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Trump è una perfetta costruzione politico-mediatica che tiene assieme spinte tra loro diversissime e contrastanti, ma capaci di suscitare la speranza in ognuno dei votanti. Il tempo dirà se alle spalle c’era una politica coerente e razionale, o se, al contrario, dietro alla facciata populista e retorica, ci sono sempre le stesse facce

Ormai sul fenomeno Trump si è detto di tutto e il contrario di tutto. E’ da un anno che sui giornali il magnate Newyorchese è stato analizzato, deriso, accusato, giudicato. Tutti pensavano impossibile la sua scalata alla Casa Bianca, e oggi che ha vinto, i veri perdenti sono gli analisti e i commentatori politici, incapaci di capire un fenomeno che silenziosamente andava montando nella società americana e che è esploso nella sua crudezza con il voto di martedì 8 Novembre.

E’ vero che il Pil degli Usa è cresciuto molto di più di quello europeo, ma è anche vero che tale crescita non ha riguardato la classe media che ha gli stessi redditi di 15 o 20 anni fa. Lo stimolo all’economia attraverso l’immissione di fiumi di denaro si è risolto in una crescita solo per quell’1% di popolazione che già possedeva tutto o quasi. L’illusione di Obama, e non solo, era di poter riattivare politiche Keynesiane solo immettendo denaro in circolazione e garantendo per questa via una redistribuzione dei redditi.

Così non è stato; anzi, il suo esatto contrario. La predominanza della finanza ha prosciugato i redditi da lavoro; d’altra parte come pretendere che una crisi per troppa liquidità circolante si possa arginare immettendo altra moneta nel sistema? E’ come spegnere un incendio con la benzina. L’errore è stato soprattutto di immettere la liquidità attraverso il sistema finanziario con la vana speranza che questo riattivasse la produzione, invece i finanzieri hanno adoperato questo “ben di Dio” per le loro speculazioni, come avevano sempre fatto, casomai con un po’ più di prudenza. Per contro la manifattura è stata lasciata al liberismo più puro, senza alcun intervento statale.

Come diceva mia nonna: “i soldi vanno ai soldi e i pidocchi alle costure (delle maglie)”.
Quell’1% della popolazione si è ulteriormente arricchito e ha frustrato le aspettative dell’altro 99%; la mobilità sociale, elemento fondamentale della società americana, si è bloccata e con essa le speranza di milioni di persone.

Possibile che l’amministrazione Obama non si sia resa conto del mostro che avevano creato? Probabilmente si, ma aveva due fattori che gli impedivano di prendere misure adeguate: uno di natura ideologica e l’altro derivante dai rapporti di forza. L’industria, in qualsiasi parte del mondo, se vuole essere competitiva e progredire deve essere posta in situazione di concorrenza, perché solo questo fa sì che si liberi dai lacci e lacciuoli che frenano il suo sviluppo, e Obama si è ben guardato dall’intervenire, lasciando che la manifattura trovasse nuove forme organizzative e di mercato; da questo punto di vista l’operazione Fiat-Chrysler è stato il suo punto più alto, ma per la piccola e media impresa è stato un disastro. Tuttavia Obama doveva vedersela anche con i finanzieri di Wall Street che un po’ per necessità e un po’ ricattandolo hanno preso per loro la montagna di denaro che la Federal Reserve ha concesso e forse non poteva fare diversamente.

Il risultato è che siamo giunti alle elezioni non senza avvisaglie (ricordiamo l’occupazione del centro di New York) con una classe media americana che si è sentita tradita dalle promesse a cui aveva creduto otto anni prima. Il Tycoon newyorkese ha saputo intercettare questo malcontento, forse per caso, forse strada facendo, forse non se ne è reso conto nemmeno lui; sta di fatto che, da buon manager, essendo privo di una struttura di pensiero organica e guardando sempre al sodo e al semplice, durante l’anno elettorale ha affinato la sua proposta elettorale intercettando le insoddisfazioni della middle class che vive negli stati centrali americani saldandosi con le istanze degli evangelici (è una storia “dejà vu, un miliardario con tre mogli che difende la famiglia). Ma questa è la politica nel nuovo millennio: prima si studia come arrivare alla maggioranza, poi si costruisce una offerta politica che sia in grado di soddisfare tutti i segmenti della popolazione e poco importa se ci siano delle contraddizioni tra il dire e il fare, l’importante è promettere la moneta giusta a tutti; poco importa come si realizzeranno le promesse, l’importante è dirle facendo finta di crederci.

Non è un caso che Trump abbia promesso forti investimenti nelle infrastrutture, ferrovie, strade, aeroporti, cioè in settori ad alta concentrazione di mano d’opera e allo stesso tempo nomini al tesoro Mnuchin, uomo di Goldman Sachs. Chi trarrà i maggiori benefici l’operaio del Middle West o i banchieri di Wall Street?

Tutto cambia, in fondo per non cambiare nulla. Non è con un voto dato a qualche imbonitore (dalle nostre parti lo chiamano comico, ma in fondo è la stessa cosa) che i ceti medi potranno trovare la soluzione ai problemi che li affliggono; la strada è molto più complessa e impegnativa.

Innanzitutto bisogna che il sistema finanziario torni ad essere un servizio alla economia e non viceversa, e poi che i soldi arrivino direttamente al sistema produttivo senza passare per la finanza come sta avvenendo oggi anche su questa sponda dell’Atlantico.

Se si vuol fare ripartire l’economia reale, in America come in Italia, bisogna che i direttori di banca buttino via i loro computer e guardino negli occhi chi va da loro a chiedergli un prestito valutando effettivamente la proposta economica e assumendosi tutti i rischi del caso, come d’altra parte fanno i correntisti quando affidano loro i risparmi.

Trump è una perfetta costruzione politico-mediatica che tiene assieme spinte tra loro diversissime e contrastanti, ma capaci di suscitare la speranza in ognuno dei votanti. Il tempo dirà se alle spalle c’era una politica coerente e razionale, o se, al contrario, dietro alla facciata populista e retorica, ci sono sempre le stesse facce.

Dietro la “Battaglia del Grano” di epoca fascista ci furono gli agrari del Sud che rifiutarono le sovvenzioni statali per non modificare la struttura sociale del Sud; la produzione cerealicola crebbe unicamente per il miglioramento dei fertilizzanti, ma fu strombazzata come una grande vittoria del fascismo sulla fame atavica del popolo italiano.

Storia magistra vitae”, visto che il nostro manuale di storia ha qualche pagina in più di quello americano.

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