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Un 25 aprile insolito, che festeggeremo nei nostri cuori e nelle nostre case invece che nelle piazze, sarà comunque un momento importante che negli anni ricorderemo come un passaggio delle nostre vite e della vita del Paese, un passaggio aspro ma inevitabile che potrebbe favorire la nascita di una società più equa e più sostenibile…

E’ la prima volta da 75 anni che i festeggiamenti per la Liberazione non si terranno in quella dimensione di massa che li ha sempre caratterizzati: per la prima volta Milano non verrà attraversata da un grande corteo multicolore che fra canti e slogan risale dai Bastioni fino a piazza Duomo ripercorrendo lo stesso itinerario che venne seguito dai partigiani quando diedero vita al corteo della vittoria guidato dal generale Cadorna e da Longo, Mattei, Pertini e tutti gli altri grandi comandanti del riscatto nazionale. Lo stesso nel resto del Paese.

Non sono mancati anni di tensione, in cui più stretti erano i controlli, e più necessaria la vigilanza contro ogni forma di provocazione : gli anni delle stragi, del terrorismo, delle più intense lotte sociali. Ma mai si era giunti a questa paralisi totale che del resto è la paralisi di tutto il Paese di fronte ad un nemico minuscolo e subdolo come il virus, che è in grado di infliggere gravi danni alle persone e che, fino a questo momento, ammette come unico antidoto il distanziamento fisico.

E quindi, a parte qualche cerimonia ufficiale nei vari Comuni ristretta alle autorità e alle rappresentanze delle associazioni partigiane, non vi sarà nulla, ma questo vuoto deve gridare ancora più forte la volontà di essere presenti, di non far mancare il ricordo, la memoria attiva del giorno che definisce la nascita della nostra democrazia, la fine di un periodo buio di dittatura e di guerra.

E’ stata usata più volte la metafora bellica anche per descrivere questi giorni che la maggior parte di noi ha passato in casa, alcuni all’ospedale in condizioni più o meno gravi, altri in luoghi di convalescenza. Abbiamo anche avuto dei lutti fra i nostri affetti, parenti ed amici, e questo vuoto pesa, così come pesa il tributo di vite pagato dagli operatori e dalle operatrici sanitari fedeli all’impegno di cura che è proprio delle loro professioni.

E tuttavia questa non è una guerra, è un esercizio di solidarietà in cui si è responsabilmente anteposto il bene costituzionale della tutela della salute a tutti gli altri, in attesa del giorno- sembra vicino- in cui dovranno essere tutelati, in sicurezza, tutti gli altri diritti costituzionali fin qui compressi. Ecco dunque che questo strano 25 aprile diventa oggi passaggio necessario di rinascita dopo un inverno cupo, e questa memoria ci deve accompagnare nelle nostre vite momentaneamente stravolte in attesa di tornare alla pienezza di quella dimensione sociale che qualifica gli esseri umani.

Riscopriremo anche il valore della libertà, di quella libertà che abbiamo goduto e che abbiamo potuto apprezzare in pieno solo nel momento in cui ci è stata sottratta, sia pure in nome di un bene superiore. E dovremo evitare una tentazione ormai serpeggiante anche fra coloro che conducono una meritoria battaglia per la ridefinizione degli stili di vita, e rischiano di dimenticare che essa non può essere il frutto di un’imposizione di politica sanitaria, ma deve essere una scelta matura e condivisa, rischiando di pervertire le linee per un ripensamento in termini di sostenibilità ecologica del nostro stile di vita e del soggiacente modello di sviluppo, al fine di “privare le persone di diritti e libertà, imporre un controllo, realizzare progetti eugenetici e di selezione”.

Ciò a maggior ragione quando la ricerca metterà a disposizione – si spera presto – nuovi strumenti farmacologici per tutelarci dal COVID- 19, e giustamente le persone vorranno tornare in pienezza alla loro vita precedente: allora sarà possibile dispiegare una vera e positiva azione di convincimento democratico per la costruzione di un nuovo modello sociale.

Come credenti impegnati nella dimensione sociale e politica ci è chiaro che saremo chiamati a nuovi sforzi e a nuove modalità per rendere il nostro servizio alla società civile, alle persone concrete, nello stesso spirito di quei nostri antecessori che a diverso titolo parteciparono alla Resistenza e, tornati dalla lotta o dalla prigionia, si trovarono di fronte un Paese ridotto in macerie morali e spirituali, ma non si persero d’animo e seppero costruire qualcosa di nuovo e di grande .

Per questo il 25 aprile, questo 25 aprile così insolito, che festeggeremo nei nostri cuori e nelle nostre case invece che nelle piazze, sarà comunque un momento importante che negli anni ricorderemo come un passaggio delle nostre vite e della vita del Paese, un passaggio aspro ma inevitabile che potrebbe favorire la nascita di una società più equa e più sostenibile.

 

Questo articolo è stato pubblicato sul sito www.aclimilano.it il 23 aprile 2020

 

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