K., Libertà potere e pianificazione democratica, Armando editore, Roma 1968.
Nanni A., La missione della scuola? Rifare gli italiani in www.benecomune.net (8/4/2009)
Nussbaum M. C., Creare capacità. Liberarsi dalla dittatura del Pil, Il Mulino, Bologna 2012.
Ocse, Uno sguardo sull’istruzione 2014 – Scheda Paese, in www.istruzione.it
Ribolzi M.L., Scuole pubbliche che si rinnovano: le scuole Charter, in Rassegna dell’Istruzione n. 4-5 – 2006/2007.
Ribolzi M. L. VIttadini G. (a cura) S.O.S. Educazione. Statale, paritaria: per una scuola migliore, Fondazione Sussidiarietà, Milano 2014.
Rossi Doria M., La scuola abbandonata, in Micromega 6/2014, pp.123-144.
Venturella F., Scuola: la riforma è servita in www.argomenti2000.it
Vertecchi B., La scuola italiana da Casati a Berlinguer, FrancoAngeli, Milano, 2001.
Wolff J, De-Shalit A., Disadvantage, Oxford University Press, Oxford, 2007.
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