Per tamponare l’emergenza del carovita, la manovra fiscale del Ministro Tremonti ha puntato all’alleggerimento fiscale con la cancellazione dell’Ici sulla prima casa, la detassazione degli straordinari e la rinegoziazione dei mutui a tasso variabile. Ma ciò che serve al Paese per risalire la china e uscire dalla stagnazione economica, è una strategia di lungo periodo in grado di rimettere in moto l’economia e accrescere competitività, produttività e qualità. In tale senso va la proposta di un altro Ministro, il professor Renato Brunetta, che dopo aver avviato il piano trasparenza per “stanare e licenziare i fannulloni” della Pubblica Amministrazione, adesso lancia la proposta di un federalismo contrattuale per il pubblico impiego, che vada di pari passo con quello fiscale. In altre parole, spetterebbe al livello nazionale decidere gli orientamenti generali, dopodiché ciascun livello di governo potrà stabilire i propri contratti utilizzando il parametro della meritocrazia e della qualità dei risultati raggiunti. Nelle intenzioni, la proposta del Ministro è coerente con l’attuazione del federalismo fiscale, in base al quale la ricchezza deve rimanere nel territorio che l’ha prodotta. Nei fatti, è altamente probabile che il divario regionale già esistente, si accentui ancora di più. La tenuta di un simile modello contrattuale è, infatti, possibile solo attraverso una concreta applicazione del principio di sussidiarietà in chiave regionalista che in Italia stenta a decollare. Il federalismo contrattuale da solo non è sufficiente a ridare slancio economico al nostro Paese; le Amministrazioni Pubbliche regionali e locali, devono dapprima essere dotate di strumenti per intervenire programmaticamente con politiche infrastrutturali, politiche sociali e culturali, politiche di sostegno e di stimolo alle attività economiche. In tal senso, l’approccio bottom-up per la programmazione degli interventi territoriali, appare l’unico in grado di rispondere alle sfide economiche imposte alle imprese e ai cittadini dalla globalizzazione dell’economia. Il paradosso per cui la globalizzazione dei flussi economici crea il bisogno di interventi per lo sviluppo da parte degli enti territoriali subnazionali è solo apparente. La globalizzazione dell’economia ha, infatti, tolto agli Stati nazionali la possibilità di mantenere, entro proprie frontiere, decisioni che in passato definivano il programma economico di ogni governo e sulle quali detenevano il controllo. Si tratta delle decisioni sui flussi e sul costo del capitale; sulla determinazione dei tassi d’interesse e dei livelli d’inflazione; sulla scelta di investimenti nei settori di base come l’energia, e sulla possibilità di mantenere attività basate su monopoli pubblici in settori quali i trasporti, le telecomunicazioni, la chimica e la ricerca di base. Al tempo stesso, le nuove regole comunitarie sulla concorrenza e l’accresciuta necessità di mantenersi competitivi al di fuori dei confini nazionali, ha rafforzato le potenzialità dei sistemi locali. Gli enti territoriali dovrebbero diventare, in questo nuovo sistema, veri “imprenditori istituzionali”, in grado di aiutare e sostenere il continuo adeguamento dei sistemi produttivi alle esigenze dei mercati locali e internazionali. È, dunque, indispensabile che sui temi della competitività e della produttività, le Regioni, gli enti locali ed alcune autonomie funzionali, divengano il punto di riferimento nella creazione di una forma di pluralismo istituzionale, espressione vera della nuova sovranità politica.
Federalismo contrattuale: preludio all’autonomia regionale
Nel mese di luglio le temperature sono decisamente alte e superiori alla media stagionale; così come lo sono i temi con il quale il Governo si sta confrontando nell’ultimo periodo: il prezzo del petrolio alle stelle, l’aumento del prezzo di materie prime e generi alimentari di prima necessità, la grave crisi congiunturale che ne deriva.
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