Dare omogeneità all’offerta formativa dei percorsi della Formazione Professionale è una questione prioritaria per il nostro Paese. In questo si potrebbe procedere alla costituzione, sulla base di un apposito accordo tra lo Stato e le Regioni, di una sorta di Cabina di regia ovvero, più organicamente, alla creazione in via legislativa di un’apposita ‘Agenzia nazionale’ della formazione professionale, che faccia tesoro dell’esperienza fornita, in materia di politiche del lavoro, dall’istituzione piuttosto recente dell’ANPAL, valorizzandone gli aspetti positivi che ne sono emersi ed evitando di incorrere nei profili di criticità che ancora appaiono irrisolti

E’ noto che l’efficacia della formazione professionale in relazione all’inserimento nel mercato del lavoro è fortemente condizionata dall’insufficiente e disomogenea offerta formativa che è presente nel territorio nazionale.

Spesso, a tal proposito, si parla di “geopardizzazione” dell’offerta formativa riconducibile alla VET (Vocational Education and Training), ovvero alla forte differenziazione della formazione professionale a livello regionale. Ciò dipende delle specifiche condizioni di operatività della formazione professionale a seconda delle scelte adottate dalle singole Regioni, dato che questo settore è rimesso dalla Costituzione alla competenza esclusiva delle Regioni (e delle Province autonome). E’ vero che, sempre per volontà della Costituzione, lo Stato mantiene la competenza di dettare principi e regole di unitarietà del sistema della formazione professionale.

Ma, come si è dimostrato in un nostro recente contributo (vedi Giulio M. Salerno, L’istruzione e formazione professionale tra regionalismo e unitarietà. Una prima analisi, Rubbettino, 2019), il grado di incoerenza tra i modelli regionali e i principi di unitarietà stabiliti a livello nazionale appare molto elevato. E, come risulta chiaramente da tutte le indagini ufficiali, è assai evidente la rilevante disomogeneità – ad esempio, in termini di allievi iscritti, di risorse impiegate, di modalità utilizzate e di risultati prodotti – che sussiste in concreto tra i sistemi regionali della formazione professionale, a partire dai percorsi della IeFP che consente l’assolvimento del diritto-dovere all’istruzione e formazionale, sino ai percorsi dell’istruzione terziaria non accademica, cioè gli ITS.

In alcune Regioni questi percorsi sono ampiamente sviluppati, in altre sono praticamente assenti. Secondo i più recenti dati ufficiali relativi all’anno formativo 2016-2017, gli iscritti complessivi ai percorsi di IeFP e di ITS sono stati 54.566 in Lombardia, 21.409 in Veneto, e 18.437 in Piemonte. Viceversa in Basilicata non ve ne era nemmeno uno, e numeri assai scarsi, rispetto alla popolazione giovanile potenzialmente interessata, sono rilevabili in Campania (833) oppure nelle Marche (718). La geopardizzazione della formazione professionale, per di più, si sovrappone ai dati economici delle realtà territoriali: di norma, proprio nelle zone più svantaggiate o dove il tessuto produttivo appare in difficoltà la formazione professionale è più rarefatta, così realizzandosi un circuito, per così dire, perfettamente vizioso.

A tale situazione si aggiunge il fatto che, quasi paradossalmente, la “filiera” della formazione professionale è molto complessa ed intricata sia in senso verticale che orizzontale. Se si vuole semplificare, si può distinguere la formazione professionale ordinamentale – quella cioè che consiste in percorsi al cui termine è rilasciato un titolo di studio (qualifica professionale, diploma professionale, certificazione di specializzazione tecnica superiore, e diploma di tecnico superiore) – da quella non ordinamentale, ovvero non rivolta al rilascio di titoli di studio. La formazione ordinamentale comprende i percorsi triennali e quadriennali della Istruzione e Formazione Professionale (IeFP), i percorsi annuali dell’Istruzione e Formazione Tecnica Superiore (IFTS), i percorsi biennali dell’Istruzione Tecnica Superiore (ITS), e i percorsi biennali o modulari per il reinserimento dei giovani in dispersione scolastica all’interno della IeFP.

La formazione professionale non ordinamentale comprende la formazione continua (rivolta ai lavoratori o agli imprenditori per l’accrescimento o adeguamento delle competenze professionali), la formazione permanente (ovvero l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita che è rivolto a favorire l’occupabilità delle persone e la cittadinanza attiva), la formazione di specializzazione (per chi intende acquisire competenze specifiche in determinati ambiti), e la formazione regolamentata (per quelle professioni o attività economiche che richiedono corsi obbligatori per l’abilitazione). In estrema sintesi, potrebbe dirsi che per orientarsi nei percorsi della formazione professionale effettivamente disponibili – e nei relativi meccanismi di offerta, a partire dai bandi –  serve un “formatore”!

Eppure, può aggiungersi, le risorse finanziarie non mancano; come documentato da un recente contributo (Politiche della formazione professionale e del lavoro, a cura del CNOS-FAP in collaborazione con PTSCLASS, Rubbettino, 2019, p. 22), le risorse stanziate dalle Regioni nel 2018 in materia di formazione professionale sono ammontate complessivamente a quasi un miliardo e 280 milioni di euro. Ma le risorse così disponibili sono utilizzate a livello territoriale essenzialmente secondo la logica del bando, e, tra l’altro, solo formalmente appellandosi ai “costi standard”, ma fondandosi in realtà sulla spesa storica, che è assai differenziata tra le singole Regioni e largamente imputabile a scelte discrezionali di ordine politico-amministrativo. In altri termini, da un lato la formazione professionale, a differenza della sanità, non è considerata come un servizio pubblico ad accesso universale e da assicurare a parità di condizioni e di trattamento; dall’altro lato, si favorisce lo status quo, e le Regioni che trascurano o sotto-utilizzano la formazione professionale non sono incentivate né ad individuare risorse aggiuntive, né ad accrescere la relativa offerta.

Come dare indispensabile omogeneità all’offerta formativa dei percorsi della Formazione Professionale è dunque una questione prioritaria per il nostro Paese. E’ risaputo che nella proposta di “grande” revisione costituzionale bocciata dal referendum popolare del dicembre 2017 era stata inserita una disposizione che, in qualche modo, intendeva rafforzare la governance nazionale della formazione professionale, attribuendo allo Stato la competenza di dettare le “norme generali e comuni sull’istruzione e formazione professionale”. Fallito questo tentativo, appare oggi problematico suggerire una specifica riforma costituzionale che intervenga in via diretta sulla criticità qui in oggetto. Le forze presenti nell’attuale quadro partitico, infatti, sono molto propense a discutere su questioni “di principio” – o, per così dire, “di facciata”, soprattutto su quelle dal tono populistico – e molto poco interessate ad esporsi su tematiche concrete e di vero interesse per il bene comune, come la rimodulazione delle singole competenze tra Stato e Regioni in senso più coerente con la dimensione ottimale degli interessi coinvolti.

Ed allora, dovendosi ragionare a Costituzione invariata, sarebbe ipotizzabile procedere alla costituzione, sulla base di un apposito accordo tra lo Stato e le Regioni, di una sorta di Cabina di regia ovvero, più organicamente, alla creazione in via legislativa di un’apposita “Agenzia nazionale” della formazione professionale, che faccia tesoro dell’esperienza fornita, in materia di politiche del lavoro, dall’istituzione piuttosto recente dell’ANPAL, valorizzandone gli aspetti positivi che ne sono emersi ed evitando di incorrere nei profili di criticità che ancora appaiono irrisolti. Del resto, in entrambi i casi – formazione professionale e politiche del lavoro – si tratta di competenze costituzionalmente attribuite alle Regioni, e dove allo Stato permangono compiti rivolti ad assicurare, in senso unitario, il rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni relative a diritti fondamentali (il diritto al lavoro e il diritto all’istruzione e alla formazione) da garantire su tutto il territorio nazionale ad ogni cittadino. Anche in materia di formazione professionale, dunque, il perseguimento della necessaria omogeneità dei sistemi regionali potrebbe avvenire mediante la predisposizione di un organismo cui attribuire essenzialmente compiti di indirizzo unitario, di alta amministrazione, di vigilanza e di supporto, in modo da consentire lo sviluppo coerente della formazione professionale in tutto il territorio nazionale nel rispetto del principio di sussidiarietà, e, nel contempo, per assicurare l’impiego efficiente delle risorse a ciò destinate.

Tra l’altro, l’organismo qui proposto, e costituito come Agenzia ovvero come Cabina di regia, potrebbe essere la sede ove collocare i non pochi strumenti di governance nazionale della formazione professionale attualmente esistenti, a partire dalle tante “reti” o dai vari “tavoli” di coordinamento tecnico o tecnico-politico, che, introdotti nel corso del tempo con differenziate modalità legislative o amministrative, sono frazionati secondo logiche di intervento settoriale, agendo quindi in modo autoreferenziale e senz’altro non armonico. In altre parole, si tratterebbe di escogitare una modalità organizzativa indispensabile per un vero ed effettivo “sistema unitario” della formazione professionale, e non certo per sottrarre autonomia alle autonomie territoriali. Lo scopo, in definitiva, sarebbe quello di consentire il corretto ed efficiente svolgimento del pluralismo territoriale nella formazione professionale, correggendo così l’attuale e disordinato pluralismo “della” formazione professionale.

A tal proposito, anche in un recente rapporto annuale dell’INAPP sul sistema della IeFP (quello pubblicato ad aprile 2019 sull’anno formativo 2016-2017), si è affermato che occorre “risolvere uno dei punti deboli della filiera, ovvero l’assenza di un tavolo permanente di governance istituzionale”, proprio “con l’obiettivo di accrescere l’efficienza del sistema IeFP, sia in termini di capacità formative ed occupazionali che dal punto di vista della capacità di ottimizzare le risorse (non in termini di riduzione ma di efficacia degli investimenti)” (vedi pag. 31).

Certo, la proposta adesso indicata richiede un complesso di condizioni – da quelle politiche a quelle più strettamente operative – di non semplice attuazione, e che possono realizzarsi solo mediante un complesso ed articolato processo di necessaria condivisione tra le molteplici autorità competenti. Ma proprio davanti alle più ardue difficoltà, e talora inaspettatamente, si trovano talora le persone avvedute e le soluzioni originali che consentono di trovare il giusto equilibrio tra i meccanismi istituzionali per il perseguimento del bene comune nell’interesse di tutto il Paese e soprattutto dei nostri giovani.

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