Che cosa va rottamato e cosa va preservato delle funzioni del CNEL? La fretta, spesso cattiva consigliera, e la vulgata hanno fino ad ora tenuto in disparte le ragioni di fondo. Forse è necessario superare alcuni luoghi comuni e riflettere sul senso e il valore di questa istituzione per mettere in campo un progetto più moderno ed adeguato a tempi che valorizzi il protagonismo della società civile. 

Il disegno di legge del Governo per eliminare il bicameralismo e l’abolizione del CNEL giace in Parlamento, mettendo una seria ipoteca sul futuro di questa Istituzione costituzionale. Che cosa va rottamato e che cosa va preservato delle funzioni del CNEL? La fretta, che spesso è cattiva consigliera, e la vulgata hanno fino ad ora tenuto in disparte le ragioni di fondo.

A leggere i tanti articoli di giornale e le dichiarazioni frettolose dei politici, echeggia il primo luogo comune: bisogna chiudere il CNEL perché è un costo. Ci pensa, così, Cottarelli ad annoverarlo tra i tagli della spending review. Ma 1.500 euro/mese per 64 Consiglieri (assenteismo compreso) è davvero uno spreco?

Ancora, la stampa esonda del secondo luogo comune: non serve a nulla. Il CNEL è organo di consulenza del Governo e del Parlamento in materia di economia e lavoro; ha in questi anni inviato progetti, pareri e proposte di legge che sono inesorabilmente finiti nel profondo dei cassetti ministeriali e parlamentari. Posso testimoniare che nei quattro anni di vita dell’ultima Consiliatura non mi sono mai trovato a discutere di un documento di proposta del CNEL, non dico con un ministro (che immancabilmente sono presenti ai convegni), ma nemmeno con un sottosegretario. Quando il confronto è avvenuto, al tavolo sedeva qualche solerte funzionario che prendeva diligentemente nota, salvo poi verificare che nessuna traccia dei pareri inoltrati era stata recepita.

Analogamente, è accaduto per le proposte di legge. Si pone allora una domanda: si tratta veramente di inefficienza e di inadeguatezza del CNEL, oppure, siamo di fronte al totale disinteresse di questa politica che ha assunto un atteggiamento di autosufficienza ed ha deciso di ignorare tutto ciò che può disturbare il manovratore di turno? Ognuno può dare un suo giudizio sulla qualità e l’utilità dei provvedimenti assunti in questi anni (prescindendo dal CNEL), in particolare in materia di lavoro, rendendosi conto di quale guazzabuglio di regole si sia generato con un tasso di efficacia tendente a zero.

Veniamo al terzo luogo comune. Quanti quattrini si sono spesi in consulenze, rapporti e indagini? Era proprio necessario? Perché un organo di consulenza deve avvalersi di consulenti per fare il proprio mestiere? Sicuramente, andava migliorata la qualità della rappresentanza, ma c’è da chiedersi, se gli scranni di Montecitorio e di Palazzo Madama siano oggi autorevolmente occupati da esperti. Appare evidente che il continuo girovagare di politici da un dicastero all’altro, spesso senza alcuna esperienza in materia (malvezzo tutto italiano che considera i politici tuttologi), non consenta facili giudizi sulle competenze altrui. Il CNEL è anch’esso espressione di questa mediocre deriva (che sta nella società non meno che nella politica) è questa la ragione che ha portato a ricercare esperti all’esterno. Forse che non sono anche gli stessi ministeri super affollati di consulenti? In fondo, sarebbe bastato che ognuno avesse fatto meglio la propria parte: appaltatore e committente consultando quelle forze sociali che la Costituzione mette, tramite il CNEL, a disposizione di Parlamento e Governo.

L’unico vero argomento che può portare a chiudere l’esperienza del CNEL è quello di mettere in campo un nuovo e più moderno progetto, che fino ad oggi non si vede all’orizzonte, all’altezza della sfida dei tempi. Ciò implicherebbe il superamento di banali contingenze ed opportunità (evitando di andare a fare pulizia in casa d’altri, mentre si mette la polvere sotto il tappeto in casa propria) e affrontare alcune questioni di fondo.

1. Verso quale modello di relazioni industriali vogliamo andare? L’epoca del conflitto ha rappresentato una gloriosa pagina del passato. La concertazione rappresenta l’incerta e stantia pagina del presente. Se nessuno dei due vecchi modelli è adeguato bisogna costruirne uno nuovo che possa valorizzare la competitività dell’intero sistema economico, sociale ed istituzionale. Perché nell’epoca della globalizzazione la strada della competitività non passa solo per l’impresa e i mercati locali. Qualche timido balbettio si è fatto in questi ultimi anni in direzione della partecipazione dei lavoratori alle scelte delle imprese ed è sempre bene ricordare, quando parliamo dei paesi a maggiore successo economico, che in Germania c’è la cogestione e in Usa c’è un azionariato diffuso. Si potrà mai percorrere strade nuove se non verrà valorizzato, anche dal punto di vista istituzionale, il ruolo delle parti sociali?

2. Verso quale modello di relazioni sociali vogliamo andare? E’ dal crollo dei partiti storici italiani con la nascita della seconda Repubblica che ci contorciamo in un crescente populismo; dove il rapporto mediatico dei leader politici viene consumato in via diretta con i cittadini e dove la facile promessa rischia di avere il sopravvento su ogni programma di più lungo termine. Questa deriva peronista della politica italiana ha ormai dimostrato di non saper risolvere nessuno dei problemi del paese. È giunta l’ora di una riflessione critica e di una svolta. La società civile torni ad essere un filtro progettuale tra cittadino e politica.

In questi nostri tempi si trovano facilmente luoghi comuni e ragioni demagogiche per chiudere il CNEL. Lo si può anche fare, se viene ritenuto inadeguato. Importante è che Parlamento e Governo, decidendo le sue sorti abbiano in testa un progetto di sviluppo del nostro paese che non può prendere corpo senza il protagonismo delle forze sociali.

Guai tuttavia a non fare autocritica. Se gli stessi “azionisti” del CNEL non ci credono perché mai dovrebbe stare in vita? Quanto sappia rinnovarsi la politica lo potremo vedere tra qualche anno, ma almeno ci sta provando. A quando un profondo rinnovamento delle organizzazioni della società civile e delle stesse parti sociali che ridia loro significato e ruolo?

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