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Intervista a Markus Krienke.
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rnMolto hanno fatto discutere i dati recenti del Rapporto Eurispes 2013. L’erosione degli orientamenti etici nella nostra società sembra procedere con una celerità infrenabile. Questi dati significano innanzitutto che ci troviamo in un momento di cambiamenti epocali per quanto riguarda le nostre certezze morali sui fondamenti della vita umana e della nostra convivenza. Segnano gli effetti della secolarizzazione, cioè che la visione “intuitiva” che la società ha nei confronti dei propri presupposti morali non è più determinata dal cristianesimo. E così pare ad alcuni che se gli orientamenti etici non sono più definiti “dall’alto” di un’autorità socialmente riconosciuta, l’individuo sceglierebbe secondo le possibilità tecniche, non secondo canoni morali. E nel concreto, le cercherebbe anche di realizzare, fin dove le sue possibilità economiche glielo permettono. Anche nelle scelte morali, l’individuo si comporterebbe sempre di più come “consumatore” che cerca di ottenere i massimi vantaggi materiali in rapporto alle risorse che ha a disposizione.

La secolarizzazione ha portato al liberalismo che ora è responsabile allo “smarrimento etico”?
In questo corto circuito culturale sta l’intera problematicità, a mio avviso, dell’attuale discussione. Il liberalismo anzitutto non è il prodotto della secolarizzazione ma dello stesso cristianesimo. Come i primi cristiani non accettarono che lo Stato prendesse il posto della loro coscienza, con la quale rivendicarono di essere soli, come individui, davanti a Dio, così anche nella modernità i diritti individualliberali sono stati difesi come un ideale morale cristiano. Uguaglianza e dignità morale della persona sono difatti quei due valori che hanno prodotto, dopo un millennio e mezzo, una nuova cultura politica e sociale, il liberalismo. Se questo è vero, allora in parte la secolarizzazione è un risultato dello stesso cristianesimo: nessuno Stato, e in fin dei conti nemmeno la Chiesa, può sostituire il valore della singola persona nelle sue decisioni morali. Per affermarlo, non bisogna tornare agli scritti dei cristiani nei primi secoli: basta ripartire dalle fonti ispiratori della modernità liberale come Kant e Rosmini, Sturzo e Röpke. Queste idee sono state riprese poi, dopo la guerra, dai politici dei partiti del centrodestra cristiano come De Gasperi ed Adenauer, per rifondare non solo politicamente ma anche moralmente i loro paesi e non solo: anche l’Europa in quanto tale.

Non è questa una prospettiva un po’ ottimistica del liberalismo?
Infatti, bisogna differenziare attentamente di quale liberalismo si parli per non essere fraintesi. Nella tradizione dei grandi cristiani liberali, e pensiamo solo a quelli appena evocati, il liberalismo non era mai privo di valori, anzi per loro esso poteva realizzarsi in politica come nell’economia in maniera umana soltanto se si basava sull’idea della dignità umana. Quest’ultima era per loro la formulazione laica di ciò che la tradizione cristiana ha sempre riconosciuto come l’istanza della libertà e responsabilità morale, ossia l’uomo come immagine di Dio. Su questa base loro distinguevano un “liberalismo vero” da un “liberalismo falso”: quest’ultimo priva davvero l’uomo dalle sue risorse morali, perché lo concepisce radicalmente come individuo, lasciato completamente a se stesso, senza riferimento a Dio e agli altri. Come numero statistico all’interno della società di massa egli si trova esposto senza protezione alle dinamiche della tecnologia e del consumismo. Questa massificazione, così i cristiani liberali, sarebbe assolutamente da evitare in quanto diventerebbe la terra fertile per forme di paternalismo di Stato o di “tirannia della maggioranza” come analizzava Tocqueville.

I dati Euristat rispecchiano un simile pericolo?

Ciò dipende dal superamento dell’individualismo consumistico e tecnologicizzato che ne sta alla base. Per il liberalismo questa è la prospettiva dell’“individualismo vero” che vede la persona non come individuo disperso nella massa, ma innanzitutto come coscienza. “Coscienza” significa che la persona porta in sé, nella sua libertà, il dovere di responsabilità morale verso se stessa, verso gli altri, e anche verso l’assoluto indipendentemente dalla confessione o religione. Nessuna istanza sociale può sostituire la coscienza in questa sua responsabilità, perché in questo momento violerebbe la sua libertà e quindi la possibilità di esercitare la sua responsabilità morale.

Che cosa significa questo per l’interpretazione del Rapporto Eurispes?

Innanzitutto i dati dicono che l’orientamento etico della società non viene più gestito da un’autorità né politica né morale, perché esprimono la dinamica tecnologica e consumistica di una società individualizzata. Questo fatto, di per sé, come ricorda Charles Taylor, non significa però che abbiamo a che fare con un abbassamento dell’effettivo impegno morale della società. Semplicemente vuole dire che, da un lato, questo impegno prima è stato svolto da parte di un’autorità che imponeva la morale con i mezzi amministrativi o con la comminatoria. Dall’altro, però, un impegno morale così alto come si pretende oggi, in altre epoche non era neanche richiesto in quanto non esistevano tutte le possibilità tecniche oggi a disposizione. Lungi da significare un abbassamento morale della persona in quanto tale, questi dati dicono quindi che oggi abbiamo senza dubbi bisogno di un maggiore impegno etico rispetto ad epoche precedenti.

Quali risposte si possono dare dalla parte del cristianesimo?

Si trovano varie posizioni cattoliche a proposito. A parte la destra conservatrice che davanti a questi dati interrompe qualsiasi dialogo con la società, ci sono sostanzialmente due direzioni: quelli che pur partendo da un’interpretazione negativa dell’individualismo moderno sono a favore di un’apertura del cattolicesimo a sinistra perché vedono nell’individualismo della destra dei cattolici liberali un complice per la perdita dei valori e per la noncuranza verso deboli ed emarginati, quindi per i fenomeni dell’individualizzazione e secolarizzazione della società. Ma questo giudizio si basa, come abbiamo appena visto, su un’interpretazione prevenuta e anticristiana del liberalismo. Sostanzialmente, essi non danno un aiuto al compito arduo della Chiesa di collocarsi nella modernità, ma tendono, in alleanza con le forze intellettuali e politiche di sinistra, al superamento del liberalismo. Contrariamente a loro, la destra liberale cattolica cerca di rafforzare il valore morale della libertà moderna interpretata come esito della stessa tradizione cristiana. Si rifiuta di interpretare il liberalismo in maniera pessimistica e di collocare la Chiesa in radicale contrasto con esso. In questo senso, il liberalismo appare tutt’altro che vuoto di valori, ma rafforza quell’istanza della persona che per il cristianesimo è il centro di ogni responsabilità morale.

Il liberalismo quindi costituisce un valore del cristianesimo?

Assolutamente sì, e ritengo una pericolosa svendita della cultura cristiana se, nei confronti dei dati Eurispes o di altri, i cristiani assumessero posizioni antimoderne ed antiliberali. Anche questa sarebbe una sorta di interruzione del dialogo. Invece di rifiutare la modernità, i cristiani dovrebbero impegnarsi a ridarle quei valori necessari che ha smarrito, valorinai quali essa rimanda direttamente.

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