In un mondo sempre più competitivo occorrono investimenti in innovazione sia sul piano della formazione umana, che sul piano delle infrastrutture tecnologiche per essere più produttivi. Investire in Ricerca, Sviluppo e Istruzione permette di far avanzare la frontiera tecnologica di una nazione, insieme alle competenze dei lavoratori generando così benefici sistemici.

Se proviamo a scomporre l’indicatore del Prodotto interno lordo pro-capite possiamo agilmente notare come tale rapporto si fondi su tre grandi blocchi che ne determinano il suo andamento nel medio e lungo periodo in una direzione piuttosto che in un’altra: i fattori demografici, il tasso di partecipazione al lavoro e la produttività.
Ciò significa che se volessimo prevedere l’evoluzione futura di tale indicatore per Paesi con simili caratteristiche demografiche e tassi di partecipazione al lavoro, come ad esempio sono i paesi che costituiscono l’area dell’euro, la differenza sostanziale sarebbe generata dalla variabie produttività.
Secondo l’ultimo rapporto sul mercato del lavoro del CNEL, ad esempio, nel decennio 1970-1979 la produttività nel settore manifatturiero era cresciuto in Italia in media del 6,5%, meglio di Olanda, Francia e Germania. Nel decennio 1980-1989 l’Italia ha dimezzato tale valore al 3,2% collocandosi in coda rispetto a Francia, Olanda e Spagna. Nel decennio 1990-1999 la produttività nell’industria è cresciuta in media del 2,6% sorpassando la Spagna ma rimanendo in coda rispetto a Francia, Olanda e Germania. Infine nell’ultimo decennio il valore si è fermato in un misero 0,4% relegandoci all’ultimo posto della classifica europea.
Ma cosa significa essere più produttivi? Non esclusivamente fare di più (p.e. incrementare il numero di ore di lavoro per occupato) ma anche e sopratutto investire in ricerca e sviluppo generando così innovazioni organizzative di processo e di prodotto che siano in grado di far lavorare meglio i lavoratori aumentando allo stesso tempo gli utili delle imprese. Fare innovazione significa in ultima analisis avanzare nella ricerca scientifica, facendo così avanzare la frontiera tecnologica di un Paese, generando oltre che nuovi prodotti, nuove tecniche di produzione.
Investire in innovazione a livello micro si traduce in maggiori risorse destinate alla ricerca e allo sviluppo nelle imprese, a livello macro si traduce specialmente ma non esclusivamente in una maggiore e/o migliore ottimizzazione delle risorse destinate al Sistema educativo nazionale (dai primi anni di formazione fino all’Università).
Come segnala l’OCSE, la recente crisi economica ha costretto le imprese e particolarmente i Governi dell’Est e del Sud dell’Europa (tra cui figura l’Italia) a ridurre le partite economiche da destinare alla ricerca e allo sviluppo. E così mentre le economie asiatiche come Cina e India durante la crisi hanno aumentato tali investimenti nell’ordine del 20-30%, insieme all’evidente fattore demografico che presentano, è facile immaginare in che direzione (verso l’alto o verso il basso) si muoverà nei differenti paesi il PIB pro-capite durante i prossimi 10 anni.
Lo stesso presidente dell’OCSE Angel Gurría in visita a Roma a fine settembre non ha mancato di sottolineare come la decisa attuazione delle riforme in corso in Italia sia cruciale per il nostro Paese e per tutta l’Europa. Riforme che vanno nel senso del rafforzamento della competitività incrementando, i livelli di produttività, correlando i salari a tali incrementi e alleggerendo la pressione fiscale sopratutto sui redditi da lavoro.
La Germania, ad esempio, dal 1997 al 2011 rispetto all’Eurozona ha aumentato le proprie esportazioni di circa un 30% diminuendo la prorpia domanda interna di un 15% grazie ad una forte politica di deflazione salariale adottata dopo l’introduzione dell’euro, ma sopratutto grazie alla capacità di introdurre sul mercato prodotti innovativi capaci di competere sui mercati internazionali intra-UEM ed extra-UEM.
Questo non è però l’unico cammino in quanto, come ricordato precedentemente, lo stimolo alla produttività nel nostro Paese oltre che dalle imprese può arrivare anche dalla pubblica amministrazione con l’introduzione di una solida ed efficace agenda digitale.
La Commissione Europea, ad esempio, ha recentemente presentato la nuova strategia della “nuvola informatica” (cloud computing) per imprese e pubblica amministrazione che si propone di sfruttare al meglio il potenziale di tale tecnologia in Europa realizzando entro il 2020 un guadagno netto di 2,5 milioni di nuovi posti di lavoro insieme ad un aumento del PIL dell’Unione europea pari a 160 miliardi (un 1% circa).
Il tutto grazie all’interoperabilità, reversibilità e portabilità dei dati che oltre alle infrastrutture adeguate ha bisogno fondamentalmente di cittadini che siano in grado di saperle utilizzare.
Investimenti in innovazione e formazione, attraverso queste due parole dunque il concetto di produttività non è più soltanto sinonimo di riduzioni salariali e di sacrifici economici per i lavoratori, ma è sopratutto la capacità di fare meglio in termini di formazione di capitale umano e di infrastrutture tecnologiche adeguate ad un mondo nuovo e più competitivo.

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