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Dal conflitto, qualora venga gestito in modo generativo, possono scaturire processi di emancipazione innovazione e conoscenza, inediti. Non accade ovviamente la stessa cosa nel momento in cui l’elaborazione del conflitto inteso come incontro di differenze di identità, di valori, di interessi o di conoscenze, avvenga in una direzione che porta a degradare nell’antagonismo. Solo un’azione educativa diffusa ad ogni livello che promuova e favorisca un’adeguata cultura del conflitto e delle differenze può svolgere un’azione preventiva verso l’aggressività distruttiva.

Aggressività, distruttività, violenza

Per quanto possa apparire sconcertante e produrre un sentimento di tristezza è necessario considerare, per cercare di comprendere la violenza nell’esperienza umana, che la nostra specie è una specie aggressiva. Dal latino adgredior, l’aggressività riguarda i molteplici modi di avvicinarsi e di vivere nelle relazioni, cioè i nostri modi plurali e contraddittori, cooperativi e conflittuali di vivere le relazioni. Quei modi vanno dall’abbraccio all’accoppiamento amoroso, fino all’aggressività per scopi violenti e distruttivi. Ne deriva che è fondamentale distinguere tra aggressività e distruttività.

La distruttività è uno degli esiti possibili dell’elaborazione dell’aggressività. Nel momento in cui, in una relazione asimmetrica, come ogni relazione è, si creano situazioni conflittuali, queste possono evolvere sia in forme di emancipazione della cooperazione, sia in forme antagonistica. Il conflitto, quindi, non coincide in alcun modo con antagonismo e con la guerra o con molteplici forme di aggressività distruttiva. Si tratta anzi di una modalità costante dell’esperienza umana perché corrisponde all’incontro tra differenze.

Per comprendere il rapporto tra aggressività, distruttività e violenza, è necessario perciò considerare che le parole che contano non solo due, pace e guerra o accordo e violenza belligerante e distruttiva, ma è bene fare riferimento a quattro concetti che possono concorrere ad approfondire i processi psicodinamici che stanno alla base della aggressività distruttiva sia a livello interpersonale e di coppia, sia a livello di gruppo e collettivo.

Questi concetti sono: accordo, conflitto, antagonismo o guerra, indifferenza. Dal conflitto, qualora venga gestito in modo generativo, possono scaturire processi di emancipazione innovazione e conoscenza, inediti. Non accade ovviamente la stessa cosa nel momento in cui l’elaborazione del conflitto inteso come incontro di differenze di identità, di valori, di interessi o di conoscenze, avvenga in una direzione che porta a degradare nell’antagonismo. Solo un’azione educativa diffusa ad ogni livello che promuova e favorisca un’adeguata cultura del conflitto e delle differenze può svolgere un’azione preventiva verso l’aggressività distruttiva.

Passaggi

Se Giano è il Dio del passaggio, che si compie in origine attraverso la porta – in latino ianua – per comprendere adeguatamente le espressioni della violenza e della distruttività non possiamo limitarci a considerare la dimensione individuale, ma dobbiamo prendere in considerazione la relazione e le dinamiche relazionali. Questo naturalmente senza mettere in discussione il principio di responsabilità.

Comprendere però richiede di dismettere il concetto di individuo, inteso come un’entità indivisibile, e considerare finalmente che noi siamo tutti dei condividui, caratterizzate da una costante “diventità”. Questi due neologismi che introduciamo, Vittorio Gallese ed io, nel libro in corso di pubblicazione presso Raffaello Cortina Editore, Milano, il cui titolo è “Che cosa significa essere umani?”, segnalano la centralità della relazione come fonte dell’individuazione e l’intersoggettiva come condizione per comprendere la soggettività e le personalità di ognuno di noi.

Allora è nei passaggi relazionali e nella dinamica che si crea tra la constatazione di una differenza e i modi di elaborarla, più o meno cooperativi più o meno conflittuali, che vanno individuate le possibilità di comprendere l’aggressività e in particolare l’aggressività distruttiva. È importante ripetere che questa indispensabile condizione di analisi ha come scopo prevalentemente educativo e preventivo comprendere le dinamiche dell’aggressività distruttiva e non mettere in discussione i livelli di responsabilità individuali e collettivi che la violenza comporta.

Se si vuole educare, però, prima di tutto bisogna comprendere e riconoscere le dinamiche che stanno alla base della manifestazione dei fenomeni che si vogliono cambiare.

Per una Terza educazione

La prevenzione intesa come educazione alle differenze e alla cultura del confronto e del conflitto, che in questo senso è sinonimo di cooperazione, riguarda principalmente i diversi livelli mediante i quali le relazioni e i processi di socializzazione sostengono la crescita.

In primo luogo, sono da considerarsi gli affetti primari e le profonde trasformazioni che stanno vivendo da tempo i sistemi famigliari. A quel livello emergono molteplici difficoltà di gestione delle relazioni affettive e di governo dei processi emozionali, con effetti che si protrarranno nell’arco della vita. Quei fenomeni si collegano strettamente alla diffusione pervasiva delle disuguaglianze sociali e dei processi di emarginazione. Questi due fattori, tra l’altro, mostrano di non essere sufficienti per spiegare le origini del grave impoverimento educativo in atto e della diffusione della violenza distruttiva, in particolare contro le donne.

Appare necessario richiamare anche il ruolo che svolge nell’impoverimento educativo un processo di modernizzazione senza sviluppo che porta a una forte incidenza dei consumi e dell’obsolescenza programmata delle merci come fattori di identificazione. Cosicché crisi dell’affettività primaria, disuguaglianza sociale ed emarginazione, e pervasività dei consumi creano un crogiolo di fattori in cui l’impoverimento affettivo ed educativo mostrano di trovare un humus particolarmente favorevole.

Alla criticità dei primi anni della vita si accompagna una domanda per molti aspetti insostenibile, rivolta alla scuola, la quale presenta forme organizzative così profondamente datate da non riuscire a corrispondere alle aspettative, né nelle forme né nei contenuti, né tantomeno nei linguaggi che contraddistinguono le giovani generazioni. Ci sono almeno due aspetti che insieme agli altri evidenziano l’obsolescenza del sistema educativo scolastico di ogni ordine e grado, così come lo conosciamo.

Il primo riguarda lo scarto tra i saperi necessari e disponibili oggi nell’esperienza sociale e planetaria nella quale viviamo. Come sappiamo da tempo la maggioranza delle conoscenze che ognuno ha al momento della maturità le ha acquisite nei contesti della vita reale e non nelle aule scolastiche.

La seconda questione riguarda il paradigma corporeo ed emozionale che sempre più si mostra alla base della conoscenza e dell’apprendimento, mentre si continua a porre al centro un approccio cognitivista e mentalista trascurando l’educazione sentimentale.

Se le comunità educanti, spontanee o almeno in parte organizzate, sono la fonte principale della molteplicità condivisa e della socializzazione, come condizioni per ogni buona individuazione, allora forse si tratterebbe di destrutturare le forme precedenti così come le conosciamo e avviare una profonda riorganizzazione dell’azione educativa. Questa dovrebbe riguardare almeno tre livelli della questione: il superamento dei confini disciplinari verso una transdisciplinarità che permetta di apprendere e ragionare per fenomeni e non solo per discipline; uno sviluppo e una valorizzazione delle comunità educanti spontanee con un loro sostegno e una loro messa in rete, dalle realtà volontarie esistenti a quelle che si possono creare e sviluppare; l’affermazione di una prospettiva di Terza Educazione che ravvisiamo sempre più urgente e necessaria.

Intendiamo, da qualche anno, per Terza Educazione quella che abbiamo chiamato educazione affettivo-cognitiva che connetta l’educazione alla vita dei sentimenti e alla cura del dialogo interiore con noi stessi, con la più ampia apertura alle conoscenze e alle culture differenti. La Terza Educazione ci consente di abitare il mondo attuale. È proprio della Terza Educazione, quindi, cercare di sviluppare e sostenere la capacità di connessione tra mondo interiore e mondo esterno facendo leva principalmente sull’educazione sentimentale e sulla critica e sulla conoscenza della complessità del mondo.

In sostanza la Terza Educazione dovrebbe cercare di agire favorendo la connessione tra ciò che ci precede, la nostra immanenza, e il futuro anteriore, alimentandosi soprattutto di domande generative. Una funzione specifica della Terza Educazione è la connessione oggi in crisi, tra la prima educazione, quella acquisita nell’età primaria che compone la nostra esperienza e un patrimonio di conoscenza tacita; la seconda educazione basata sull’apprendimento conseguibile nei contesti educativi deputati e opportunamente evoluti secondo le considerazioni precedenti; e la Terza Educazione che riconosca una continua esigenza di ristrutturazione dei saperi, il primato dell’azione e della responsabilità per essere cittadini planetari capaci di vivere in un mondo interculturale e di costruire una vivibilità sostenibile.

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