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E’ un concetto complesso, che identifica la fragilità e la debolezza umana o sociale, aperto ad una lettura multidisciplinare: socio-economica, etica, educativa, politica. La vulnerabilità, rispetto alla povertà o all’esclusione, offre una chiave di lettura multidimensionale del fenomeno della disuguaglianza e consente di capire meglio le condizioni di difficoltà vissute dai cittadini, che vedono sgretolarsi i punti di riferimento sui quali fondavano le loro decisioni

Definizione
La vulnerabilità indica fragilità e debolezza umana o sociale. È un concetto complesso, aperto ad una lettura multidisciplinare: socio-economica, etica, educativa, politica. Nel 1998 il concetto di vulnerabilità è stato inserito da esperti di diversi paesi della Comunità europea tra i principi della dichiarazione di Barcellona, che è divenuta una traccia dei principi etici fondatori dell’Unione Europea. Il concetto di vulnerabilità esprime la finitudine dell’esistenza umana insieme alla responsabilità di curare le persone la cui autonomia e integrità è più in pericolo.

Alcuni filosofi indicano nella vulnerabilità la sorgente della socialità, anche assumendo prospettive differenti. Ad esempio Thomas Hobbes usa questa idea come debolezza da arginare e motivo per stringere patti per difendersi dai “lupi”; Marcel Mauss, al contrario, come opportunità che chiede alla persona di interagire per superare i propri limiti. È comunque implicito, in entrambi gli approcci, la sottolineatura di un elemento di positività: la vulnerabilità diventa una condizione che permette lo sviluppo.

La vulnerabilità sociale è anche un concetto utilizzato per comprendere e misurare l’insicurezza nella nostra società postindustriale e postfordista. I cittadini delle società occidentali conoscono uno stato di vulnerabilità che «può essere sinteticamente definita come una situazione di vita in cui l’autonomia e la capacità di autodeterminazione dei soggetti è permanentemente minacciata da un inserimento instabile dentro i principali sistemi di integrazione sociale e di distribuzione delle risorse» (Ranci, 2002: 546).

La vulnerabilità, rispetto alla povertà o all’esclusione, offre una chiave di lettura multidimensionale del fenomeno della disuguaglianza e la possibilità di capire meglio le condizioni di difficoltà vissute dai cittadini, che vedono sgretolarsi alcuni punti di riferimento sui quali orientavano e/o fondavano decisioni della loro vita. La vulnerabilità supera il rischio: la differenza – come spiegherebbe Ulrich Beck – è nella transizione dalla possibilità di prevedere le fragilità (il rischio) a quella della loro imprevedibilità (la vulnerabilità); oppure – come indicherebbe Robert Castel – nel passaggio da uno stato di relativa stabilità a uno di ordinaria insicurezza.

Quello che rende la vulnerabilità una questione contemporanea non è la presa di conoscenza della limitatezza costitutiva dell’uomo che attraversa la storia, ma l’idea di una «riduzione costante delle risorse necessarie a vivere tale condizione, e la contrazione delle capacità individuali e collettive necessarie a trasformare tali risorse in progettualità» (Raciti). Allora, nelle biografie personali e familiari, la vulnerabilità sociale si può ascrivere a un processo di impoverimento che colpisce soprattutto il ceto popolare .

Origini e dimensioni della vulnerabilità sociale
La diffusione della vulnerabilità è dovuta, secondo Nicola Negri, all’indebolimento di tre istituzioni centrali per le persone: il mercato del lavoro, dove si passa da una logica di piena occupazione generalmente con contratti a tempo indeterminato ad un rapporto di flessibilità o di precarietà; la famiglia, dove si passa da una normale stabilità delle relazioni a un frequente riposizionamento che porta a una pluralità di nuclei familiari e di forme di convivenza e una difficoltà di coltivare le relazioni oltre che di confidare in esse; il welfare state, che da sistema di protezione di stampo universalistico e centralizzato capace di rispondere a bisogni standard e oggettivi, passa a una visione de-istituzionalizzata che però non riesce a rispondere ai bisogni complessi e soggettivi, dove, inoltre si abbandona un’impostazione legata al modello familiare male breadwinner (uomo procacciatore di risorse – donna custode del focolare) – con ripartizione rigida delle funzioni e dei compiti nella coppia – a un modello dualearner (a doppio reddito) dove non esistono più ripartizioni di compiti, già fissati e dove la conciliazione del tempo vita-lavoro diventa una sfida quotidiana.

Costanzo Ranci distingue tre caratteristiche dei nuovi pericoli:
· la probabilità elevata che un evento si verifichi (ad esempio la precarietà lavorativa o la dissoluzione di un rapporto di coppia);
· la permanenza di uno stato di bisogno che porta alla cronicità ed attiva un loop tra azioni ed effetti (es. l’invecchiamento della popolazione e la cura di anziani non auto-sufficienti);
· i confini tra le categorie sociali a rischio e le altre sono sfumati.

«L’incertezza che ne deriva non riguarda soltanto la capacità di prevedere e calcolare gli effetti dell’azione ma coinvolge almeno altre due dimensioni: a) la stabilità o meno delle relazioni sociali su cui si basa la capacità di scelta e di decisione; b) la capacità dell’individuo di proiettare se stesso nel tempo, ovvero, la sua identità» (Ranci, 2002: p. 538). Questo stato permanente diventa una fonte di sofferenza e inquietudine che per essere affrontato richiederebbe alle politiche sociali di adottare una prospettiva non soltanto risarcitoria, ma anche promozionale e di sostegno. Per far fronte ai rischi sono considerati nuovi attori che provengono dalla società civile e vanno oltre l’apparato del welfare state.

Per ridurre la percezione della vulnerabilità sociale non si tratta più di prevedere solamente i pericoli e assumersi i relativi rischi di fronte ai quali si garantiva un certo margine di sicurezza che nasceva dalla fiducia di saper trovare un punto di equilibrio tra l’aspirazione a controllare un “accidente” e l’assicurazione sugli eventuali danni. Piuttosto l’obiettivo si concentra su rendere possibile la convivenza con pericoli incontrollabili: alcuni di essi sono globali ed incombono sul genere umano; altri sono insiti nell’esperienza umana e sociale di ognuno. Diventa allora essenziale agire per alimentare e sostenere le capacitazioni dei cittadini e sui soggetti capacitanti.

Il pensiero delle Acli
Le Acli si sono interrogate sulle politiche per ridurre la vulnerabilità sociale che colpisce i ceti popolari e le famiglie. In particolare l’argomento è stato approfondito nell’ambito di due incontri nazioanli di studi svolti a Cortona: “Abitare la storia. Partecipazione, cittadinanza e democrazia nel tempo della crisi e della diseguaglianza” e “Il lavoro non è finito. Un’economia per creare lavoro buono e giusto”.
Si sottolinea in particolare come sia possibile ridurre il rischio di vulnerabilità sociale curando la dimensione partecipativa della cittadinanza e garantendo la promozione di un lavoro dignitoso.
Sostenere le persone nel tessere legami sociali diviene una misura di prevenzione che tende a rendere meno soffocante le differenti fragilità che si vivono, mentre gettare le basi di un lavoro equo e stabile assicura a ognuno una relativa autonomia e capacità di prevedere il futuro. Ingredienti essenziali per limitare gli effetti della vulnerabilità sociale.

Bibliografia
A.VV. , Povertà e vulnerabilità sociale: un percorso di ricerca in Studi Zancan – Politiche e Servizi alle Persone n. 3/2005.
Beck U., La società del rischio, Carocci, Roma 2000.
Borghi V., Vulnerabilità, inclusione e lavoro, Angeli, Milano 2002.
Castel R., L’insicurezza sociale. Che significa essere protetti?, Torino, Einaudi, 2004.
Marchese G., “Lavoro e vulnerabilità sociale: un binomio inedito”, in Acli, Il lavoro non è finito. Un’economia per creare lavoro buono e giusto, Aesse, Roma 2014.
Mauss. M., Saggio sul dono. Forma e motivo dello scambio nelle società arcaiche, Torino, Einaudi 2002.
Mazzoli G., “I vulnerabili al centro di una società iperprestativa“, in Osservatorio delle povertà e delle risorse della Caritas di Torino (a cura), In precario equilibrio. Vulnerabilità sociali e rischio povertà. Un’osservazione a partire dal quartiere San Salvario di Torino”, EGA, Torino, 2008.
Negri N., La vulnerabilità sociale. I fragili orizzonti delle vite contemporanee, in Animazione sociale, agosto/settembre 2006.
Raciti, P., Le dimensioni della vulnerabilità e la vita buona: un’introduzione ai concetti, in Dialegesthai, 2009.
Ranci C., L’emergere della vulnerabilità sociale nella società dell’incertezza, in Italianieuropei, n. 4, 2008.
Ranci C., Fenomenologia della vulnerabilità sociale, in Rassegna italiana di sociologia, n. 4/2002.

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