Proponiamo un’intervista ad Edo Patriarca, Presidente del Centro nazionale per il volontariato e deputato PD. Per diversi anni, portavoce del Forum del terzo settore e già presidente dell’Agesci

Perché l’anziano viene percepito come un peso, un costo, uno “scarto” piuttosto che come una risorsa preziosa per la società? Quali stereotipi sociali e culturali ostacolano il diffondersi di una cultura che torni a valorizzare il ruolo delle persone anziane, oggi così rilevanti in termini di “peso” demografico?

Come premessa direi che abbiamo due questioni – che dovrebbero essere percepite come grandissime risorse – che il Paese non sta affrontando, a cui bisogna però dare risposta altrimenti non si va molto lontano. La prima è che l’Italia è la nazione al mondo con il più basso tasso di natalità e questo vorrebbe dire lanciare una nuova grande politica di welfare fondata sulla famiglia, superando le vecchie soluzioni; la seconda è relativa all’elevato tasso di invecchiamento, all’età lunga di questo Paese. Abbiamo due alternative su cui dobbiamo fare dei passi avanti giganteschi. Da un lato bisogna accogliere queste due sfide e dall’altro è necessario uscire dallo stereotipo secondo il quale il tema dell’anzianità – l’ho visto anche nei lavori della mia commissione in Parlamento – è legato alla sanità.

Oggi la condizione dell’essere anziano non viene percepita come una risorsa perché quello che incombe, nelle politiche in generale, è la questione sanitaria. Ma il tema degli anziani non può essere ridotto al problema sanitario, o meglio può diventare un problema sanitario ma nella fase ultima della non autosufficienza. Quindi l’anziano non viene percepito come risorsa perché la cultura vigente è quella sanitaria. In Italia non c’è stata una politica lungimirante mentre in altri Paesi europei sul tema dell’invecchiamento attivo è stato fatto tantissimo anche sul fronte economico ed imprenditoriale. Nel nostro Paese si invecchia anche bene, ma non c’è nessuna politica che faccia percepire gli anziani come una grandissima risorsa presente e futura.

Lei è il primo firmatario della proposta di legge n. 3538 del gennaio del 2016 “Misure per favorire l’invecchiamento attivo della popolazione attraverso l’impiego delle persone anziane in attività di utilità sociale e le iniziative di formazione permanente”, fortemente voluta dalle associazioni che si occupano di anziani: Ada, Anteas, Auser. Può spiegarci il senso di questa proposta? Quali sono gli elementi di novità? A suo avviso quali politiche di active aging mettere in campo in ambito europeo e italiano?

La mia proposta di legge è nata da un accompagnamento forte di Anteas, Auser e Ada. Loro nel 2012 -in occasione dell’anno europeo dell’invecchiamento attivo – avevano proposto un testo di legge che non era stato mai depositato. Da una relazione mia personale che dura ormai da anni, soprattutto con Antea e Auser, è nata l’idea di tradurre il loro testo in un proposta normativa da depositare in Parlamento. Lo abbiamo fatto avviando un cammino, nell’ultima fase della legislatura. Stavamo quasi arrivando, almeno alla Camera, con un testo unificato…poi, come sempre accade quando fai queste leggi, la ragioneria di Stato ha fatto la sua analisi ritenendo che vi erano costi eccessivi non coperti. Tu cerchi di dire che non è proprio così anzi che alcune misure possono risolvere dei problemi…ma nella logica, comprensibile e rispettabile, della ragioneria di Stato è stata fatta questa scelta. La legge cosa prevede? Prima di tutto il riconoscimento di questa funzione pubblica degli anziani, dei giovani anziani, soprattutto nell’attività di volontariato. Come a dire: questa realtà c’è già, esiste, e quindi la legge intende riconoscere questa presenza.

Quindi in primo luogo la legge intende favorire e riconoscere il ruolo degli anziani nell’ambito del volontariato. In secondo luogo vengono individuate, anche in relazione alla legge di riforma del Terzo settore, attività di utilità sociale nelle quali coinvolgere gli anziani. In terzo luogo si propone di riconoscere, pur mantenendosi nel gratuito, il ruolo pubblico che le associazioni di volontariato soprattutto anziano stanno svolgendo attraverso l’attribuzione di benefit, buoni pasto (su questo punto la ragioneria di Stato ha messo i paletti dicendo che si sforava) agevolazioni culturali per spettacoli teatrali o per corsi.

Si chiedeva inoltre di aprire un’interlocuzione con il Ministero del lavoro per studiare modalità – come accade in Germania e nel Nord Europa – di uscita dall’attività lavorativa che utilizzino forme di part-time in cui la persona sperimenta per uno-due anni un impegno nell’attività di volontariato. Infine si proponeva la realizzazione di un accordo quadro con il MIUR perché tutto il tema dell’alternanza scuola-lavoro e del “trapasso delle nozioni” – per usare un termine dello scoutismo – che oggi avviene in modo informale potesse trovare vie formali.

In sostanza ci siamo posti la questione di valorizzare quei giovani anziani che hanno competenze e professionalità affinché le spendano a vantaggio dei giovani soprattutto nella fase di inserimento nel mercato del lavoro. L’idea è quella di strutturare la presenza di questi anziani nel trapasso nozioni in modo concreto nell’esperienza dell’alternanza scuola-lavoro. In Europa sono molto più avanti e si è intervenuti anche nella fase di pre-pensionamento, con dei part-time regolati dove i giovani stanno in azienda e cominciano a fare esperienza. Nella nostra proposta di legge avevamo eliminato l’aspetto sanitario nel senso che parlavamo di stili di vita salutari. Il termine sanitario non era quindi legato al tema della non autosufficienza.

Attualmente Lei è presidente del Centro nazionale per il volontariato. In passato è stato, per diversi anni, portavoce del Forum del terzo settore e presidente dell’Agesci. Conosce quindi molto bene il ruolo degli anziani come risorsa del volontariato spesa in diversi ambiti: dalla cura dei minori all’educazione, dalla formazione al lavoro, dalla protezione civile alla cura dell’ambiente? Su quali altri ambiti è possibile valorizzare gli anziani?

Credo ci siano due ambiti interessanti. Il primo è quello intergenerazionale. Si tratta di una questione sociale e culturale di grande rilevanza e valore. Oggi non abbiamo più luoghi in cui questi percorsi possano avvenire anche solo nel trapasso nozioni ossia luoghi strutturati dove la competenza degli anziani, acquisita negli anni, possa portare frutto. Sto vedendo come molti centri sociali anziani, ad esempio in Emilia, si stiano attrezzando per essere non solo centri per anziani ma anche per proporre un’offerta sociale e culturale trasversale.

L’altro ambito è sicuramente quello culturale, quello relativo all’animazione culturale (musei, turismo sociale) dove gli anziani potrebbero essere impegnati utilmente. Siamo di fronte ad un’anzianità di qualità; mediamente gli anziani che abbiamo di fronte hanno sicuramente un livello culturale e di professionalità più elevato rispetto a prima. Dovremmo inventare dei laboratori anche associativi, costruire delle esperienze pilota che favoriscano il trapasso di cui parlavo prima, non a livello teorico ma attraverso la realizzazione di progetti concreti. Credo che alcune competenze di tipo relazionale, di lavoro di gruppo anche di tipo artigianale che gli anziani possiedono siano molto utili; gli anziani possono no diventare “artigiani del bene”, termine che oggi viene usato molto. La qualità nei territori cade spesso perché perdiamo le competenze artigianali, quelle del sapere fare che difficilmente si riescono a recuperare se non riusciamo a valorizzano il contributo di questi anziani.

Oggi il rapporto tra le generazioni è difficile, anche perché spesso le generazioni vengono rappresentate in competizione sociale tra di loro. Questa lettura socio-politica delle relazioni tra le generazioni ha messo tra parentesi la dimensione psicologica, culturale, antropologica e pedagogica dei legami intergenerazionali. Queste dimensioni possono permettere invece lo sviluppo di relazioni fatte di consegne e di cura reciproca? E’ possibile recuperare nelle relazioni che viviamo i tratti di una storia comune che interessa i padri, i padri dei padri, i figli, i figli dei figli? Come fare spazio all’attesa di novità e di inizio dei giovani?

Pensando ad una stagione in cui anche io ero giovane…se il mandato dei giovani è quello di rischiare, di avere il coraggio del rischio – perché questa è la vocazione di un giovane – credo che al mondo dell’anziano spetti il compito di prendersi cura del tempo e sostenere il percorso del rischio che i giovani devono intraprendere. Siamo di fronte ad una sfida anche educativa. Non ci sono luoghi in cui far comprendere ai giovani che possono camminare e rischiare, nel senso buono del termine, perché comunque possiedono uno zaino di memoria, di cultura di competenze che non sono state date loro soltanto dalla scuola, ma sono che presenti nel tessuto del territorio, della famiglia: se non c’è questa consapevolezza i ragazzi di oggi e delle future generazioni saranno molto fragili. Vedo la fragilità quando un giovane non si rende conto del perché è lì e come ci è arrivato. Da boy scout dico che bisogna avere sempre lo zaino; ma questo non deve essere troppo pesante, perché se è pesante non cammini. Deve essere leggero e contenere le cose giuste, le cose essenziali. Riesci a viaggiare, a stare suoi confini – come la vedetta di Isaia – ad attraversarli solo se ti senti dentro una storia; sei forte per quello.

Se riusciamo a dire ai giovani, non in maniera moralistica, che il futuro che hanno davanti è già presente e che è stata disegnato anche prima facciamo un importante passo avanti sul piano educativo e culturale. Per raggiungere questo obiettivo strategico serve una progettualità culturale fresca capace di coinvolgere i ragazzi. Non so chi la debba avere se la politica o l’associazionismo. Anche in questa prospettiva gli anziani sono una risorsa importante perché possono aiutare giovani a leggere il tempo in cui vivono. Una persona anziana dovrebbe aiutare i ragazzi a guardare al futuro, ad intrepretare la realtà con la consapevolezza di quello che si ha, delle cose essenziali che ognuno ha nel suo zaino. Gli anziani devono aiutare i giovani ad essere coraggiosi, a resistere quando è il tempo della resistenza, della resilienza perché la vita non è una passeggiata; devono aiutarli a capire che nulla nella vita ti è regalato ma che te lo devi costruire con la tua competenza, con le tue relazioni. Servono luoghi in cui dire queste cose, servono contaminazioni tra giovani ed anziani.  

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