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Non vi capita mai di avvertire uno strano senso di estraneità rispetto ai dibattiti pubblici contemporanei? Non vi capita mai, vedendo Ballarò o Anno Zero o Porta a porta, di percepire qualcosa d’irreale in tutti i discorsi che vengono sviluppati in questi salotti televisivi? Io vi confesso che questa sensazione di estraneità la sento da quando ho memoria di me stesso.

Ricordo molto bene quando già a dieci anni ascoltavo con grande interesse e grandi aspettative Moro o Paietta, Gronchi o Segni, e poi successivamente Berlinguer e Craxi e De Mita e Almirante, e ogni volta cresceva dentro di me una delusione profonda, mi pareva che parlassero di cose pur importanti, ma inessenziali, e per di più in modo inefficace, stantio, noioso. Ho sempre percepito che il discorso politico tocca veramente questioni radicali, ma al contempo mi pareva che i politici che mi venivano presentati non fossero all’altezza del loro compito.

Ho impiegato almeno una ventina d’anni per mettere a fuoco, e per interpretare questo senso di estraneità, per comprendere cioè la sua ragione più profonda: il reale e progressivo scollamento che è in atto tra i processi psico-storici in cui siamo coinvolti, e cioè le enormi trasformazioni della nostra stessa essenza umana, e la persistente rappresentazione pubblica che domina in questo mondo.

La politica insomma, insieme alla stragrande maggioranza della cultura dominante, dà una rappresentazione sempre più irreale, parziale, angusta, ed insoddisfacente dell’attuale fase storica che stiamo vivendo.
E ciò in verità da tempo…
La nostra anima perciò sta attraversando un travaglio spaventoso senza che ci sia una cultura, e tantomeno una politica, che la aiuti a comprenderlo e a viverlo in modo positivo.

Stiamo attraversando e sopportando un rivolgimento di portata antropologica letteralmente senza parole. Le cose stanno scavalcando i loro nomi, come direbbe Mario Luzi.
E noi ci distraiamo con le beghe tra Fini e Berlusconi, e dedichiamo decine di pagine al confronto davvero epocale tra Saviano e Maroni…

Questo scollamento lacerante tra anima e mondo, tra corpi e politica, tra dolore del parto e cultura dell’intrattenimento sempre più “leggero”, credo però che stia per giungere ad un punto di collasso. Credo cioè che stiamo per toccare una soglia che renderà impossibile un ulteriore passo verso l’alienazione da sé e dal travaglio in corso.
Non sappiamo quali eventi potrebbero costringerci a farla finita di mascherare la realtà, ma è probabile che, essendo il nostro mondo dominato dalle leggi dell’economia e del profitto, sarà su quel piano che incontrerà il proprio mercoledì delle ceneri, il quale, come sappiamo, è un ottimo giorno, il giorno più propizio per ricominciare, per prendere una nuova direzione di vita.

Gli studi più recenti ci dicono che il picco mondiale di produzione del petrolio, dopo il quale il suo prezzo e quindi il prezzo dell’energia potrebbe crescere a ritmi praticamente insostenibili, è stato forse già raggiunto, o lo sarà al massimo entro il 2020. I giacimenti del Mare del Nord d’altronde hanno già raggiunto il picco nel 2000, e il Messico lo sta raggiungendo, seguito a breve dalla Russia.
Tutto ciò accade mentre la Cina e l’India reclamano energia a fiumi per sostenere il loro sviluppo vertiginoso.

L’era del petrolio sta dunque tramontando proprio nel momento in cui la richiesta di energia diventa fondamentale e pressante per favorire il progresso di miliardi di persone che vivono a livelli incomparabili rispetto a quelli dell’area occidentale del pianeta.
Gli squilibri geopolitici e bellici, che derivano da tale paradosso, li stiamo già vedendo, ma il 2015, il 2020 o il 2025 potrebbero essere vere e proprie soglie di non facile né indolore riassestamento planetario.

Senza dimenticare poi gli avvertimenti della statunitense NAS (National Academy of Science) che ci ricorda che questo fortissimo incremento dei consumi energetici potrebbe portare ad un cambiamento climatico improvviso, che potrebbe a sua volta modificare il clima terrestre per millenni: “Sulla base delle conclusioni tratte dall’esame dei dati paleoclimatici è possibile che il previsto cambiamento si verifichi non attraverso una graduale evoluzione, proporzionale alla concentrazione dei gas serra, ma con un cambiamento improvviso e durevole del regime, che influenzerebbe aree di dimensioni regionali o subcontinentali”. (Abrupt Climate Change: Inevitable Surprises, Washington 2002)

La tempesta perfetta potrebbe dunque sprigionarsi dalla confluenza e dall’interazione abbastanza rapida tra aumento dei prezzi dell’energia, accelerazione dei mutamenti climatici, e conflitti conseguenti.
Sarà questa l’unica via per tornare a pensare con tutta l’anima e con tutto il corpo, come voleva Rimbaud? E a progettare la vita politica del pianeta tenendo presente la globalità di ciò che sta avvenendo?
Sarà questa la porta stretta per avviare finalmente un’era nuova, per uscire dalla fase depressiva della trasformazione, per inaugurare una cultura all’altezza dei tempi, e una politica davvero planetaria?
Speriamo che le cose possano essere il più graduali e il meno dolorose possibile.

Ma intanto che fare? Forse l’unica cosa realistica da fare consiste nel lavorare come se fossimo già dopo la fine, come se la cata-strophé, e cioè il rivolgimento fosse già avvenuto, come se stessimo già ricostruendo un mondo ricomposto, più integrato, meno folle.

Forse è tempo ormai di partire ogni giorno dalla fine per porci al servizio del nuovo inizio.
Questo punto di vista mi ha sempre preservato dalla disperazione.
Non c’è bisogno insomma di aspettare la fine “materiale” e “visibile” di questo mondo, avvilendoci nel suo lunghissimo sfinimento. Ognuno di noi può già da ora tentare di vivere a partire dalla sua fine, e cioè dalla negazione di tutti gli inganni e di tutte le mistificazioni su cui è costruito.
Ma poi in definitiva l’annuncio cristiano non è proprio questo?
“Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino. Convertitevi e credete a questa bella notizia” (Marco 1,15).

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