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Una ragazzina di quindici anni si accorge dello sconforto del padre. L’uomo sta per impiccarsi e anzi lo fa. La ragazza irrompe nella stanza e, gridando aiuto, lo sorregge per le gambe, impedendogli di soffocare. L’uomo si salverà. Questo è accaduto pochi giorni fa. In Italia. L’icona della ragazzina che sorregge il padre impiccato è l’icona di questo tempo. Adulti fragili e adolescenti che gridano aiuto. Immagine drammatica? Forse. Le statistiche ci diranno se in questo fatale 2012, l’anno della recessione, i suicidi per cause economiche sono aumentati oppure no.

In realtà il rapporto tra la crisi e i suicidi è un tema delicato. E forse strumentalizzato. Troppa enfasi: il suicidio è un comportamento che suscita imitazione e i media dovrebbero trattarlo in modo diverso. La dittatura dell’audience e la vorace e perversa morbosità del pubblico spettacolarizzano ed enfatizzano storie che vanno raccontate in modo più riflettuto. E qualcuno ne sta approfittando per incrementare l’ira sociale, magari individuando ad hoc mostri in Equitalia o in qualche altra istituzione. Ma questo sembra essere un prezzo inevitabile dei tempi postmoderni che stiamo vivendo. E’ necessario perciò fare alcune riflessioni. Cosa c’è dietro il suicidio di imprenditori falliti o quasi o di lavoratori privati di risorse e lavoro? Molti pensano alla crisi. Ma cosa c’è tra la crisi e il suicidio? Qual è l’intermediario che genera un comportamento autosoppressivo? Tra la crisi e i suicidi c’è la sofferenza di una persona, il senso di impotenza, la perdita della speranza, l’incapacità o l’impossibilità di chiedere aiuto, in altre parole la depressione. Non c’è dubbio che eventi negativi, legati alla perdita del lavoro o al fallimento economico, possano indurre depressione. E in fondo l’OMS ci ha avvertito: nel 2020 la depressione sarà la seconda causa di invalidità e di decesso nel mondo e porterà con sé un carico spaventoso di conseguenze. La crisi non sta facendo altro che accelerare qualcosa che sta già avvenendo: l’umanità è più depressa. Forse perché la postmodernità tecno liquida ci immerge in connessioni continue, ma ci fa sempre più soli? Forse perché l’eccesso di individualismo, sostenuto da un narcisismo auto referenziato senza pari, sta facendo saltare la solidarietà e la vicinanza fra le persone? Forse perché una competizione esasperata non può che accentuare le debolezze individuali? Forse perché una eccessiva velocità rende tutto troppo superficiale? Ecco, siamo chiamati ad una riflessione attenta, che può essere riassunta così: che società stiamo decostruendo e ricostruendo in tempo di crisi? Una proposta: forse dovremmo riscoprire l’armonico ritmo dei più deboli, come autentico fondamento di una società nuova.

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