Ripubblichiamo un articolo apparso sull’Unità lo scorso 28 maggio in cui l’onorevole Ernesto Preziosi ricorda la figura di Loris Capovilla. Ad ottobre avrebbe compiuto 101 anni

Mi piace immaginarlo accanto a quel pontefice che aveva servito in anni di grandi cambiamenti per la Chiesa. Così come mi piace averlo visto contento, rasserenato dall’avvio dell’attuale pontificato: quel cammino iniziato con Roncalli ora riprende con un nuovo impulso. Non che si fosse interrotto, ma certo qualche ombra, di quelli che Giovanni XXIII aveva chiamato profeti di sventure, si era allungata sulla vita della chiesa facendo rischiare il ristagno.

Passare delle ore con Capovilla era come stare con papa Giovanni: ne ripeteva le parole con estrema precisione, sostenuto da una memoria formidabile, pareva di risentire il tono stesso di quella voce ripetere gli insegnamenti che attingevano alla ricchezza della Parola ma che suonavano familiari alle orecchie dei semplici, facendo sentire la vicinanza del pastore al gregge, alle fatiche e alle sofferenze delle donne e degli uomini.

Capovilla rendeva una testimonianza eccezionale di quella stagione, ma senza nostalgie, anzi con una apertura costante alle novità del nostro tempo, a ciò che accade nel mondo ogni giorno e che lui seguiva con interesse e partecipazione.

L’ho potuto incontrare un’ultima volta per Pasqua, andando a trovarlo, con la mia famiglia, a Sotto il Monte nel pomeriggio del giovedì santo. Una gioia condivisa. La sua era una testimonianza vivente, dall’alto del secolo di vita, di una storia ricchissima – il ‘900 – con pagine intense e drammatiche ma anche cariche di speranza e di voglia di costruire il futuro; come lo furono quelle dei primi anni sessanta dove, in un singolare parallelo, per la chiesa e per il mondo, si apriva un’era nuova e il disgelo faceva avvertire i colori e gli odori della primavera. Era contento in quel giovedì santo: il papa l’aveva chiamato per fargli gli auguri e lui in Papa Francesco rivedeva tanti tratti di papa Giovanni.

Con un gesto delicato, all’inizio del suo pontificato aveva rimediato, per così dire, ad una ingiustizia elevandolo alla dignità cardinalizia. Un gesto simbolico, fatto per un sacerdote di 99 anni. Ma un gesto eloquente per chi era stato accanto al grande papa che aveva voluto il Concilio e, con le sue encicliche aveva saputo parlare di pace, di giustizia, di misericordia, imprimendo un passo nuovo, più aderente ai tempi. La chiesa, aveva detto aprendo il Concilio, "preferisce usare la medicina della misericordia piuttosto che della severità" e ritiene "di venire incontro ai bisogni di oggi mostrando la validità della sua dottrina, piuttosto che rinnovando condanne".

Iniziava così una stagione inedita in cui, mi diceva Capovilla in una intervista, presentare una formulazione nuova delle verità immutabili nella loro sostanza. Come sappiamo è un percorso che è ripreso ed è in atto. Un percorso è un cambiamento che investe anche il rapporto tra chiesa e mondo, tra cattolici e politica dove, scriveva Giovanni XXIII nella Pacem in terris, "può verificarsi che un avvicinamento o un incontro di ordine pratico, ieri ritenuto non opportuno o non fecondo, oggi invece lo sia o lo possa divenire domani". Parole di fiducia, di speranza e di grande apertura al senso della storia che Capovilla ha custodito e ripetuto per tutta la sua lunga vita, costituendo un indubbio punto di riferimento.

Per quello che è stato il suo ultimo compleanno, aveva scelto di festeggiarlo in compagnia dei profughi che vengono ospitati nella casa natale del «Papa Buono».

Ora, per sua stessa volontà, verrà sepolto, a due passi da Sotto il Monte, a Fontanella, a fianco di padre David Maria Turoldo.

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