La mia trasmissione televisiva preferita è senza dubbio ‘Cucine da Incubo’. Non ho alcuna simpatia per l’odierna infatuazione per piatti e ricette, ma qui la storia è del tutto diversa e l’arte culinaria è solo l’ambientazione metaforica per far risaltare dei veri apologhi morali…

La mia trasmissione televisiva preferita, che amo guardare e commentare insieme alle mie figlie, è senza dubbio Cucine da Incubo (versione Italiana naturalmente, quella originale americana è inguardabile).

Non ho alcuna simpatia per l’odierna infatuazione per piatti, ricette e vini, che anzi trovo veramente stucchevole, ma qui la storia è del tutto diversa e l’arte culinaria è solo l’ambientazione metaforica (un po’ come succedeva con gli animali parlanti delle fiabe di Esopo) per far risaltare dei veri apologhi morali.

Per chi non ha mai assistito al programma dirò che si parte da un ristorante che, a causa di dissidi tra il personale generati da malintesi, invidie, e incomprensioni, si trova sull’orlo del fallimento. La mancanza di collaborazione, le rivalse personali, portano velocemente alla sciatteria, al peggioramento della qualità delle pietanze e quindi alla progressiva perdita della clientela. In questa situazione si inserisce il maestro, un grande chef, ma soprattutto, come scoprirete anche voi se vedrete la trasmissione, una persona saggia e autorevole: Antonino Cannavacciuolo da Vico Equense.

Antonino è una persona grave e posata (in ciò aiutato da una folta barba nera e da un fisico imponente) che inizia la sua opera educativa sedendosi a un tavolo del ristorante e ordinando un pasto completo. Le gravi mancanze della cucina vengono fatte notare con giusta severità: materie prime scadenti, presentazione sciatta e disordinata, cottura sbagliata, accostamenti non armonici. Le critiche coinvolgono tutto il personale, sia a livello individuale (a ognuno vengono messi davanti i suoi errori) che collettivo (i problemi di relazione tra di loro). Queste critiche non sono edulcorate da falso buonismo ma non sono mai astiose e non mirano ad altro che al discernimento e a essere onesti con se stessi riconoscendo i propri limiti e le proprie colpe. E’ un processo duro e doloroso (i ristoratori spesso piangono) ma che alla fine porta alla catarsi, la squadra capisce la necessità di fare gruppo e Cannavacciuolo li spinge a un passo ulteriore: interrogarsi su quali piatti sanno eseguire a regola d’arte e a ricordarsi delle motivazioni iniziali che li hanno spinti ad aprire il ristorante.

A questo punto l’atto educativo cambia passo: fatta piazza pulita (non automatica ma attraverso reale pentimento e presa di coscienza) degli errori, si riparte dai punti di forza. Quei quattro-cinque piatti che erano nelle corde dei ristoratori vengono esaltati dalla scelta di materie prime di ottima qualità, da una presentazione all’altezza, da un ordine perfetto in cucina raggiunto attraverso una presa in carico di responsabilità di ogni membro del gruppo che conosce esattamente il suo ruolo e non invade il terreno degli altri. La catarsi viene sottolineata (e resa reale e tangibile) dalla cerimonia della consegna delle divise che sottolinea l’appartenenza a un gruppo coeso, e dal totale rinnovamento dell’arredo del ristorante: una azione veramente umana può svolgersi solo in un ambiente bello.

Ci sono tutti gli ingredienti dell’educazione: non tutti siamo dei geni, ma tutti abbiamo i nostri talenti che però non si affermano per magia (come suggerito dalla ‘cattiva scuola’ di certi talent televisivi), ma hanno bisogno di impegno per emergere, impegno non solo pratico (fatica, studio, applicazione) ma anche spirituale (riconoscimento del peccato, umiliazione, disponibilità verso l’altro). L’educazione non solo trasforma le persone ma si espande verso l’ambiente creando bellezza, insomma una attenta visione del programma vale più della lettura di noiosi e spesso ideologizzati trattati di pedagogia. L’obiezione che magari è tutto preparato e sia una recita, è resa irrilevante dal fatto che il messaggio veicolato sia comunque lo stesso, tutto sommato neanche gli agnelli di Esopo parlavano veramente con i lupi.

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