Il regno inerme – come lo aveva definito Giuseppe De Rita in una pubblicazione del 2002 – si è “polverizzato”. Di più si è sfaldato, anzi sfarinato. Stiamo parlando del sistema paese e ci stiamo riferendo alla immagine che di esso offre il XLI Rapporto sulla situazione sociale del paese del Censis.

Gli studiosi di scienze sociali se ne sono accorti da un pezzo e uno dei segni più evidenti è il riflesso sulle istituzioni di tale processo di deterioramento del capitale civile e sociale.
Ma i ricercatori del Censis ci mettono su un bel carico da undici, provocando come è loro abitudine, ma anche costringendoci ad approfondire, a discutere e ad andare oltre la semplice registrazione dello status quo.
Pare anche a noi di percepire una sconcertante frammentazione sociale che vede le singole persone incapaci di orientarsi e di individuare una sintesi convincente tra il proprio privato e la propria idea di pubblico. Le scelte personali, soprattutto dei più giovani, sono sempre più assillate da sistemi di vincoli (non solo di bilancio) che le rendono spesso difficili e “drammatiche” (stiamo esagerando?)
 
L’esplosione di violenza individuale e di gruppo rivela spesso l’incapacità sociale di gestire conflitti all’interno di percorsi educativi e formativi, troppo preoccupati di fornire abilità utili al contingente piuttosto che offrire criteri e visioni ispirate ad uno stile più tipico di dialogo intergenerazionale e di “tradizione culturale”.
“Una disarmante esperienza del peggio” è la sensazione generale che, in termini sintetici, caratterizza la lettura fatta dal Rapporto, che viene fuori dalla composizione sia di una fenomenologia di sprechi, ritardi, disservizi e disfunzioni che riguardano sia la pubblica amministrazione quanto il mondo produttivo e le “caste” annidate in entrambi gli ambiti sia di una sempre più accentuata propensione alla ricerca della rendita individuale difesa con protervia e volgarità, addirittura ostentata e assunta come modello da media.
 
Ma ci sono anche molti “segni” di speranza rappresentati da quelle aree e da quelle categorie di soggetti organizzati che stanno investendo le proprie risorse in percorsi di cambiamento.
Si tratta di minoranze, proprio di quelle realtà “profetiche” – come le ha denominate Stefano Zamagni – che stanno scommettendo in innovazione: nella ricerca scientifica, nella riqualificazione dei territorio e delle economie locali, nelle realtà associative e cooperative e in tutti quei corpi intermedi che stanno disegnando nuove forme di partecipazione impegnata nella ricerca di una nuova coesione sociale, coinvolta e “immersa” nella ricerca del “bene comune”.
Se da un lato ci sentiamo impegnati ad articolare ed approfondire sempre più le evidenze empiriche rappresentate dal Censis per limitarci ad interpretazioni o sintesi pessimistiche, dall’altro lato certamente ci sentiamo “arruolati” tra quelle “minoranze attive” che stanno offrendo un contributo a quanti oggi nel nostro Paese stanno assumendo con consapevolezza di essere quel lievito evangelico che deve “concorrere a costruire la casa comune secondo giustizia, eguaglianza, libertà, rispetto della dignità dell’uomo e di ogni uomo (Giuseppe Della Torre in  Conclusione della 45° Settimana Sociale dei Cattolici Italiani)”.
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