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Come non fare accostamenti tra il Maggio francese del 1968 e i gilet gialli odierni? In fondo sono tutte e due delle rivolte, e non certo delle rivoluzioni, perché oltre a evidenziare un disagio, oggi come allora, non c’è e non c’era un disegno organico di mutamento istituzionale o perlomeno non era largamente maggioritario…

Come non fare accostamenti tra il Maggio francese del 1968 e i gilet gialli odierni? Troppo ghiotta l’occasione del cinquantenario.  In fondo sono tutte e due delle rivolte, e non certo delle rivoluzioni, perché oltre a evidenziare un disagio, oggi come allora, non c’è e non c’era un disegno organico di mutamento istituzionale o perlomeno non era largamente maggioritario.

I protagonisti del Maggio francese furono gli studenti, senza passato ma con una vita da vivere; i gilet gialli che si vedono in Tv hanno almeno 50 anni e quindi ben inseriti sul lavoro e con un passato alle spalle e poco futuro davanti. Nel ’68 lo slogan esaltante e velleitario era: “siate realisti, chiedete l’impossibile”; oggi si mettono a subbuglio le città per 5 centesimi sulla benzina.

Si potrebbe continuare a trovare le differenze come in una sorta di “Settimana Enigmistica”, ma sono tutte differenze più o meno marginali che non colgono ancora la sostanza delle cose. Dunque, qual è il punto centrale? Sembra un paradosso, ma sono i 4.000 treni merci che nel 2017 sono arrivati all’Hab europeo di Duisburg dalla Cina.

Nel 1968 l’Europa, ed in particolare la Francia, era ancora in espansione economica e la rivolta del ’68 fu per poter adeguare la società al mondo che cambiava, certo, ma che era pur sempre all’avanguardia in moltissimi campi, sia economici che scientifici, ed il vecchio continente era ancora uno dei centri culturali e politici del mondo.

Dopo 50 anni le cose sono un po’ cambiate. Non solo quasi 3 miliardi di persone non muoiono più di fame, ma fanno credito alle nazioni più sviluppate acquistando i loro titoli di Stato per sostenere quelle economie e permettere loro di comprare (a debito) i prodotti che esportano con quei 4.000 treni. Era esattamente quello che faceva la Francia mezzo secolo prima.

Le economie europee languono e sono di fatto stagnanti da molti anni, mentre quella cinese, ma anche indiana, brasiliana e altre minori crescono al ritmo del 7/8% annuo. Esse hanno una popolazione giovane, piena di speranze per il loro futuro, mentre gli europei non solo non fanno figli, ma sono pervase da una cappa di paura per il futuro. I 4.000 treni che sono arrivati stracolmi di merci a Duisburg e che sono ripartiti quasi vuoti, stanno scardinando la società francese, anch’essa come le altre società europee, fatta di privilegi, o se volete di diritti acquisiti a cui nessuno vuole rinunciare.

I ceti medio-bassi della popolazione si sentono minacciati nel loro intimo. Dieci anni fa in Francia si aprì una campagna elettorale all’insegna della paura dell’idraulico polacco che a prezzi stracciati sarebbe potuto arrivare e mettere sul lastrico migliaia di suoi omologhi francesi. Oggi questa paura è meno personalizzata, ma molto più diffusa.

Il commerciante francese non ha alcuna difesa nei confronti di Amazon che recapita a casa del cliente lo stesso acquisto alla metà di quanto costa nei negozi. Gli immigrati stanno pure nelle banlieue, ma quelli che si sono integrati, e sono pure la maggioranza, hanno una capacità professionale superiore ai giovani francesi (e italiani) che sono stati allevati a telefonini, discoteca e qualche canna.

E’ vero che nelle patrie galere ci sono per spaccio di droga, in proporzione, più immigrati che francesi indigeni, (come in Italia), ma è altrettanto vero che quella droga la vendono ai francesi (e agli italiani) che la comprano molto volentieri. Non solo l’economia reale della Francia (e dell’Italia) è infinitamente più debole, ma risulta debole anche il tessuto sociale stesso, incapace di reagire alle sfide colossali che ci stanno di fronte.

Quando i veneziani cessarono di essere mercanti intraprendenti per mare e si costruirono le ville palladiane nell’entroterra veneto, decretarono anche la loro fine che venne due secoli più tardi con la resa, senza colpo ferire, a Napoleone che subito li rivendette all’Austria.

La differenza più profonda tra il ’68 e il 2018 sta tutta qui e riguarda anche gli italiani che invece di affrontare la realtà delle cose, vogliono andare in pensione prima e avere comunque un reddito senza durare molta fatica.

Nel castello di Elsinor si danno ancora le feste, ma Fortebraccio prepara il suo esercito che prima o poi calerà su di uno splendido passato.

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