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rn“I giovani (e i conti) che non tornano” è il titolo del seminario promosso dalla Fondazione Achille Grandi per il Bene Comune e Svimez – Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno in occasione del Festival dell’economia di Trento dedicato quest’anno al tema: CICLI DI VITA E RAPPORTI TRA GENERAZIONI. Al centro del dibattito, temi come le nuove mobilità Sud-Nord, il cosiddetto “tsunami demografico” che ha interessato molti giovani italiani negli ultimi anni; l’assenza di ricambio generazionale e la marginalità socio-economica dei giovani.

Su queste premesse all’interno del dibattito, ci si è interrogati su come porre le basi per una crescita sostenibile in una società più equa, partendo dal presupposto che quella attuale è una crisi di tipo morale dovuta a una globale e diffusa perdita di senso della realtà e al disprezzo del bene comune.
I protagonisti del dibattito sono stati Enrico Giovannini Presidente dell’Istat, Leonardo Becchetti direttore di Benecomune.net, Luca Bianchi vicedirettore di Svimez, Francesco Delzio, Manager e scrittore, Michele Rizzi Presidente della Fondazione Achille Grandi per il Bene Comune, Alessandro Rosina demografo dell’Università Cattolica e redattore di Benecomune.net. e il giornalista Sergio Nava che ha coordinato i lavori.

Il presidente dell’ISTAT Enrico Giovannini nel suo messaggio introduttivo ha sottolineato come a seguito delle politiche degli ultimi anni, il lavoro dei genitori sia stato tutelato meglio di quello dei loro figli. Per questo serve, ha proseguito Giovannini, un “nuovo modello di sviluppo” per sciogliere il nodo intergenerazionale e favorire la partecipazione dei giovani alla gestione delle imprese e della cosa pubblica. È necessario introdurre dei nuovi indicatori a livello statistico per aiutare la politica europea ad agire nel migliore dei modi, per “abbattere la sensazione di vulnerabilità che attanaglia la società” e che porta la generazione dei genitori a soffocare più che a proteggere la potenzialità dei propri figli.
L’incontro, che ha visto la partecipazione di molti giovani, è stato arricchito anche da un momento di confronto con loro: nel suo intervento Michele Rizzi ha coinvolto un gruppo di ragazzi presenti in platea ricordando come il vero focolaio della crisi sia stata l’avidità e la perdita di senso di responsabilità nei confronti delle generazioni future. Ricostruendo le vicende politico-economiche che portarono alla crescita smodata del debito italiano a seguito della crisi dei tardi anni Settanta, il presidente della Fondazione Achille Grandi delle Acli ha ricordato come il debito possa rivelarsi un’occasione di rinascita se gestito con il giusto spirito di collaborazione generazionale: sono però necessarie nuove regole contro gli eccessi e la speculazione. Alessandro Rosina, lanciando la provocazione dei “bamboccioni, mammoni e sfigati”, epiteti con cui i giovani spesso sono stigmatizzati, ha voluto sottolineare come la categoria dei giovani oggi sia poco conosciuta, perché analizzata con strumenti statistici poco adatti che non distinguono le varie forme di disoccupazione e
che includono i cervelli in fuga nel dato complessivo dell’emigrazione. Questi ultimi infatti, “non sempre emigrano a causa del precariato, ma alla ricerca di strumenti migliori per fare al meglio il proprio lavoro”. Il compito della politica dovrebbe essere quello di sviluppare questi strumenti anche in Italia, purché si conosca il potenziale dei propri giovani e che la regolamentazione venga pianificata sul lungo periodo.
Luca Bianchi, vicedirettore SVIMEZ ha approfondito la situazione dei giovani al Sud, ricordando come molti dei fenomeni derubricati sotto la voce ‘mezzogiorno’ siano in realtà questioni di portata nazionale visti i dati della disoccupazione giovanile fra gli under 35 simili fra Nord e Sud Italia. “Il Sud è sempre più spopolato, a rischio tsunami demografico. Crescono gli anziani, gli uomini fuggono, e le donne non fanno figli. Serve invece un patto sociale Sud-Nord centrato sulle politiche per l’inserimento di giovani qualificati che permetta di arginare l’onda “anziana” e far ripartire la crescita”. In base a stime SVIMEZ il Sud perderà nel 2051 oltre 2milioni e 300mila giovani under 29, che cresceranno invece al Centro-Nord di 818mila unità. Segno negativo anche per la classe di età compresa tra i 30 e i 74 anni: meno 2 milioni e 600mila al Sud, più del doppio del Centro-Nord (meno 1 milione 300mila). A svettare sono gli over75: cresceranno di 5 milioni 400mila nel Centro-Nord, e di 2 milioni 600mila al Sud. Secondo Bianchi “la sistematica esclusione delle nuove generazioni dai processi di sviluppo, soprattutto al Sud, è la vera emergenza attuale che rischia di innescare uno “tsunami” demografico e un progressivo invecchiamento della popolazione”. Secondo l’economista “le chance di ripresa della crescita sono legate ad un nuovo patto sociale tra Sud e Nord che ponga al centro le politiche per l’inserimento di giovani qualificati nei processi produttivi”.
Francesco Delzio, ideatore tra l’altro anche del blog “generazione tuareg” ha delineato alcune possibili soluzioni di rinascita: in primis, rendere “conveniente per l’imprenditore” il lavoro indeterminato dei dipendenti, ad esempio attraverso forti sgravi fiscali nel primo periodo di assunzione. In secondo luogo lo Stato dovrebbe assecondare la voglia di intraprendere che caratterizza molti giovani italiani: nel nostro Paese infatti c’è “una moltitudine di ragazzi che
provano a creare aziende nel deserto, molto più che all’estero”, scontrandosi poi con la scarsa fiducia delle banche.
A concludere i lavori, Leonardo Becchetti che ha sottolineato come l’interazione fra gli stati europei dovrebbe assomigliare a quella fra gli stati federati degli USA, ed essere basata su “fiducia, dono, sussidiarietà e reciprocità”, temi cari alla Dottrina Sociale della Chiesa. “Bisogna prima di tutto recuperare i 50 altri spread tra Italia e Germania: digitalizzazione, occupazione, burocrazia, giustizia civile” ha affermato il professore, da affiancare contestualmente a una forte riforma della finanza, poiché “salvare le banche senza imporre nuove regole è stato sicuramente un grave errore”. La soluzione è ancora una volta quella politica, e inizia da quello che Becchetti ha definito voto col portafoglio: “Qual è il sistema di credito che vogliamo? La scelta è solo di noi elettori: siamo chiamati a scegliere tra la cultura della scommessa e quella della responsabilità, ed è quest’ultima l’unico modo per ritrovare una nuova speranza”.

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