Un testo importante, una pietra miliare nella riflessione sulla guerra, che esplora il mondo delle nostre fantasie nei confronti di ciò che sentiamo come minaccia al nostro esistere…

«Nel nostro inconscio la guerra è endemica. Ognuno porta al di dentro di sé uccisioni silenziose e nascoste. Ognuno di noi […] porta al di dentro di sé, nei momenti di frustrazione acuta, la fantasia di controllo sadico onnipotente nei riguardi dell’oggetto frustrante-nemico».

Il libro di Franco Fornari: Psicoanalisi della guerra, uscito per la prima volta nel 1970 e rieditato da Feltrinelli nel gennaio 2023 con una prefazione di Massimo Recalcati, è la rielaborazione, con qualche aggiunta e ritocco, del testo scritto dall’autore come rapporto al XXV Congresso degli Psicoanalisti di lingua romanza, tenutosi a Milano nella primavera del 1964.

Un testo importante, una pietra miliare nella riflessione sulla guerra, che esplora il mondo delle nostre fantasie nei confronti di ciò che sentiamo come minaccia al nostro esistere. Tali fantasie interiori, che si manifestano nei sogni e nei comportamenti più o meno inconsapevoli, risvegliano altri sentimenti e meccanismi di difesa dall’angoscia inconscia prodotta da ciò sentiamo come reale, ma che reale non è.

È la vita inconscia che Franco Fornari analizza con acuta sensibilità, partendo dalla lezione di Freud sull’istinto di morte, passando per le analisi etnografiche di come alcuni popoli primitivi organizzano la loro relazione con i vicini, utilizzando la teoria dell’inconscio di Melanie Klein, per giungere a una proposta di cosa muove le persone quando vivono la minaccia o la realtà di una guerra.

L’analisi proposta porta il lettore a immergersi in un universo non familiare, inconscio, che mette a nudo la nostra angoscia esistenziale e i meccanismi che ne permettono la sostenibilità psicologica. «Mentre, infatti, il Fornari della piena maturità insisterà nel valorizzare l’inconscio come facoltà di significazione e come funzione normativa, in quest’opera la sua radice kleiniana lo porta a indagare la dimensione più opaca e sulfurea dell’inconscio […] l’emergenza dell’altro come nemico non dipende tanto dalla pulsione aggressiva come difesa autoconservativa da quella che l’altro rivolge verso di noi, ma da una angoscia più profonda che proviene dall’interno del soggetto, dai suoi fantasmi più originari» (dalla Prefazione).

La tesi originale di Fornari è che la guerra è una elaborazione paranoica del lutto, in altre parole l’incapacità a compiere il lavoro del lutto fino alla sua accettazione realistica. Nel bambino l’assenza della madre provoca un lutto che fa sorgere un oggetto cattivo interno: il “Terrificante Interno”, che viene proiettato su un altro esterno vissuto come nemico in modo paranoico. «La paranoia è una psicosi caratterizzata da un delirio cronico, basato su un sistema di convinzioni, principalmente a tema persecutorio, non corrispondenti alla realtà. Questo sistema di convinzioni si manifesta sovente nel contesto di capacità cognitive e razionali altrimenti integre. La paranoia non è un disturbo d’ansia, bensì una psicosi. Si tratta, in sostanza, non di una sensazione di ansia o di paura, ma di disturbi di pensiero (giudizio distorto, sbagliato) di cui il paziente non ha coscienza» (da Wikipedia).

«Ho chiamato elaborazione paranoica del lutto quell’insieme di operazioni per cui il Terrificante Interno Depressivo, emergente sotto forma di senso di colpa per la morte dell’oggetto d’amore (sofferenza particolarmente penosa nell’esperienza cruciale del lutto), viene eluso attraverso un’operazione ambigua. S’immagina, cioè, che l’oggetto d’amore sia morto non per i propri attacchi fantastici sadici verso il proprio parente, ma per stregonerie malefiche del nemico. L’esperienza del lutto diventa allora non più la sofferenza per la morte della persona cara, bensì l’uccisione del nemico illusoriamente pensato come uccisore».

Si può dunque dire che la guerra è un modo per difendersi da un lutto terrificante interno che non è stato elaborato, cioè non è stato riconosciuto e vissuto per quello che è realmente, che viene rovesciato verso l’esterno e combattuto per renderlo non più pericoloso per sé.

Una variante di questa difesa è quella maniacale, per cui la persona si identifica con il Terrificante Interno divenendo così egli stesso l’aggressore: «Se sono io stesso l’entità cattiva di cui avevo tanta paura, non devo avere più paura di nulla». Anche in questo modo si nega il lutto per la perdita dell’oggetto amato, ereditandone la potenza distruttiva e mettendola in pratica in modo inconscio.

«Nel fenomeno della guerra non si tratta, dunque, solo di difendersi da un nemico reale, ma di difendersi primariamente dal Terrificante Interno che abita in noi stessi e al quale Freud ha dato il nome di “pulsione di morte”. Non a caso, secondo il padre della psicoanalisi, all’origine della violenza e della guerra dobbiamo porre la deflessione verso l’esterno di tale pulsione che agisce silenziosamente all’interno del soggetto. Si tratta di una sorta di “paranoia originaria”, scrive Fornari, che esige di collocare il Terrificante Interno in un nemico esterno considerato realmente pericoloso» (dalla Prefazione).

Fornari non è ingenuo, tutt’altro, e sa che le guerre si fanno per acquisire beni, terre, popoli ritenuti necessari alla propria sopravvivenza. Tuttavia, da psicoanalista, ricerca i motivi più profondi che si rivestono di queste motivazioni più esteriori, ma meno significative per comprendere il fenomeno della guerra.

Inoltre, la bomba atomica, con la sua potenzialità di eliminare tutta l’umanità con la strategia della mutua distruzione, cambia radicalmente i termini della questione. Se prima della bomba atomica la guerra era parziale rispetto alla sopravvivenza dell’umanità, ora con la possibilità della distruzione totale: «la tendenziale coincidenza tra il Terrificante Interno Illusorio e il Terrificante Esterno Realmente Catastrofico (bomba atomica) crea impreviste difficoltà a livello di integrazione tra illusorio e reale». Di fatto rendendo inutile la guerra non atomica. Ma questo non accade, come leggiamo tutti i giorni, perché l’elaborazione paranoica o maniacale del lutto non è ancora stata riconosciuta e superata.

Solo il lavoro simbolico del lutto può permettere di ristabilire la realtà della Legge, come quel processo che svela l’illusione di vivere un potere illimitato. Riconoscere questa illusione, farne il lutto, permette di tornare a una vita democratica che permette il confronto con l’altro a partire dalle rispettive parzialità. Potremmo pensare la Legge come elogio dell’imperfezione che cerca nell’altro un aiuto e un sostegno per vivere insieme, riconoscendo che non siamo il tutto e che si può, se si vuole, riconoscersi come altri in relazione.

Questa è anche la lezione della rivelazione biblica, a partire dalle prime pagine di Genesi fino all’Apocalisse, che mostra come poter vivere insieme riconoscendosi nella diversità («Ora tutti e due erano nudi, l’uomo e sua moglie, e non provavano vergogna», Gen 2,25) e quali sono i meccanismi di invidia, gelosia, sopraffazione che – non arrivando a un dialogo vero con l’altro e quindi di riconoscimento dell’altro – diventano violenza personale (per esempio Caino e Abele, Gen 4,1-16) e di gruppo (il faraone che perseguita gli ebrei, Es 1,28-22).

«Ciò potrebbe indicare che la difesa da angosce psicotiche è all’origine, o almeno gioca un ruolo molto importante, nei fondamenti del sociale e delle sue istituzioni. Questa tesi spiegherebbe anche il perché presso molti primitivi la guerra avesse spesso il significato di un rito, piuttosto che l’aspetto di distruzione industrializzata, come tende sempre di più a prevalere nelle guerre moderne. «In ogni paese, in ogni partito, in ogni classe, ci sono forse persone note e ignote le quali aspettano solo di riconoscersi per avere la certezza che quanto hanno cominciato a intuire come il nuovo corso della storia può essere realmente perseguito. È proprio a queste persone disposte a una assunzione di responsabilità integrale, quale ci viene resa possibile dalle conoscenze dell’inconscio, persone che chiamerei umanistiche, che questo libro è dedicato».

In conclusione, Fornari rimanda alla responsabilità personale di ciascuno il compito – ineludibile e mai finito – di prendersi cura e responsabilità delle proprie fantasie inconsce per cercare di limitarne gli effetti più dirompenti nella vita personale, sociale e statuale, attraverso la costituzione di istituzioni sovranazionali col potere di limitare la violenza.

«Sembra quindi che non sia priva di fondatezza l’ipotesi che la strada per il Governo Mondiale possa essere praticata solo a partire da una desovranizzazione dal basso quale è quella che ho proposto nei contesti teoretici e nelle implicazioni pratiche dell’Istituzione Omega».

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