E’ un’espressione che unisce due concetti diversi. L’etica, che si occupa del rapporto tra realtà e persona, nella sua dimensione sia individuale che sociale, e la finanza che si occupa di valori. Questi però non si concretizzano in norme morali ma in azioni orientate al reperimento di capitali e al loro investimento. Questi due concetti, se tenuti distanti, generano o un certo snobismo verso il denaro o un uso disinvolto delle risorse. Oggi invece i due termini sono accostati da autorevoli economisti e l’espressione è ormai adottata dalle maggiori istituzioni internazionali

Una premessa
Si tratta di una espressione che tiene insieme due concetti diversi. L’etica è la disciplina di valori, concretizzata dalle diverse civiltà in norme morali, che si occupa del rapporto tra realtà e persona, intesa nella sua dimensione sia individuale sia sociale. Anche la finanza si occupa di valori: ma non si concretizzano in norme morali, quanto in azioni indirizzate al reperimento di capitali e al loro investimento in attività produttive. Questi due concetti (etica e finanza), se tenuti distanti, generano da una parte un certo snobismo verso il denaro, dall’altra un uso disinvolto delle risorse. Oggi, invece, i due termini sono autorevolmente accostati da molti economisti di scuole differenti e l’espressione finanza etica è oramai adottata dalle maggiori istituzioni internazionali.

I motivi
Sono evidenti gli effetti negativi dell’uso indiscriminato ed a volte criminoso delle risorse, sia nei Paesi occidentali – dove la qualità della vita si sta riducendo in proporzione alla crescita e stanno aumentando considerevolmente le disuguaglianze – sia nei Paesi poveri – dove si è allargata la forbice tra ricchi e poveri, colpevole di miseria e sottosviluppo. È dunque cruciale un’attenta valutazione delle conseguenze non economiche delle nostre azioni economiche, poiché gli esiti sono largamente definiti dalla premesse, ovvero dal sistema economico e finanziario che li presuppone. Tutto può dipendere da tutto.
La finanza etica cerca dunque un approccio alternativo all’idea del tutto autoreferenziale di finanza
. Non si tratta di ripudiare i meccanismi di base (raccolta, intermediazione, prestito), ma di riformulare gli obiettivi e i mezzi. Pertanto si tratta di riformulare i valori di riferimento ponendo al centro la persona e non il capitale o il patrimonio, l’equa remunerazione dell’investimento e non la speculazione sfrenata. L’introduzione di questi nuovi (e per certi versi antichi) parametri di riferimento mira a correggere l’economia liberista, che appare sempre più drogata dalla follia del profitto come unico valore, riportando i comportamenti finanziari al loro ruolo sociale a favore delle attività che si muovono in un’ottica di sviluppo umanamente ed ecologicamente sostenibile. La finanza etica, che senza dubbio parte da utopica molto forte, ha intrapreso un percorso concreto, praticabile, utile. Utile perché è in grado di ritrovare un senso, di rimettersi al servizio dei bisogni primari, di concepirsi come strumento che coniuga sviluppo e crescita (Andruccioli e Messina, 2007).

I principi
La finanza etica opera sul mercato con un insieme di strumenti di raccolta e di impiego del denaro – dalla micro-finanza al micro-credito, dalle banche etiche ai fondi etici d’investimento, dagli strumenti innovativi della finanza per lo sviluppo alle tasse di scopo – che rispettano alcuni principi di fondo contenuti nel Manifesto della Finanza Etica (1998):
– il credito in tutte le sue forme è un diritto umano;
– le relazioni economiche possono non essere solamente orientate al profitto;
– il profitto può essere conseguenza di attività orientate al bene comune e può essere equamente distribuito tra tutti i soggetti che concorrono alla sua realizzazione;
– l’arricchimento basato sul solo possesso e scambio di denaro è illegittimo. Il denaro è un mezzo e non il fine;
– la responsabilità sociale e ambientale è il criterio di riferimento, sia per le operazioni di deposito sia di impiego del denaro;
– la partecipazione alle scelte importanti dell’impresa spetta non solo ai soci ma anche dei risparmiatori;
– la trasparenza e l’efficienza nell’uso del denaro sono componenti morali essenziali.
Su queste basi etiche si forma il pensiero di quel movimento internazionale che ha nel tempo costruito una griglia di criteri, di esclusione e di inclusione, che devono sovrintendere agli spostamenti di capitali, ricollegandoli con le istanze del mondo del Terzo settore fino a giungere ad interloquire, e sono queste le ultime esperienze, anche col mondo delle imprese profit.

Il percorso storico
Il problema dell’uso del denaro per gli scopi “giusti” è molto antico. Già Aristotele si poneva l’interrogativo se fosse lecito l’interesse sul denaro prestato, in quanto materia sterile e quindi priva di frutti. Una tesi ripresa da san Tommaso d’Aquino, che affermava come esso potesse essere usato soltanto come “sostanza” neutra. In tutti i popoli antichi – in realtà – il problema dei rapporti patrimoniali è ben presente. Nell’ebraismo, per esempio, la terra è di Dio e l’uomo ne è solo l’amministratore; così nei Vangeli si parla molto di ricchezza e di povertà e, pur non demonizzando il possesso di beni, se ne richiede un uso sociale, ribadendo il concetto che ogni uomo, in quanto figlio di Dio, ha gli stessi diritti.

Ma è nell’epoca mercantile, dal Medioevo in poi, che il denaro diviene strumento di scambio e di ricchezza. C’è chi si oppone, come alcuni movimenti pauperistici e qualche grande personalità, da san Francesco in avanti, e chi cerca di mitigare questo potere introducendo forme di carità o di lotta all’usura con l’istituzione dei “monti di pietà”. Ma inevitabilmente nel mondo s’impone il meccanismo del credito commerciale. Nel 1515 i francescani chiedono espressamente l’autorizzazione al credito con richiesta di interessi a papa Leone X, che risponde affermativamente ma con le clausole che l’interesse deve essere piccolo e che il denaro non deve essere impiegato in “attività viziose”: sono i primi passi della finanza etica.

Due secoli dopo, Adam Smith, insegnante di filosofia morale e padre dell’economia politica classica, nella sua opera La ricchezza delle nazioni (1776) afferma che la ricerca del massimo profitto individuale, grazie al libero mercato, porta ad un’equa distribuzione della ricchezza tra le nazioni. Ma la realtà ci dimostra che non è così: il mercato, lasciato libero, può creare ricchezza ma non è in grado di distribuirla in modo equo. In sostanza gli effetti dell’economia classica si staccano dalla filosofia morale. È qui l’origine della scissione tra etica ed economia, tra etica e finanza.

Le evidenti disparità e la mancata risoluzione delle situazioni di povertà accentuate da questo modello di sviluppo fanno nascere, specie dal mondo cattolico, i primi istituti di credito per tutelare il risparmio dei più deboli: le banche popolari in ambito urbano e le casse rurali nelle campagne. Ma via via gli intenti mutualistici di queste banche iniziano ad affievolirsi. Il richiamo ad una maggiore moralità contenuto nell’enciclica Rerum novarum, lo sviluppo della dottrina sociale della Chiesa, il sorgere di un movimento cooperativo di impronta socialista rinnovano i valori del credito sociale e fanno delle banche popolari e delle casse rurali la spina dorsale di quella che oggi definiremmo economia civile. Eppure il prevalere della finanza speculativa trascina anche queste banche, al pari delle altre, nella rincorsa a facili profitti.

Ma intanto nascono nuove iniziative. Per esempio negli Stati Uniti si sviluppa intorno agli anni Venti del secolo scorso un forte dibattito sul rapporto tra finanza e religione, che sfocia nell’emissione del primo fondo comune – il Pioneer Fund – basato su criteri di esclusione: no al commercio di alcool, di tabacco, al gioco d’azzardo, alla pornografia. Così il filone dell’investimento socialmente responsabile nei Paesi anglosassoni e del nord Europa decolla definitivamente con l’avvento dei fondi pensionistici. Anche la spinta di avvenimenti storici a forte contenuto ideale – quali gli anni Sessanta del secolo scorso – contribuiscono ad individuare altri elementi di esclusione sulla scorta del Pioneer Fund: no al commercio di armi, alle attività dannose per l’ambiente, alle imprese che manifestano comportamenti contrari al diritto internazionale del lavoro, l’appoggio a regimi dittatoriali o a all’apartheid.

Agli inizi degli anni Novanta avviene una svolta sul piano della teoria economica che dà un notevole impulso alla finanza etica. L’economista indiano Amartya Sen – a cui nel 1998 è attribuito il premio Nobel per l’economia – partendo da un esame critico dell’economia del benessere (Sen, 2006), incentrata sul valore del Pil, sviluppa un nuovo approccio alla teoria dell’eguaglianza e delle libertà. Sen propone la nozioni di capacitazione (capability) come misura più adeguata della libertà e della qualità della vita. In sostanza al valore della ricchezza, che rimane un elemento base del mercato, deve essere aggiunta anche la felicità, concetto diverso dal benessere. Una persona è più ricca di un’altra quando è più felice ed ha ottenuto una migliore qualità della vita. Il mercato non deve quindi produrre solo ricchezza ma anche soddisfare attese e valori etici. Si realizza grazie al pensiero di Sen una ricomposizione tra etica ed economia (Sen, 2003), tra economia e finanza.

Le prospettive
La crisi economica iniziata nel 2007 ci fa rendere sempre più conto che è opportuno instaurare un circuito virtuoso tra etica ed economia, per dare voce ad un’altra economia, quella orientata alla solidarietà e allo sviluppo sostenibile, che gli Stati e i mercati lasciano quasi completamente in mano ad organizzazioni non governative. Occorre sviluppare una nuova economia evidenziando – questa volta – dei criteri d’inclusione: a titolo di esempio citiamo il saper rispondere ai bisogni sociali, il rispetto per l’ambiente, lo sviluppo della cooperazione internazionale, la partecipazione del risparmiatore ai destini dell’impresa, la trasparenza del gestore, la tutela dei lavoratori. Allora sulla base di queste due discriminanti – i criteri di esclusione ed i criteri di inclusione – prendono corpo reali tentativi di costruzione di strumenti di finanza etica.

In Italia sono nate le mag (mutue autogestite) che si dedicano ad una raccolta del risparmio finalizzata al finanziamento di progetti mirati, specie nel campo della cooperazione internazionale, mentre all’estero vengono fondate le prime banche alternative: la Triodos Bank in Olanda, la Ökobank in Germania, la Grameen Bank nel Bangladesh fondata dall’economista Muhammad Yunus, insignito del premio Nobel per la pace nel 2006, che più recentemente ha sviluppato il concetto di business sociale come mezzo per creare un capitalismo più umano. (Yunus M., 2010)

Le difficoltà di ulteriore sviluppo delle mag, unite alle novità legislative in materia di credito, fanno sì che una serie di associazioni del Terzo settore, del mondo cattolico (tra cui anche le Acli), sindacale, cooperativo e ambientale facciano nascere alcune micro-esperienze così come esperienze più importati, tra cui segnaliamo in particolare quella di Banca Etica, oggi diventato un gruppo grazie anche alla nascita di Etica SGR. Proprio i fondi di investimento etici stanno diventando l’altro braccio delle banche etiche grazie “al ‘voto con il portafoglio’ che consente di acquistare con i risparmi degli investitori le azioni di imprese che rispettano standard sufficienti di responsabilità sociale ed ambientale” (Becchetti, 2014).

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