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Occorre valorizzare di più e mettere maggiormente a sistema, per il bene comune, quello che già gli anziani fanno. Prima di tutto nell’ambito familiare, ma anche nel turnover lavorativo, nel pubblico e nel privato. Non c’è un limite nell’immaginare il ruolo degli anziani nei mille spazi aperti dal privato sociale.

Cos’è oggi la vecchiaia, cosa significa essere anziani, nel mondo odierno?

L’ Italia si classifica dopo il Giappone e la Spagna, tra i paesi a più alto tasso d’invecchiamento della popolazione. Tra pochi anni gli anziani saranno il 25% della popolazione.

Il numero degli anziani cresce paurosamente e cresce insieme la paura di invecchiare. Questa paura da sempre presente, oggi si traduce in comportamenti e scelte peculiari del nostro tempo e delle sue armi scientifiche e tecnologiche. Estetica, medicina, chimica farmacologica ci aiutano a coltivare il sogno dell’eternamente giovane. Mai il desiderio di essere/apparire eternamente giovani è stato così esteso, così alla portata di tutti, così presente nella quotidianità della comunicazione.

Tra una legittima aspirazione ad un vecchiaia “sana e in forma”, che si impone però con un tratto maniacale e la conservazione dell’apparenza alla Dorian Gray, con il potato di un’estetica inquietante nelle sue soluzioni, sembra che si voglia superare, dimenticare, negare e uccidere quell’età della vicenda umana che precede la morte.

Sembra che la nostra generazione, quella del ‘68, sia così spaventata dalla morte, dalla vecchiaia e dai suoi dolori da negarle e allontanarle con tutti mezzi, dall’estetica all’eutanasia, inaugurando una nuova frontiera umana: quella degli eternamente giovani.

A quest’ansia di cancellare la vecchiaia dal panorama sociale e dalla vita si rivolgono le parole di due pontefici.

Benedetto XVI ha pronunciato parole chiare e profetiche: “La qualità della civiltàà di una società si giudica da come sono trattati gli anziani e dal posto loro riservato nel vivere comune”. Bergoglio le ha commentate: “Se in una civiltà c’è attenzione e posto per l’anziano, quella civiltà andrà avanti, perchéé sa rispettare la saggezza, la sapienza; ma se gli anziani sono scartati perché creano problemi, questa societàà porta con sé il virus della morte”. Si è riferito anche ai progressi della medicina, che allungano la vita, ma ha ammonito non altrettanto “la società si è allargata alla vita” e così “il numero degli anziani si è moltiplicato ma le nostre societàà non si sono organizzate abbastanza per fare posto a loro con giusto rispetto e concreta considerazione per la loro fragilitàà e dignità”. Infatti fino a quando “siamo giovani siamo indotti a ignorare la vecchiaia, come fosse una malattia, una malattia da tenere lontano, ma quando siamo anziani, specialmente se poveri, soli, malati, sperimentiamo la luce di una società programmata sulla efficienza”; parole di saggezza per responsabilizzare chi mal sopporta la difficoltà intrinseca dell’esistere e sfugge dalle responsabilità sociali che cozzano con una visione sempre più egoista del vivere.

Oggi in realtà si invecchia più lentamente, in migliori condizioni, spesso in autonomia per molti anni. Si può progettare la vita con una nuova pienezza di senso e di ruolo.

I nuovi anziani dovranno imparare sempre di più dai giovani per rimanere agganciati al nuovo che avanza, ma potranno sempre di più essere educatori, formatori e insegnanti, nelle diverse pieghe dello spazio intergenerazionale.

Un presente tutto nuovo, disordinato, pieno di enigmi, di sfide sconosciute e di nuovi bisogni e di nuove e straordinarie potenzialità ci costringe alla ricerca di altre strade e altri significati per ridisegnare perimetri e modi dell’essere anziani e affrontare il confronto e lo scambio intergenerazionale.

I giornali danno quotidianamente spazio a notizie che evidenziano l’aumento degli anziani e la difficoltàà delle loro condizioni di vita, ma deve ancora crescere la consapevolezza dell’entità e dell’urgenza del problema e mancano ancora la puntuale analisi del ruolo degli anziani come parte attiva della società, le soluzioni per valorizzarli come risorsa e un nuovo approccio ai loro bisogni.

Nel dibattito politico attuale la questione del rapporto fra generazioni sta diventando sempre più importante, quasi oscurando le categorie tradizionali della politica, classe, ceti, individui, contesto sociale.

E’ necessaria una risposta, un cambio di paradigma culturale nell’affrontare il problema dell’invecchiamento e del nuovo assetto demografico non solo dell’Italia, ma di ampie zone del mondo sviluppato. Il tema della terza e quarta età deve essere affrontato secondo un approccio multidimensionale e non settoriale (salute, politiche abitative e di assistenza, emergenza occupazionale, sviluppo territoriale, apprendimento intergenerazionale, invecchiamento attivo, competenze, cultura).

Non basta e non serve un’attenzione di tipo sindacale o inclusivo (povertà, marginalità singolarmente considerate, per intenderci).  Si tratta di analizzare il tema focalizzando l’attenzione sulla qualità delle condizioni di vita degli anziani e dell’intero corpo sociale, secondo i diversi punti di vista, in una visione che integri le soluzioni, per ricostituire un tessuto sociale già attraversato da fratture ed pericolose contrapposizioni generazionali.

Un’ampia attività di ricerca dedicata a questo tema potrebbe ben supportare un programma politico che colga le preoccupazioni e i bisogni del nostro tempo.

E’ urgente aprire in Italia ed in Europa un ampio confronto sul tema dell’invecchiamento per proporre strategie d’intervento e soluzioni in un’ottica integrata, per non essere complici e vittime di politiche improvvisate e inadeguate. La società civile, attraverso i soggetti che la incarnano e la articolano è chiamata a elaborare proposte e soluzioni per la valorizzazione delle competenze e delle potenzialità in ambito educativo, formativo e lavorativo di cui sono portatori gli anziani, tematica di riflessione poco esplorata, ma di grande importanza anche rispetto alla dimensione dell’apprendimento/scambio intergenerazionale.

Quali risorse può mettere in campo la popolazione anziana sul piano della cura dei minori, dell’educazione della formazione e del lavoro? In quali ambiti gli anziani possono offrire il loro aiuto nell’educare e nell’insegnare?

Possiamo tranquillamente affermare che non c’è ambito in cui questo funzione non sia già presente, ma certamente non possiamo nascondere che si potrebbe valorizzare di più e mettere maggiormente a sistema, per il bene comune, quello che è già una realtà, prima di tutto nell’ambito familiare, ma anche nel turnover lavorativo, nel pubblico e nel privato. Non c’è poi un limite a immaginare il ruolo degli anziani nei mille spazi aperti dal privato sociale.

E’ nell’esperienza di tutti che l’impegno dei nonni garantisce alle famiglie tutto quello che i servizi offerti dallo Stato non riescono ad offrire alle famiglie e in particolare alle madri lavoratrici. Dalla custodia giornaliera a 360° durante l’orario lavorativo dei genitori, fino a sostituire i genitori che al ritorno delle ferie non sanno dove lasciare i propri figli prima della riapertura degli asili nido e delle scuole.

Sono tantissimi i bambini che hanno la fortuna di conoscere i loro nonni e di essere affidati alle loro cure; i numeri che ne quantificano l’impatto, sono di per sé l’evidenza della centralità del ruolo Si tratta del 98,2% dei ragazzi minori di 15 anni. In Italia ci sono circa undici milioni e cinquecento mila nonni. La convivenza dei nonni con figli e nipoti è rara (solo il 7 %) ma il 68,1% ha nipoti residenti nello stesso comune, e in particolare il 15,3% nello stesso caseggiato. Quasi un terzo vive entro un raggio di un chilometro. Il 42 % dei nonni non coabitanti vede il nipoti ogni giorno e il 38, 5% una o più volte la settimana. Sempre in riferimento a chi non coabita l’85,6% dei nonni con nipoti fino a 13 anni si prende cura, in vari modi, di loro.

Senza i nonni disposti all’aiuto avremmo famiglie ancora più in difficoltà nella scelta di fare figli. I nonni di oggi sono diversi da quelli che li hanno preceduti, per una condizione psicofisica migliore, perchéé la famiglia e la societàà sono cambiate, cambiando anche il ruolo dei nonni in ambito familiare.

I nonni avvertono la responsabilità educativa; è sempre più presente il desiderio di “fare meglio e di più”. Emerge il bisogno di strumenti e occasioni formative e “autoformative”, di aggregazione con altri nonni per far fronte a un ruolo impegnativo, a volte esercitato in situazioni complesse, quali quelle di un nipote adottato, o nato con un handicap, di una famiglia “ricomposta”, cioè con genitori divorziati e risposati.

Gli anziani rivestono poi un ruolo formativo strategico nel turnover generazionale in ambito lavorativo. Consideriamo quello che accade nel privato e le problematiche delle piccole e medie imprese. In Italia, circa il 70% delle imprese con un fatturato compreso tra 20 e 50 milioni di euro è a matrice familiare. Di queste il 25% è guidato da un leader di età superiore ai 70 anni e quasi una su cinque, dovrà sarà costretta ad affrontare il ricambio generazionale nei prossimi 5 anni.

Si tratta di una miriade di piccoli e medi imprenditori di family business, che difficilmente organizzano per tempo il turnover e quando lo fanno faticano ad abbandonare il comando, scegliendo il più delle volte una convivenza sterile, che inibisce le iniziative delle nuove generazioni.

Il giusto approccio è attuare una sinergia generazionale, cioè passare da una logica di evento a una logica che dia il senso di una crescita delle nuove generazioni, senza sottovalutare il contesto psicologico e i profili emozionali, i vincoli e le limitazioni posti da elementi giuridici e fiscali.

Infine nella pubblica amministrazione si potrebbero inventare soluzioni, anche ricorrendo agli anziani in uscita o già usciti dal lavoro, per fare del turnover uno strumento per il miglioramento dei servizi offerti dalla PA, un punto debole della nostra nazione.  Secondo i calcoli della Funzione pubblica, in quattro anni andranno in pensione 500mila dipendenti pubblici. Con le uscite per altre cause, il conto potrebbe salire fino almeno a 600mila “abbandoni”, circa il 20% del personale.

È un’occasione straordinaria per far entrare i giovani. Ma è anche un’occasione straordinaria per governare un passaggio generazionale che tesaurizzi il knowhow degli over 60 in uscita; coglierla è compito dell’azione politica

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