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Una delle cause fondamentali degli squilibri dell’attuale sistema socioeconomico sta nell’incapacità degli esperti e dei politici di adottare un approccio “a tre dimensioni” che tenga contemporaneamente conto dell’ “asse materiale” (creazione di valore economico), di quello “ambientale” e di quello della soddisfazione di vita dei cittadini.

Tra i tanti paradossi generati da questa miopia osserviamo paesi sviluppati nei quali crescono i consumi di antidepressivi e il consumo di droghe, paesi emergenti i cui centri urbani fanno segnare i più alti tassi di inquinamento, permanenza di quota consistente di “ultimi” emarginati dai processi di inclusione economica e sociale.
 
L’inversione della scala dei valori e i riduzionismi
 
Alla radice di questi paradossi sta un’inversione nella scala di valori e una visione “riduzionista” della persona e dell’impresa.
Troppo spesso la logica della creazione di valore per gli azionisti (un bene che non può essere in cima alla scala dei valori) viene perseguita come scopo ultimo dell’attività socioeconomica sotto il postulato indimostrabile che attraverso essa è possibile automaticamente incidere in maniera positiva anche su tutti gli altri valori che ad esso dovrebbero essere sopraordinati (in ordine di importanza crescente benessere dei consumatori, creazione di valore economico, benessere sociale, aumento delle capacità e delle funzionalità, bene comune).
L’identità della persona deriva dal suo essere individuo originale e distinto ma, in maniera decisiva, anche dal nostro essere nesso di relazioni. La semplificazione dell’uomo economico ne sottolinea invece soltanto l’aspetto di autointeresse “miope”, incapace cioè di valutare le conseguenze positive di un comportamento che promuove il bene altrui oltre che il proprio, o addirittura il bene proprio attraverso quello altrui. In questo sguardo sull’uomo, avvilente e che avvilisce, mancano completamente le dimensioni della passione per l’altro, della gratuità e del dovere morale.
Dal riduzionismo sulla persona discende direttamente quello sul modello di impresa. Se l’individuo è soltanto autointeresse “miope” non può non fare impresa se non per l’obiettivo di massimizzare il profitto e l’utilità personale che da esso può derivare. In questo modo si ignora il fatto che, come testimonia la varietà delle forme giuridiche ed organizzative, molte attività economiche non sono concepite per perseguire quest’unico obiettivo, ma per creare valore sociale assieme al valore economico.
 
Gli studi sulla soddisfazione di vita
 
L’inversione nella scala dei valori e riduzionismo non possono che generare infelicità.
Gli studi sulla soddisfazione di vita confermano infatti in maniera sempre più dettagliata e rigorosa che la fioritura personale dipende (assieme alla disponibilità economica) dal successo delle relazioni affettive familiari, dalla capacità di partecipazione e dall’impegno sociale, dalla qualità della propria vita spirituale, dalla prospettiva di un lavoro stabile e gratificante, dalla qualità della salute.
Le società ricche però, accanto alla crescita economica, non sembrano essere in grado di garantire progressi significativi relativamente a questi beni, generando in molti casi meccanismi che ne determinano il depauperamento.
 
I guasti di un approccio non tridimensionale
 
L’interdipendenza e la complessità dei problemi generati da queste distorsioni non consentono approcci unilaterali e richiedono un’integrazione culturale sempre maggiore per andare oltre la Babele dei saperi settoriali specializzati.
Non ha senso
–         risolvere il problema della povertà materiale distruggendo l’ambiente e/o disgregando il tessuto sociale
–         risolvere il problema ambientale rinunciando all’impegno nella lotta alla povertà e alla necessità di creare valore economico per far fronte alle esigenze di finanziamento dei beni pubblici, alla necessità di pagare il debito e a quella di creare opportunità occupazionali per una popolazione crescente.
 
La soluzione dunque è quella del perseguimento dell’obiettivo della “felicità sostenibile”. Per perseguimento della felicità sostenibile intendiamo iniziative in grado di massimizzare quei beni (economici e non sopra descritti) che determinano la fioritura della vita individuale. L’aggettivo sostenibile sta a ricordare che nel massimizzare ciò che genera soddisfazione di vita dobbiamo muoverci entro i vincoli imposti dalla sostenibilità ambientale e da quella economica e finanziaria. Si tratta di rovesciare l’approccio: non l’uomo al servizio di un sistema che sacrifica al suo altare quei beni che possono renderlo felice, ma un sistema di creazione di valore economico e sociale che generi quelle risorse necessarie per massimizzare la disponibilità dei beni che fanno la soddisfazione di vita.
 
Le opportunità di fronte a noi
 
Tutti gli attori del sistema, a seconda dei loro ruoli e caratteristiche, possono concorrere al passaggio dall’”infelicità insostenibile” alla “felicità sostenibile”.
Le istituzioni nazionali ed internazionali promuovendo leggi e regolamenti che rispettino la corretta gerarchia di valori e indirizzino l’enorme potenziale dei sistema socioeconomico dell’era digitale nella direzione del bene della persona.
La fantasia degli imprenditori e la loro capacità di inventare nuove forme d’impresa (o di modificare quelle esistenti) al fine di generare contemporaneamente valore economico e valore sociale. Riuscendo in questo modo ad aumentare anche motivazioni intrinseche e fidelizzazione dei lavoratori all’attività dell’impresa stessa.
Il ruolo più importante in questo contesto però è proprio quello dei cittadini. Lungi dallo sgomentarci per la presenza di problemi più grandi di noi, dobbiamo sempre più renderci conto di essere il centro del sistema economico. La sopravvivenza e la prosperità delle imprese dipende infatti dalle nostre scelte di consumo e di risparmio, ovvero dal nostro “voto con il portafoglio”. Scegliendo prodotti e servizi non solo sulla base di qualità e prezzo, ma anche del valore sociale dell’impresa, consumatori e risparmiatori responsabili aumentano il grado di partecipazione e democrazia del sistema economico, creano incentivi affinché le imprese si prendano maggiormente carico delle loro responsabilità sociali e stimolano le istituzioni alla ricerca di nuove soluzioni legali e regolamentari per promuovere la felicità sostenibile. In questo senso appare fondamentale chiarire come l’azione dal basso non va concepita come un sostituto ma come un complemento e un supporto alla ricerca di nuove regole per la società globale.
Il cammino in questa direzione è già intrapreso. Esperienze come il microcredito, il commercio equo e solidale, i fondi etici d’investimento e le banche etiche che un tempo apparivano di nicchia stanno crescendo e conquistando importanti fette di mercato. Contagiando il resto del sistema e spingendo i competitori che massimizzano il profitto a concorrere anche sulla dimensione della responsabilità sociale. Confutando nei fatti, attraverso la loro scelta strategica e il sempre maggior numero di cittadini che consuma e risparmia in maniera responsabile, i riduzionismi nella concezione di persona e d’impresa.
La posta in gioco è molto alta. Si tratta di portare avanti un percorso che superi la dicotomia tra la legge della necessità economica che genera valore (economico) a costo di effetti collaterali negativi dal punto di vista sociale ed ambientale e il mondo ricco di senso ma residuale della filantropia e della solidarietà. Poiché il primo momento impegna una parte fondamentale e preponderante della nostra vita un modello siffatto non può non aumentare il rischio di frustrazione ed infelicità.
Sta all’azione dei cittadini, dei politici e degli imprenditori di buona volontà noi rendere sempre più concreti ed efficaci i segni del nuovo che avanza.
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