Il discernimento è sempre un rischio, perché c’è in gioco la libertà di cercare la via della vita buona per l’altro e per sé contemporaneamente. Vogliamo correre questo rischio, non da soli ma sapendo che il Signore ci precede avendo già ascoltato, prima e meglio di noi, il grido del suo popolo santo in Italia?

Vengo da tre tradizioni spirituali: quella monastica di san Benedetto, quella di lettore della Bibbia e del giornale, quella del discernimento di sant’Ignazio. Lo dico per aiutare chi legge ad interpretare il mio pensiero che, come tale, è soggetto a verifica da parte di chi lo accoglie.

Un periodo di crisi ha bisogno di tempo per essere compreso e per capire cosa fare. Ma la vita a volte non ti dà tutto il tempo che sarebbe opportuno e occorre quindi fare di necessità virtù.

Queste elezioni politiche del 4 marzo 2018 hanno spiazzato tutti, sia chi ha vinto, sia chi ha perso in numero di voti, ma una prima domanda è: chi ha veramente vinto?

Una prima risposta: il popolo che si è espresso in modo diverso da quello che la classe dirigente allargata si aspettava. Che qualcosa non andasse per il verso giusto lo si era intuito anche dai discorsi al bar o in palestra o sui mezzi pubblici, nei luoghi informali del ritrovarsi del popolo.

Qualcuno ha ascoltato? Difficile a dirsi, poiché i programmi che pure hanno trovato più consenso, sono quelli più difficili da realizzare, vista la situazione dei conti pubblici del paese. Tuttavia hanno accolto un grido che è salito al cielo da parte di chi soffre.

Questo grido è simile a quello del popolo ebreo in Egitto ridotto in schiavitù: «Gli Israeliti gemettero per la loro schiavitù, alzarono grida di lamento e il loro grido dalla schiavitù salì a Dio. Dio ascoltò il loro lamento, Dio si ricordò della sua alleanza con Abramo, Isacco e Giacobbe. Dio guardò la condizione degli Israeliti, Dio se ne diede pensiero (meglio tradurre alla lettera: Dio conobbe) (Es 2,23-25). Poco più avanti (Es 3,7-8) il Signore dice a Mosè: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. 8Sono sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto e per farlo salire da questa terra verso una terra bella e spaziosa, verso una terra dove scorrono latte e miele, verso il luogo dove si trovano il Cananeo, l’Ittita, l’Amorreo, il Perizzita, l’Eveo, il Gebuseo».  Dio conosce le sofferenze del suo popolo e manda Mosè per liberarlo dalla schiavitù.

L’azione pedagogica di Mosè verso il popolo trova numerosi ostacoli e qualche sconfitta personale, tanto che Mosè non potrà entrare nella terra promessa con il suo popolo. In questo percorso occorre ricordare che Dio domanda a Mosè se vuole distruggere e cambiarsi questo popolo di dura cervice e peccatore, che vedendo mancare la sua guida che ritiene spersa sul Sinai con il Signore, si fa fare un idolo che lo guidi, il vitello d’oro, ad alleanza appena conclusa. Tuttavia Mosè rimane fedele al popolo infedele e chiede a Dio di fare altrettanto, richiamandolo alla fedeltà all’alleanza appena conclusa e al suo buon nome in mezzo alle nazioni: dopo tanta fatica fatta per tirarlo fuori dall’Egitto con mano potente ora lo farebbe morire nel deserto? (cfr. Es 32,7-14)

Bene, questa storia ci può aiutare a discernere il tempo attuale.

Se, come diciamo sempre, siamo schiavi dell’idolo del denaro, o meglio del suo uso consumistico, è da questa schiavitù che vorremmo essere liberati per una vita normale, dove ci possa essere lavoro per tutti, farsi una famiglia, mettere al mondo dei figli sapendo che possano crescere in un mondo che li accoglierà e non li farà soffrire, ma faciliterà la loro crescita, ecc.

In fondo la gente normale, quella che non vuole vivere con l’idolo del consumo che lo consuma, ha dei desideri semplici.

I cinque stelle e la Lega hanno vinto promettendo mari e monti, ma il PD ha perso perché? Perché ha proposto una politica realista? Forse anche. Perché non ha saputo leggere la rabbia del popolo mentre litigava al proprio interno su chi doveva guidarlo e quale politica realizzare? Forse anche. Per una politica cosiddetta di destra, cioè attenta alla realtà della globalizzazione non proprio simpatica? Ma Renzi non ha combattuto e ottenuto dalla UE una flessibilità non indifferente in clima di austerità, per avere un qualche margine di manovra economica? Forse anche. Perché Renzi si è reso antipatico con il suo savoir-faire? Forse anche.

Ora il PD è alle prese con se stesso e ha bisogno di tempo per chiedersi cosa fare. Renzi ha già deciso: niente governo con i 5S. Ma questo è per il bene di chi? Di Renzi? Del PD? Del popolo italiano? Dell’Italia?

E’ veramente opportuno e doveroso chiedersi per il bene di chi si lavora.

Una ferita come questa per il PD è difficile da digerire: come mai noi così bravi abbiamo perso così tanti voti, come ci siamo giocati tutto questa credibilità in così poco tempo, noi che volevamo modernizzare il Paese? Questa ferita è anche una ferita narcisistica, ma occorre fare un passo avanti e in fretta. Se è così bravo, perché il PD non dà una mano – umilmente, non come primo della classe – a chi ritiene non all’altezza di guidare un paese importante (la seconda manifattura d’Europa, il genio italico, eccellenze mondiali assieme a tanta arretratezza e povertà, grandi disuguaglianze, ecc.) come il nostro?

Certo la ferita narcisistica è dolorosa, ma va superata per il bene del popolo, mettersi al servizio del popolo, ascoltandolo e facendo ciò che è possibile: questo è il compito di un adulto che incontra un altro adulto un po’ smarrito e impaurito dal mondo che cambia. Ma non lo siamo tutti un po’ smarriti di fronte a un nuovo tempo che non conosciamo? Sentirsi i primi della classe non aiuta e queste elezioni dovrebbero far capire al PD che non lo erano e non lo sono. Semplicemente sono in cammino come tutti nel mondo che è cambiato e che cambia?

Prima comprendono questo prima possono tornare in mezzo al popolo, altrimenti si metteranno ai margini sperando di vedere passare il cadavere del nemico. Ma sono così sicuri che succederà questo oppure rischiano di perdere il treno della storia?

Molte domande che chiedono risposte attente e sapienti, non dettate solo dal risentimento, ma dall’amore per il popolo.

Il discernimento è sempre un rischio, perché c’è in gioco la libertà di cercare la via della vita buona  per l’altro e per sé contemporaneamente, non è questo quello che dice il duplice comandamento dell’amore per Dio e del prossimo come se stessi? Vogliamo correre questo rischio, non da soli ma sapendo che il Signore ci precede avendo già ascoltato, prima e meglio di noi, il grido del suo popolo santo in Italia?

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